Rifiuti: come previsto, arriva l’aumento. E la città è sporca

L’immagine che pubblica il Granchio è emblematica. Siamo in piazza, certo saranno stati degli incivili, ma quella foto è la dimostrazione che il servizio di raccolta rifiuti non funziona. In centro, come in periferia. Lo scorso anno, in consiglio comunale, con la città sommersa dai rifiuti (e gli encomi all’ex assessore e al funzionario) il sindaco disse che se fosse accaduto ancora si sarebbe dimesso. Non lo ha fatto e non lo farà, ci salviamo dall’emergenza solo perché Rida Ambiente di Aprilia (dove andammo in fretta e furia) non ha ancora chiuso come fa di solito. Del servizio che svolge Aet da mesi, però, il miglioramento lo vedono solo il primo cittadino e i suoi accoliti.

Quello delle politiche ambientali è uno dei fallimenti di chi guida Anzio dal ’98 a oggi. Siamo passati per appalti, società pubbliche fallimentari (leggi Volsca, scelta all’epoca sempre da De Angelis), ancora gare infinite perché “doveva” vincere chi poi non s’è visto assegnare il servizio, Camassa usata come serbatoio elettorale (e per sistemare qualcuno vicino alla ‘ndrangheta) e adesso la Aet che i conti così a posto non ce l’ha. In tutto questo si è guardato a chi si aggiudicasse il servizio, negli atti di “Tritone” si parla di tangenti per due funzionari ancora al loro posto, squadre “volanti”, ma a migliorarlo mai. Se davvero fossero stati così bravi come dicono, oggi avremmo la raccolta differenziata di Fondi – dove pure il centro-destra governa da 25 anni – e un costo pro capite inferiore. Invece no, eccolo il fallimento.

Basta collegarsi alla banca dati di Ispra Ambiente per rendersi conto da soli. Ad Anzio il dato 2020 parla di raccolta differenziata al 48,6%, a Fondi di 84,07%. Il costo pro capite ad Anzio è di 256,12 euro, a Fondi 207,4. E’ evidente che se i nostri amministratori fossero stati il “modello” del quale si vantano, oggi la situazione sarebbe quella di Fondi e noi pagheremmo meno. Invece, con l’arrivo della Tari 2022 c’è stata anche l’attesa stangata. Sì, perché passando con Aet – che ha sostanzialmente copiato e incollato, aggiungendo ben poco, il capitolato che avevano predisposto gli uffici ma a un certo punto non è più andato bene – c’è stato un aumento di circa 2 milioni di euro che finora non ha corrisposto a un miglioramento del servizio. Si dovrebbe avere l’onestà intellettuale di ammetterlo, assumendone le conseguenze.

Invece con la Tari 2022 arriva il conguaglio 2021 e in più l’aumento. Prendiamo un esempio concreto e diretto, quello di chi scrive: bolletta 2021 pari a 278 euro, conguaglio 26 euro, totale 304 euro in linea con gli anni precedenti. Bolletta 2022: 382 euro cioè 78 euro in più pari al 25% di aumento. E’ più o meno così per tutti i cittadini.

La novità sono i dati della differenziata inseriti in bolletta, allineati a quelli Ispra fino al 2020 e pari al 50,08% secondo il Comune nel 2021. Vedremo quando usciranno i dati dell’istituto per l’ambiente se questa percentuale corrisponde al vero. In passato c’erano delle difformità. Finito, poi, il cassetto tributario tanto caro al dirigente “signorsì” (che funzionava, va riconosciuto) siamo passati ai servizi tributari on line https://anzio.comune-online.it/ Peccato che entrando con Spid – a oggi – ci sia solo l’accesso all’anagrafe e non anche ai tributi. Se vogliamo un altro fallimento, anche quello sull’informatica andrebbe approfondito. L’attuale dirigente “signorsì”, ai tempi del secondo mandato De Angelis e con Placidi assessore alle Finanze, mentre arrivavano lettere dai toni estorsivi addirittura a chi era passato a miglior vita da anni, oltre a chi aveva pagato, rispose no alla domanda “se uno muore stanotte, domani i tributi lo sanno?”

Poco è cambiato, anzi nulla. Però dicono di essere bravi…

Comuni da sciogliere o non? Servitori dello Stato cercansi

La Prefettura di Roma

Nei prossimi giorni terminerà il mandato delle commissioni d’accesso nominate dal prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, e al lavoro ormai dai sei mesi nei Comuni di Anzio e Nettuno. Non conosciamo cosa proporranno al rappresentante del governo nel nostro territorio, ma per il profondo rispetto che abbiamo delle Istituzioni sentiamo di chiedere di non tenere appese queste città.

Motivo? La scadenza del lavoro delle commissioni coincide – in pratica – con la presentazione delle liste per le elezioni di Camera e Senato e l’avvio ufficiale della campagna elettorale. Il prefetto ha 45 giorni di tempo per decidere se proporre o meno lo scioglimento qualora ne ricorrano i presupposti. Vuol dire che – se li prendesse tutti – saremmo andati già oltre le elezioni del 25 settembre. Il governo Draghi è – e sarebbe ancora, a quella data – operativo per gli “affari correnti” che comprendono anche l’eventuale scioglimento dei Comuni per il condizionamento della criminalità organizzata. Ma siamo in Italia, si sa, e spesso alle esigenze della politica si sono piegate quelle dell’ordinaria amministrazione. Lo scenario potrebbe essere, allora, che le commissioni hanno verificato il condizionamento, il prefetto chiede lo scioglimento, ma il ministro rimanda al governo “politico” una decisione che, invece, non deve essere tale. Ma può darsi anche che le commissioni abbiano verificato il mancato condizionamento e si decida comunque di aspettare l’esito del voto.

Ecco, evitateci questa attesa. Siate, tutti, servitori dello Stato che non antepongono altro al ruolo che svolgono. Niente calcoli, strategie, rinvii, soprattutto niente vie infinite che ad Anzio già nel 2018 evitarono di fare luce. I Comuni sono da sciogliere o non? Ditecelo subito, pazienza se qualcuno farà campagna elettorale su questo. Lo sono? Si provveda, al di là delle elezioni, perché non possiamo trascinare oltre questa onta alla quale chi guida le città o le guidava (come a Nettuno) ci ha sottoposto. Sono stati loro, e non altri, ad avere certi contatti per vincere e a trovare sponde in funzionari poi “premiati”.

Si faccia presto, dunque, in un caso o nell’altro. Se poi, come si vocifera, in caso di vittoria del centro-destra alle politiche il prefetto Piantedosi sarebbe in pole per essere ministro dell’Interno, siamo certi che Giorgia Meloni e i suoi alleati apprezzerebbero molto un servitore dello Stato che ha fatto il suo dovere fino in fondo, senza tenere “appese” due città.

A maggior ragione a 30 anni dalle celebrate (spesso a parole e basta) stragi di Capaci e Via d’Amelio e a 40 dal barbaro assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, il generale dei Carabinieri e prefetto di Palermo, mandato a combattere la mafia con armi spuntate, che non a caso diceva: “Finché una tessera di partito conterà più dello Stato, non riusciremo mai a vincere”.