Il distributore a Tor Caldara, la giornalista aggredita: basta!

I Carabinieri di fronte al distributore (foto dall’Eco del Litorale)

Sulla vicenda del distributore in fase di realizzazione di fronte alla riserva naturale di Tor Caldara si risveglia sui social un certo dibattito. E’ sacrosanto, anche se purtroppo temo servirà a poco. Quell’impresa è autorizzata, c’è una sentenza del Consiglio di Stato che le dà ragione, e quindi può procedere.

Quello che dice la sentenza e ciò che emerge di recente, invece, è un altro classico esempio del “sistema Anzio”. In questo spazio ho già reso noto che i giudici amministrativi – caso più unico che raro – hanno trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica e alla Corte dei conti, sottolineando il comportamento “ondivago” del Comune di Anzio e la singolarità dell’intera vicenda. Che inizia nel 2003 e termina con il pagamento – nel 2018 – di un sostanzioso debito fuori bilancio. Chi fossero i sindaci lo sappiamo, così come sappiamo che indirettamente è coinvolto un ex assessore ed ex consigliere comunale di maggioranza, candidato anche alle ultime amministrative nella coalizione vincente.

A quanto accertato dal Consiglio di Stato si aggiungono le vicende di questi giorni, la notizia di una “frana” nei pressi del cantiere e quella di una deviazione della falda. L’assessore Fontana – che pure ha avuto qualche ruolo in questo ventennio di centro-destra – ci informa che sì una deviazione c’è stata e l’amministrazione si è attivata da tempo. Per fare?

Perché i lavori di quel distributore proseguono e sembra che l’impresa – ricordiamolo, con buone aderenze in maggioranza – avesse chiesto di poter deviare il corso d’acqua. Richiesta che in Comune o non è stata vista o è stata sottovalutata o si è lasciata nei cassetti facendo scattare – e speriamo vivamente di no – il cosiddetto silenzio-assenso.

Ebbene c’è chi a questa storia prova ad andare in fondo, come Linda Di Benedetto che mette grande passione nel raccontare le vicende di questo territorio e stamattina è stata aggredita verbalmente e cacciata dal cantiere, in presenza di forze dell’ordine, perché era lì per raccontare. Se capisco bene, in quel cantiere c’erano lavoratori che si allontanavano di corsa – forse perché irregolari – e altri che si sono permessi addirittura di chiedere i documenti alla giornalista, provando a sostituirsi alle forze di polizia.

E’ ora di dire basta!. Questa città sta tollerando fin troppo situazioni al limite della legalità, gente che in Comune strilla, sfascia e resta al suo posto, toni pesanti, pressioni su chi lavora, minacce nemmeno tanto velate in ogni occasione e che sommessamente ho ricordato in aula consiliare riferendomi – ad esempio – a quello che avvenne nei seggi poco meno di un anno fa. Il clima era ed è questo: irrespirabile. Esattamente come (e forse peggio) di quando c’era Bruschini a guidare la città.

E’ ora che almeno sul distributore di fronte a Tor Caldara per primi gli amministratori – sindaco in testa – facciano chiarezza e rivedano i passaggi effettuati, si verifichi la regolarità del cantiere, tutto ciò che è possibile fare scevri da vicinanze politiche o meno ma ripartendo da quelle regole che De Angelis aveva messo nel suo programma ben presto accantonato.

A Linda, infine, la massima solidarietà.

Ma quanto vi piace provare a far tacere. Solidarietà a Linda

bavaglio-675

Ho sempre sostenuto che il lavoro di giornalista sia molto più difficile a livello locale. Le persone delle quali scrivi le conosci,  le incontri, metti in conto che non ti farai molti amici, anzi. E devi fare i conti, in tante occasioni, con l’arroganza del potere. Succedeva, succede e succederà e non c’è da stupirsi. Da continuare a indignarsi, però, sì. E segnalare quando qualcuno chiama un editore o, peggio, il direttore di una testata per far togliere un articolo “sgradito“. Così come quando si prova, da anni e da governi politicamente “trasversali” a mettere il bavaglio ai cronisti o a limitare la loro possibilità di avere accesso ad atti pubblici.

Ad Anzio l’ultimo caso riguarda Linda Di Benedetto che aveva riportato della richiesta della Lega di far dimettere il presidente del consiglio comunale, Massimiliano Millaci. Lo aveva fatto sentendo le fonti, verificando ciò che accadeva nelle scorse ore – frenetiche – dopo la notizia dell’indagine per droga.

Qualcuno si è risentito e ha fatto togliere dal sito “Eco del Litorale” quanto aveva scritto Linda, trovando purtroppo chi è stato pronto a dargli retta. Si sa, certi rapporti a livello locale c’è chi preferisce mantenerli intatti.

I giornalisti avranno mille difetti, ma normalmente si informano e se danno fastidio alle “manovre” che intorno al caso Millaci sono la peggiore espressione della prima Repubblica, non basta chiamare e far eliminare un articolo. Perché comunque la cosa è nota (oggi ne scrive anche il Messaggero) e soprattutto perché è un gesto grave. Gravissimo.

A Linda va totale solidarietà, a chi piace far tacere i giornalisti solo disprezzo. A maggior ragione se è nella maggioranza che guida una città e in quella dei “duri e puri” di Salvini che governano il Paese.

 

Il limite superato, le accuse personali. Abbassiamo i toni

ossigenonettuno

La sensazione che abbiamo superato il limite la provo da tempo. La caccia alle streghe non mi è mai piaciuta, quindi chiunque vada oltre nelle sue affermazioni  – a volte solo per partito preso – mi infastidisce. Il linguaggio della politica di casa nostra – ad Anzio in particolare – è ormai tutto sul personale, perché non è il futuro della città a interessare ma il proprio. D’altro canto, come recita il vecchio adagio, a stare vicino al sole ci si scalda di più e per molti quel sole è “fare” politica ovvero occupare un posto e poter dire la propria in quel consesso,  far pesare il proprio voto, ottenere. Allora ci si divide non se vogliamo il piano del colore o il porto, bensì se spetta a una cooperativa o a un’associazione qualcosa e alla mia o a quella “vicina” a me nulla. Per questo a chiunque dissente va trovato un difetto, va attaccato personalmente.

La prendo da lontano per dire che ad Anzio, ma anche a Nettuno, il clima si fa sempre più pesante. Non la penso come Agostino Gaeta su Edoardo Levantini, per esempio, perché ritengo  che il coordinamento antimafia faccia sforzi notevoli per tenere alta la guardia sul territorio. Parla di cose concrete, di sentenze, di rapporti scientifici. Si smentiscano, ma non si dica che il problema è “Levantino” come viene definito. Altrimenti arriviamo al punto che il problema non è la camorra, ma Saviano che la racconta, facendo imbufalire il sindaco di Napoli in un “teatrino” che non fa bene all’Italia.

Ma come diceva Voltaire, e come ad Anzio ci ricordano nella sala consiliare con un cartello: “Detesto ciò che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa dirlo“. Allora al tempo stesso è giusto dire che Agostino Gaeta – con tutti i suoi difetti – è uno che a modo suo racconta questo territorio. Raccontava, almeno, anche se non credo che smetterà di farlo dopo l’annunciata chiusura già paventata in passato e ribadita oggi. Certo non è giornalista, ha avuto pure i suoi guai, ma non facciamo come Orwell per cui “tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali degli altri“.  Allora serve rispetto, per le opinioni di tutti. Se poi ci sono profili penali, si perseguano. Di più: un giornale si può comprare o non, leggere o meno, è la più grande arma in mano a un lettore.

Dico questo conoscendo Edoardo e Agostino, ma conoscendo anche molte delle persone che si accapigliano su chi possa avere titolo a parlare e chi non. Lo dico per principio e da un osservatorio – tutto mio personale, sia ben chiaro – che è quello di chi prova, da anni, a raccontare questo martoriato territorio, denunciando il malaffare e  restando spesso inascoltato.

Lo dico a maggior ragione dopo il video del sindaco di Nettuno, Angelo Casto, che se la prende con i giornalisti. Non mi interessa perché sia uscito fuori oggi e chi l’abbia reso noto, certo è che lui adesso è sindaco e quelle sono parole pesanti, ma soprattutto cose che evidentemente pensa – insieme ai suoi accoliti – di chi fa il giornalista. Conosco Casto da quando era giovane funzionario Digos a Latina e io giovane cronista, non ho alcun dubbio sulla sua persona e sulla sua professionalità, in più sono certo che ha ereditato a Nettuno una situazione pesante. Ma in quel video – con chiunque ce l’avesse – scende al pari di chi negli anni ha definito (e definisce) “giornaletti” i media locali, al pari di chi dà dell’infame, dello pseudo giornalista, del prezzolato e via discorrendo. Diventa come gli altri politici e personaggi pubblici che sono allergici a chi racconta. Che differenza c’è tra Casto che canta e Stefano Di Magno che faceva le magliette contro il Granchio, ad esempio? Tra la nuova e la vecchia politica?

Certo, chi fa questo mestiere non è esente da responsabilità, a livello locale ha a maggior ragione il dovere di verificare le fonti, non seguire le “sirene” del politico o dell’imprenditore di turno, di pesare le parole. Chi ha la bontà di seguirmi sa che non ho mai fatto, non faccio e non farò difese corporative. Mai mi sognerei, però, di definire “cazzari della verità” i commercianti, gli artigiani, i netturbini, i commercialisti, gli avvocati e chi volete voi. Gli stessi politici che pure qualche castroneria la raccontano ai cittadini. Mi spiace che l’abbia fatto una persona che stimo.

Io preferisco continuare a cercare carte, provare a dimostrare che su un determinato argomento è stata detta una cosa e se ne fa un’altra, che ci sono documenti che mancano e via discorrendo. Voglio tenermi il mio diritto dovere di critica, senza fare questioni personali (se parlo di un politico è per il ruolo che ricopre e non per altro) provando a rispettare tutti e chiedendo scusa quando sbaglio.

E’ per questo che è meglio abbassare i toni, lasciando ai giornalisti – tutti – il diritto/dovere di verificare quello che fanno gli amministratori pubblici e di rispettare – tutti – le regole che impone questa straordinaria quanto delicata professione.

 

 

L’allergia ai giornalisti, le pessime figure

lucianola7

Torniamo protagonisti sul notiziario di “Ossigeno“, l’osservatorio che si occupa di giornalisti minacciati e nei confronti dei quali arrivano maxi richieste di risarcimento del danno. Non è la prima volta, purtroppo, che il Comune di Anzio è protagonista di pessime figure.

L’ultima vicenda è quella nei confronti di “La7” che qui viene riassunta dall’osservatorio. Non basta, la storia è parte anche dell’editoriale di Alberto Spampinato, nel quale si ricorda come secondo i dati presentati di recente 92 cause su 100 finiscono in una bolla di sapone, ma nel frattempo i giornalisti – che hanno fatto semplicemente il loro lavoro – devono spiegare al direttore, all’editore (quando ce l’hanno), prendersi un avvocato, pagare, rimettere insieme i pezzi di carta e soprattutto devono fare i conti con la vocina interna che dice: “Ma chi te lo fa fare? Ma non ti basta? Ma vuoi rovinarti?

Ecco, quando arrivano maxi richieste di risarcimento ci pensi, eccome. Alberto fa bene a chiedersi, inoltre – e sottoscrivo – che “sarebbe interessante sapere se il sindaco di Anzio intende promuovere questa lite, che a noi sembra temeraria, a sue spese o a spese del Comune, e in tal caso con quale deliberazione, con quale previsione di spesa e a carico di quale capitolo del bilancio comunale“.

Vedremo.

Meno male che gli elettori esistono e tolgono certezze

elezioni

Che dici?” o “Che sensazione hai?” Lo hanno ripetuto in tanti – a me e ai colleghi – fino a ieri sera prima che iniziasse lo spoglio. Inutile dire che nessuno di noi ci ha preso o quasi. Perché le certezze, i “sentito dire“, le sensazioni, quando sono gli elettori a decidere vengono meno.

E sconfessano sondaggi, exit poll, timori di vario genere. Abbiamo trascorso la serata, per esempio, a preoccuparci se nei Borghi “tenesse” o meno Coletta o se “sfondasse” com’era previsto Calandrini – a Latina – o quale fosse la sorte di Angelo Casto e dei 5 Stelle a Nettuno che per un lungo periodo sono stati davanti a tutti. Per tutto il pomeriggio, noi e tanti analisti o presunti tali, fantasticavamo di affluenza e di chi sarebbe stato favorito o meno. Senza contare che fino all’ultimo c’è chi – dai social – raccomandava in caso di voto con la parità di genere di “mettere le preferenze sotto la stessa lista“.

Prima c’erano stati quelli delle “liturgie” di partito, delle “correnti“, delle ripicche, i perdenti di successo, quelli che “la politica….”

Diciamo, generalizzando, che pensiamo un po’  tutti di avere davanti elettori incapaci di intendere e volere e partiamo da certezze che loro – chi vota – ha superato da tempo.

E ora vediamo chi si sbrigherà a dire “gli elettori non hanno capito“, senza preoccuparsi se sono stati capaci o meno di farsi capire e di spiegarsi per bene.

A mio modestissimo parere chi vota, alla fine, ha sempre ragione. E anche questa tornata amministrativa l’ha dimostrato. Così come le sensazioni di chi scrive e di tanti altri colleghi, alla fine restano buone per ingannare il tempo verso la lunga notte dei risultati – indegnamente in ritardo – e niente più.

 

Guai a scrivere. Il clima pesante in questo territorio

libertastampa

Chiedo scusa in anticipo all’avvocato Mario Marcellini, a scanso di equivoci. A lui e a tutti coloro dei quali scrivo e scriverò. Meglio evitare altre querele, ne ho già abbastanza. L’episodio che ci racconta Ossigeno per l’informazione – già ampiamente trattato sui social network con diverse e anche dure prese di posizione – è semplicemente l’ultimo atto di una situazione sul territorio che è sempre più pesante. E che è generalizzata in Italia, anzi già lo era come ci ricorda questo vecchio articolo di Massimo Fini. Diffidiamo e chiediamo risarcimenti, ma sì! Destra, sinistra, vecchi e nuovi politici, fa poca differenza. Anche per questo l’Italia crolla nelle classifiche sulla libertà di stampa.

Si può discutere di una definizione, è vero. Chi scrive sta alla giurisprudenza come un eschimese ai mondiali di surf, ma se c’è l’interesse pubblico, la verità, la pertinenza e via discorrendo basta – com’è stato in passato, in tante situazioni – chiarire con una telefonata o una mail se ci si sente danneggiati. Se poi la situazione non si chiarisce si passa anche oltre. E’ il succo della legge sulla diffamazione in discussione da anni e per la quale i giornalisti stanno – finora invano – cercando di evitare il “bavaglio“. Perché hanno il dovere di informare, prima del diritto di cronaca e di critica.

Lo stesso osservatorio che si occupa di giornalisti minacciati fisicamente, ma anche attraverso querele e maxi richieste di risarcimento del danno, si è spesso occupato di Anzio e Nettuno in passato. Solo andando a memoria questa vicenda della diffida si unisce all’aggressione al direttore del Granchio, Ivo Iannozzi, all’auto bruciata ad Agostino Gaeta di Controcorrente, a quella danneggiata a Cosimo Bove di Reporter news, costretto nel frattempo a cambiare lavoro, al compianto Giancarlo Testi identificato e cacciato dal Consiglio comunale di Anzio, a Elisabetta Bonanni del Clandestino pesantemente minacciata durante questa campagna elettorale di Nettuno, alle accuse di “pseudo giornalismo” e di “infame” nei confronti di chi scrive, poi chiarite tra  persone civili, alle grida di Patrizio Placidi all’Astoria contro chi aveva scritto del “caro estinto“. Ancora: dalle magliette contro Il Granchio alla richiesta di 300 milioni di lire che l’avrebbe fatto chiudere,  fino  al più generale e dispregiativo atteggiamento nei confronti della stampa locale ovvero dei “giornaletti“. E’ un clima pesantissimo.

Il tutto al netto di burrascose telefonate che sindaci, assessori, politici di varia estrazione fanno a direttori (ed editori) nel tentativo di tacitare i giornalisti locali che  nel 99,999% dei casi sono in buona fede assoluta. Senza secondi fini. Senza “padroni“, né strumentalizzazioni. Discorsi, questi, che piacciono alla politica di casa nostra che guarda sempre a “che c’è dietro” e mai a ciò che accade realmente.

Allora proviamo a rovesciare il discorso. Prendiamo un consiglio comunale, uno di quelli nei quali si grida a “strumentalizzazioni” o “complotti” e ci si erge a maestri della comunicazione. Prendiamo un comunicato stampa, uno di quelli dopo i quali c’è chi ti chiama per darti la “interpretazione autentica” di quello che ha scritto. Prendiamo una conferenza, un evento – durante il quale, magari, ti chiedono di mettere “una bella foto eh….” – uno spettacolo o una mostra e togliamo i “giornaletti“. Ma sì, fuori chi non copia e incolla. Fuori chi si azzarda a utilizzare – come vuole questo mestiere – la curiosità, una visura camerale, una conoscenza in banca, una in Tribunale come ci ricordava Giampaolo Pansa. Fuori chi chiede, approfondisce, cerca dati, critica.

Fuori chi prova a fare tutto questo in una realtà di provincia – come di provincia sono sindaci, assessori, consiglieri e aspiranti tali –  commettendo anche errori, a volte, sempre in buona fede. Candido De Angelis da sindaco amava ripetere che lui leggeva Sole 24 ore e Corriere della Sera, gli rispondevo che infatti era primo cittadino a Milano….

Abbiamo tanti difetti noi cronisti di provincia, è vero, ma si provasse per un attimo a farne a meno. Che visibilità avrebbero quanti, invece, la cercano in continuazione? Anzi, lo dico provocatoriamente ai colleghi: disertiamo, come facemmo per la conferenza stampa di Sergio Borrelli dopo la “cacciata” del povero Giancarlo Testi, uno degli appuntamenti elettorali o un consiglio o una conferenza…

Provocazione, appunto, perché si scrive affinché i cittadini sappiano e non per altro. E perché come ci ricordava Joseph Pulitzer: ” I medici lavorano per i loro pazienti, gli architetti per i loro committenti. La stampa è l’unica a lavorare per il pubblico interesse”. Anche ad Anzio e Nettuno.

La “carta vetrata” e il sonetto che non ti aspetti

Anni fa, quando ancora lavoravo a Latina Oggi, i colleghi mi regalarono un pezzo di carta vetrata. Era un modo per sottolineare che sono un tipo ruvido nei rapporti, scontroso, burbero e via discorrendo. E’ un po’ il nostro lavoro a portarci a questo, ma quel piccolo pezzo di carta vetrata l’ho portato sempre con me. Mai avrei immaginato, oggi, che ispirasse addirittura un sonetto nel quale c’è l’essenza del mio essere giornalista. Un autore che vuole restare anonimo, di sicuro un pensiero bello e inaspettato  che, in redazione, sarà affisso a fianco della carta vetrata. Grazie!

Scrivo a te, fiore de’ campo
che usi le parole come n’ lampo..
che illumina la notte anco più nera
cercanno verità… senza bandiera

L’appartenenza n’vero nun è pe’ li scrittori
armeno de’ quelli liberi…
dai più e…dagli editori

Che er potere vero poi de grazia…è quello de’ riporta’ giustizia..
n’ dove se’ subbita n’ ingiustizia….

Per questo scrivo a te che come er vento…
porti ai meschini pene e anco spavento…

A te che sei come na’ folata…
che smove si la carta…

ma solo se vetrata!!

Chi ha sparato a chi? Questa (e altre) mezze notizie

Nei giorni scorsi le cronache locali si sono occupate di un episodio molto grave. Gli spari a Santa Teresa, ad altezza d’uomo, verso una palazzina. I Carabinieri hanno fatto sapere di aver arrestato un ragazzo di 20 anni, hanno diffuso il video delle telecamere di sorveglianza che riprendono una scena che di solito vediamo in zone di ben altra criminalità, e lì si sono fermati.

Le forze dell’ordine, ormai, sono specializzate anche nel fornire supporti fotografici e video che accontentano le esigenze dei siti e dei giornalisti. Ma chi è il ventenne che ha sparato? Con chi ce l’aveva? Mistero. Se va bene, ormai, ottieni le iniziali di arrestati anche con decine di chilogrammi di droga, in nome di una privacy che viene interpretata a soggetto da chi – quale fonte – fornisce l’informazione e decide. Si tratti di un esponente delle forze dell’ordine o di un magistrato.

Si dimentica – e i primi a non ricordarlo sono i giornalisti, a maggior ragione a livello locale – che quanti svolgono questo straordinario lavoro non sono e non hanno da essere dei passacarte. Certo, ci sono i rapporti da mantenere. Certo, l’arrestato non è un condannato. Ma diamo una ripassata al codice di autoregolamentazione della privacy che i giornalisti si sono dati e andiamo a vedere: rilevanza sociale del fatto, particolare evento e via discorrendo.

E allora? Si deve sapere o meno chi ha sparato e verso chi erano diretti quei colpi? Certamente sì, ma gli investigatori non danno nomi e anzi invitano a non chiedere oltre. Ebbene, sarebbe ora che se vogliono che diamo mezze notizie, cominciamo a scrivere che l’ufficiale P.C. e il magistrato Z.M. hanno riferito che…. Privacy per chi compie atti rilevanti socialmente e sul nome dei quali il giornalista ha una deontologia che stabilisce quali pubblicare e quali non? Privacy per tutti . E’ una provocazione, evidente, ma di fronte alle mezze notizie qualcosa va pur sostenuto.

Dagli spari al voto imminente a Nettuno e alla campagna su Anzio che è già nel vivo. Ebbene titoloni, annunci e analisi su Danilo Fontana – consigliere comunale di Anzio e consigliere dell’area metropolitana di Roma – che si candida a Nettuno. Fa un comunicato senza sconti, parla di “vecchi volponi” della politica, è una cosa che fa certamente notizia. Soprattutto se va a sostenere Nicola Burrini che ha il suo riferimento – nel Pd – tra quanti secondo Candido De Angelis (che Fontana sostenne e del quale è alleato) votarono Bruschini al ballottaggio di Anzio. Bene, ma poi? Fontana non può candidarsi per legge, a meno di dimettersi da consigliere comunale e perdere anche l’area metropolitana o diventare assessore. Lui si guarda bene dal farlo sapere, ma i giornalisti di casa nostra lo sanno. Da una parte la notizia non esce, dall’altra si dice che “ha rinunciato“.

E’ solo un esempio delle mezze notizie di casa nostra. Liberissimi, tutti, di fare come vogliono. Ma un po’ di attenzione in più non guasterebbe. Per i lettori, anzitutto.

Ciao Umberto, farai un giornale anche lassù

celani

Umberto Celani, foto tratta da Ciociariaoggi.it

Vallo a spiegare a chi studia Scienze della comunicazione, ai giovani che si avvicinano a questo lavoro con l’aria da “professorino“, vaglielo a dire che la candidatura di Piero Marrazzo alla Regione Lazio fu un “buco” che avevi dato a tutti. “Lascia l’apertura, la facciamo uguale su Frosinone e Latina, la notizia ce l’ho io….“. Tu, caro Umberto Celani, e nessun “solone” di quelli che interpretano, analizzano, comprendono…

Sapevo che non stavi bene, non ci sentivamo da tempo, ma oggi che te ne sei andato voglio ricordare quel “buco” e prenderlo ad esempio. Ne avrai dati chissà quanti nella tua lunga carriera, oggi i colleghi di Frosinone perdono senza dubbio un punto di riferimento e un maestro, quello che scrive Alessio Porcu riassume l’essere non solo tuo ma di questo mestiere. La notizia prima di tutto, da scrivere sempre. Il resto è noia.

Ci eravamo incontrati (e scontrati) quando tu dirigevi Ciociaria Oggi e io ero appena arrivato a Latina Oggi, ci eravamo ritrovati una sera che non funzionando il sistema venimmo a “chiudere” a Frosinone. Poi tu avevi lasciato Ciarrapico e avevi fondato un altro giornale, nel quale mi chiamasti per provare a far funzionare l’edizione di Latina. Un anno intenso, difficile, bello. A La Provincia ho avuto sempre carta bianca, perché alla faccia di chi guida le città le notizie vengono prima di ogni altra cosa.

Non andava come speravi, come aveva immaginato un editore che ti aveva dato credito ma se ne sarebbe andato – un po’ come il Ciarra del quale ricordavamo aneddoti di ogni genere – di fronte alle difficoltà. Latina chiusa, Frosinone dove eri stato in grado di ricominciare, comunque.

Perché farai un  giornale anche lassù, ne sono certo. Perché possiamo definirti burbero, scontroso, pazzamente juventino, certamente generoso, rude nei confronti dei giovani che capivi potevano fare questo lavoro, ma a “fare” il giornale non sei stato secondo a nessuno. Facile dirigere la filarmonica di Vienna  anche se di musica capisci poco, difficile far suonare la banda di Caianiello, mandare avanti la baracca e vincere… Ecco, hai formato generazioni di provetti musicisti, restiamo nella metafora, lo dicono i ricordi usciti oggi

Ai tuoi familiari, a Tiziana e a Umbertino che conobbi – piccolissimo – proprio in redazione a La Provincia, un forte abbraccio. A te, caro Umberto, semplicemente grazie.

Il problema intercettazioni, quello della “dichiarazia”

 

8

La manifestazione contro la legge bavaglio a Latina nel 2010

Nel suo libro “Dichiarazia” Mario Portanova raccoglie ciò che i politici del nostro Paese hanno detto in diverse occasioni. Destra o sinistra cambia poco, c’è sempre una “giustizia a orologeria”, qualcuno “fazioso” o che “strumentalizza”, un avversario che “demonizza”. Sono dichiarazioni fatte all’Ansa, agenzia dove potrebbero copiare ciò che Tizio o Caio hanno detto anni fa e riproporlo oggi, di fronte a una vicenda spinosa come quella di Potenza, per Renzi e i suoi.

Il problema, al solito, sono le intercettazioni telefoniche. Strumento investigativo eccezionale, usato quando ce n’è bisogno, abusato quando c’è da inserire i dialoghi nelle ordinanze di custodia e negli atti di indagine che – notificati ai diretti interessati o comunque alle parti – diventano pubblici. E finiscono in mano a quei birbanti di giornalisti, i quali dovrebbero girarsi dall’altra parte di fronte alle intercettazioni….

Certo, farebbero meglio a riportare solo i dialoghi inerenti l’indagine, le regole dicono questo, ma se c’è un abuso esistono anche sanzioni che vanno comminate. In realtà di fronte a ciascuna indagine che esce e a dialoghi noti, ricordiamolo, alle parti, il problema sono sempre le intercettazioni. Com’è? “Offensiva mediatica“, in puro stile “dichiarazia”. Nessuno che si preoccupi, mai, dell’accaduto. Sempre a guardare ciò che è pubblicato. Un po’ come l’arrestato per tangenti uscito dal carcere per decorrenza dei termini che mi disse: “Devi stare attento a quello che scrivi” e al quale risposi: “Tu devi stare attento a quello che fai, se tu non fai, io non scrivo“.

La fedele ricostruzione fatta nel film 1992 dell’episodio nel quale viene trovato sangue infetto in celle frigorifere nasce dalle intercettazioni telefoniche della Guardia di Finanza di Trento. Quando gli uomini delle Fiamme gialle sentono parlare di “monnezza” approfondiscono e arrivano a scoprire uno degli scandali italiani impuniti. Le intercettazioni servono, allora, vanno vagliate quelle da utilizzare, ma è ora di smetterla con i tentativi di bavaglio. Arriverà una legge entro l’estate” dopo la vicenda di Potenza ma è bene ricordare che da Clemente Mastella in poi – ma tentativi ci furono anche prima – si è finora provato invano a mettere il bavaglio.

E’ chiaro che i giornalisti erano, sono e saranno vigili. Questa l’ultima dichiarazione del presidente dell’Unione Cronisti, Alessandro Galimberti, ma ci sono anche quella della Fnsi del 2015, ancora l’Unci due anni fa , prima ancora il quaderno sul disegno di legge Alfano, la manifestazione al Pantheon,  lo sciopero del 2010 e la ricostruzione della battaglie che vanno avanti dal 1993.

Tanti dei politici – di ogni schieramento – che hanno provato a imporre limitazioni oltre quelle esistenti (e da rispettare, è bene ribadirlo) sono ancora in piena attività. Altri si sono puntualmente lanciati nella “dichiarazia” sull’argomento: ah, se avessero votato la nostra legge….

I problemi sono altri, ma è meglio non occuparsene. E se come recitava un vecchio spot, una telefonata allunga la vita, nell’ultimo caso noto alle cronache con una telefonata si cerca di fare pressioni. Per questo le intercettazioni danno fastidio.