Capo d’Anzio, porte in faccia sul prestito. E si scoprono nuovi altarini

Come si dice dalle nostre parti: “Se la foglia si muove, il vento tira”. Ebbene, ci vorrebbe un consigliere comunale di buona volontà che andasse a vedere se è davvero arrivata a Villa Sarsina la risposta della Cassa depositi e prestiti che nega gli 1,5 milioni di euro richiesti per mettere una pezza a colori alla disastrosa situazione della società. Il presidente Monti e l’amministratore delegato Ievolella, possono permettersi di non rispondere alle domande dell’opposizione in Consiglio – con una prosopopea degna di chi li ha nominati – ma quando ti presenti a chiedere soldi, servono certezze e non quattro paginette di un piano finanziario al quale credono solo loro. Pontili, centraline ed è tutto a posto.

No, non lo è affatto. Perché trovare una banca che concederà quei soldi è un azzardo. I parametri della Capo d’Anzio sono negativi in tutto e per tutto, c’è un istituto di credito che ha già ritenuto “improponibile” la richiesta, altri lo faranno e se quel prestito fosse concesso con qualche miracolo da ingegneria finanziaria (il presidente non è nuovo a imprese del genere) andrebbe contro le norme che regolano il settore e costerebbe alla collettività in termini di beni ipotecati non si sa quanto. Capo d’Anzio ha bilanci “singolari”, soci in contenzioso, debiti da pre fallimento. Le colpe? Di chi l’ha gestita, politicamente, dall’inizio a oggi. E di chi non si è ancora impegnato – a cominciare dalla Procura di Velletri e passando per i revisori dei conti – perché i libri finiscano in Tribunale e a quelle politiche si uniscano le responsabilità penali e civili.

Perché poi, quando la situazione è esplosiva come quella della società che doveva realizzare e gestire il porto ma si è limitata a utilizzare (male) i posti barca a disposizione, gli altarini si scoprono. La voglia di parlare di chi finora ha taciuto cresce….

Ad esempio, quanto spende di benzina la Capo d’Anzio ed è vero che qualcuno ha fatto rifornimento per se stesso? E’ plausibile che c’è chi non abbia mai pagato il posto barca per motivi, diciamo così, di “amicizia”? Ci sono esponenti della Capitaneria di porto, soliti frequentare gli uffici e non per motivi istituzionali? E’ vero che le spese in una nota ferramenta erano “libere”, tanto paga Capo d’Anzio, sono state abbassate e con il nuovo corso di Monti/Ievolella sono nuovamente cresciute? Chi ha proposto l’aumento dei prezzi per i posti barca causando una comprensibile fuga, dato che i servizi sono minimi? Ci sono state “ritorsioni” verso alcuni scafi che non hanno accettato determinati meccanismi e si sono ritrovati qualche danno o spostati in ormeggi lontani? I lavori per i “corpi morti” sono stati fatti a regola d’arte o ci sono state messe nuovamente le mani, tanto paghiamo noi?

Capitolo a parte merita il personale. Per gli ormeggiatori c’era una graduatoria, alcuni hanno lavorato in base a quelle ma sono stati mandati a casa con la scusa che benché pubblica la Capo d’Anzio non poteva stabilizzare il personale. Sarà stato uno stratagemma per far rientrare dalla finestra – attraverso agenzie interinali – chi era uscito dalla porta, risultando tra gli ultimi in graduatoria? La consigliera d’amministrazione Barone, dopo aver incontrato i lavoratori, ha mai indicato al sindaco quale socio di maggioranza e ai vertici della società le esigenze che erano state rappresentate?

Come dicevo all’inizio, “se la foglia si muove, il vento tira”. E i dubbi sono sempre di più intorno alla Capo d’Anzio e alla sua gestione, vecchia e nuova.

Va posta fine a questa agonia, tanto ripeto da anni che prima o poi Marconi presenta il conto e si prende tutto. Sarà il fallimento di chi ha sempre detto che era tutto pubblico, ma l’ingegnere qui ce l’ha portato…

Capo d’Anzio, accanimento terapeutico. Ma è ancora nostra?

Il Consiglio comunale di Anzio ha approvato a maggioranza – 14 favorevoli, 5 contrari – la fideiussione per la Capo d’Anzio. Presidente e amministratore delegato (il primo esperto e protagonista di crack, il secondo lo stesso che venne a illustrare i fallimentari “Dolt”) hanno provato a spiegare la bontà di un’operazione che è da accanimento terapeutico verso una società decotta. E che il porto, al momento, non lo fa ma prova malamente a gestirlo. Accumulando debiti. Perché sia in quelle condizioni l’ho riportato più volte, ma ora sorge un altro dubbio che pure è stato affrontato in questo umile spazio in diverse occasioni.

Siamo certi che la società sia ancora nostra? Attualmente deteniamo il 100% delle azioni, 61% nostre e 39% affidate a un custode giudiziario dopo che Italia Navigando ha ceduto le sue quote a Marinedi. C’è un “reclamo” ancora aperto, presentato dalla Marinedi di Renato Marconi e c’è un ricorso in Cassazione presentato dalla stessa società e da Invitalia. Finora il Comune ha sempre vinto, ma il punto non è questo.

Il decreto legislativo 175/2016 prevede, fra l’altro, un fatturato medio nell’ultimo triennio precedente all’entrata in vigore del provvedimento, di un milione di euro, cosa che la Capo d’Anzio non ha avuto. A ciò si aggiunga che il bilancio è stato faticosamente (e con qualche perplessità almeno per il 2018, quando arrivò e fu approvata in consiglio d’amministrazione una perdita di 73.000 euro poi “scomparsa”) portato in attivo in quel triennio. Se fosse applicata questa norma, il Comune doveva avviare la dismissione della società.

La legge finanziaria del 2007, inoltre, vietava alle amministrazioni pubbliche di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni”. Ora, la Capo d’Anzio era costituita prima e abbiamo sempre sostenuto la necessità di avere il controllo pubblico sul porto, ma forse non è sufficiente. Anche la Corte dei Conti aveva “bacchettato” il Comune in tal senso.

C’è poi il Consiglio di Stato che afferma: “(…) si prevede una decadenza ope legis della partecipazione con il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all’ente del valore delle quote o delle azioni detenute in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell’eventuale valore di mercato”.

Nessuno si auspica che il Comune, dopo anni di promesse e debiti accumulati, possa perdere il controllo ma dopo il Consiglio di ieri siamo ancora certi che la società sia ancora nostra?

Il nido “regalato”, quello perduto e l’urbanistica a soggetto

L’area dove sorgerà il nuovo centro commerciale (foto Google Maps)

Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, della variante “Cosma”. La trasformazione di un’area da edificabile per uso abitazioni a commerciale, tra l’ospedale e via Rinascimento. Grazie a un “Programma integrato” presentato dalla proprietà ai sensi di una legge regionale, il Comune di Anzio avrà in cambio uno spazio per realizzare l’asilo nido – per circa 300 metri quadrati – e altre opere di urbanizzazione. Parte della maggioranza ha preferito uscire, parte di quella che era l’opposizione ha votato favorevolmente, ma non è la pantomima politico/elettorale che interessa.

Le successive dichiarazioni del sindaco, infatti, parlano di “primo asilo nido comunale” e che questo sarà realizzato “a costo zero” per l’ente. Una precisazione: lo stabile di via XXI aprile che attualmente ospita classi del liceo “Chris Cappell college” era stato realizzato, negli anni ’80, come asilo nido. Non fu mai aperto, anzi venne utilizzato prima per ospitare gli uffici della pubblica istruzione e la biblioteca, poi come sede “jolly” per le scuole. Un politico navigato come il nostro primo cittadino dovrebbe saperlo.

Non venne aperto – e non si pensò mai in maniera seria a un altro – perché i nidi pubblici creano solo problemi alle amministrazioni e la gestione non riesce sempre a coprire i costi. Anche chi lo gestiva direttamente, nel corso degli anni è andato verso un affidamento privato. Non è un caso che nel programma che presentai nella “disavventura” della candidatura a sindaco del 2018, si ipotizzava di realizzare il nido a Villa Adele, al posto dell’ex comando vigili, affidando la ristrutturazione dell’immobile e la gestione con un progetto di finanza. Nel programma del sindaco – malamente copiato e incollato da quello del 2013 – non c’era questa previsione, né altro per i nidi, ma per fortuna si è “convertito”.

Però un conto è dire che avremo il nido, un altro è spiegare come (e se) sarà realizzato. Sull’area di proprietà della “Cosma” è stata fatta una di quelle operazioni da urbanistica a soggetto tanto care a chi guida la città dal ’98 a oggi. Le case non si vendono più? Si cambia…. A maggior ragione se quella società è vicina a uno dei candidati nelle liste a sostegno del sindaco nel 2018 e tra i personaggi, come il primo cittadino, sulla scena politica da oltre 30 anni. Al posto di chi ha alzato la mano in consiglio comunale qualche problema me lo sarei posto. Atteso che sappiamo chi è che ha “sponsorizzato” la variante – Umberto Succi, senza girarci intorno – era il caso di verificare la solidità della “Cosma” che negli ultimi due anni non ha prodotto nulla e ha come uniche proprietà quelle dove si svolgerà l’intervento. Beni che molto probabilmente, ottenuto il via libera dal Comune, cederà a terzi. Una cosa già vista con il distributore di fronte a Tor Caldara, con parte della compagine sociale che è sempre la stessa. Ad Anzio funziona così. Direte che c’è una legge regionale, e non c’è dubbio, ma il Comune può decidere di approvare o meno delle varianti e come ha fatto questa amministrazione per i “quattro cantoni” in area Puccini – dopo una mozione dello scrivente e del resto dell’allora opposizione, altri nel frattempo sono diventati maggioranza – si poteva dire: “Quando il mercato delle costruzioni tornerà a tirare, farai quello che è previsto. Grazie, arrivederci”. Invece no, ci “regalano” un asilo nido….

Bene, diciamo intanto che quello che il Comune voleva realizzare in via del Tridente, nella villa confiscata alla banda della Magliana e ormai distrutta, non ha ottenuto il punteggio necessario per il finanziamento richiesto al Ministero nel bando di 700 milioni di euro per “realizzazione di asili nido e altri interventi per la prima infanzia”. Il Comune aveva chiesto 1.491.099,57 euro, di cui 60.119 per spese di progettazione, e non aveva previsto nessuna quota di cofinanziamento. L’intervento prevedeva demolizione e ricostruzione dell’edificio ma non si è classificato. Sempre nella “disavventura” elettorale di chi scrive, non è un caso che si prevedesse di creare un ufficio “studi e programmazione”. Forse avremmo evitato di vederci bocciare progetti in continuazione.

Ma adesso oltre al “regalo” il Comune ha un’altra occasione: i fondi del Pnrr, infatti, destinano alla realizzazione di nuovi asili nido la somma di 2,4 miliardi di cui 129,2 milioni per i comuni della Regione Lazio. L’amministrazione si “accontenterà” del regalo che dovrebbe ricevere fra tre anni (mentre il privato ha già visto aumentare il valore della sua area) o pensa di realizzare ancora un altro nido? Perché questa domanda?

Semplice: sulla base degli ultimi dati Istat disponibili il comune di Anzio nel 2019 ha una copertura (posti autorizzati ogni 100 bambini con età inferiore ai tre anni) pari all’11,4% (144). La legge di bilancio in discussione fissa come Lep (livello essenziale delle prestazioni) la quota del 33% comprensiva dei posti privati. I bambini con meno di tre anni al 1° gennaio 2021 sono 1124 quindi la copertura al 33% equivale a garantire 371 posti, di questi 144 sono già disponibili ne rimangono da realizzare 227. Non sarebbe bastato il progetto di finanza che avevamo immaginato – sono il primo ad ammetterlo – e non è sufficiente il “regalo” che se tutto va bene arriverà fra tre anni e del quale poi si dovrà decidere la gestione.

Quali politiche il Comune vuole portare avanti in questo delicato settore? Continuare con annunci mirabolanti, altre varianti “a soggetto”, o provare per una volta a programmare?