Quelli della mia generazione ricorderanno, se non a memoria, che a scuola si studiava la “Spigolatrice di Sapri”. Il verso “eran trecento, erano giovani e forti….” rimbalza forse anche nella mente di qualcuno più giovane che nei moderni programmi di formazione in qualche modo lo avrà almeno sentito. Se quella spedizione purtroppo finita male, doveva servire a rivoltarsi contro i Borboni nel regno delle due Sicilie, ce n’è stata una – 90 anni dopo – che la rivoluzione l’ha fatta davvero. In silenzio, o quasi, con coraggio e grande capacità. E’ quella delle 21 donne che “fecero la Costituzione”, come ci ricorda il libro di Angela Iantosca e Romano Cappelletto (edizioni Paoline) che lunedì 5 giugno alle 18 presentiamo ad Anzio, presso la sala consiliare di Villa Sarsina. L’iniziativa dell’associazione “Oltremente” dell’infaticabile Maria Teresa Barone è patrocinata dal Comune.
Nel dorso di copertina si legge: “Chi sono le ventuno donne che hanno contribuito all’elaborazione della Costituzione italiana? Quali sono le loro storie, la provenienza, le battaglie che hanno portato avanti, sacrificando spesso la vita privata e la propria famiglia in nome di un bene comune? Questo libro prova a raccontarlo attraverso le loro stesse voci, con una narrazione in prima persona che restituisce ai lettori la passione di chi ha partecipato alla ricostruzione di un Paese appena uscito da una devastante guerra. Il testo, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado, intende ricordare quelle figure, spesso dimenticate, che hanno lottato senza mai tirarsi indietro e mostrare quanta strada ci sia ancora da fare, oggi, per attuare i princìpi e le battaglie di ieri”.
Si scoprono, leggendo il libro, tante cose che oggi diamo per scontate e allora non lo erano. Anzi. Si comprende come sui diritti fondamentali lo “sguardo” delle costituenti è stato decisivo. Non era facile essere lì, in un’Italia che metteva al margine le donne, le relegava a ruoli secondari, essere protagoniste di un passaggio epocale. Eppure seppero tenere testa agli uomini, ci misero coraggio, capacità, lungimiranza. Il libro le “restituisce” attraverso i loro racconti, riportandoci all’attualità e a quanto sui diritti nulla sia acquisito per sempre. La parafrasi è azzardata ma ci sta: “Eran 21, erano giovani e forti”. E hanno scritto pagine indelebili e attualissime. Vi aspetto lunedì.
Pubblico di seguito la lettera con la quale l’architetto Fabrizio Faggioni si scusa con il Consorzio di Lavinio per alcune dichiarazioni del passato che sono state oggetto di approfondimento anche su questo blog. La vicenda aveva dato origine a una querela che con la pubblicazione di questa lettera viene ritirata. Contemporaneamente i pezzi usciti sul blog vengo deindicizzati come concordato tra le parti. L’esperienza acquista in termini di querele, dice che una remissione a seguito di intesa si accetta, sempre. Soltanto uno non lo fece: si chiamava Indro Montanelli e lo aveva querelato Ciriaco De Mita…ma questa è un’altra storia.
Egregi, rivolgo la presente soprattutto ai cittadini raggiunti dalle mie missive sulla condizione e l’operato del Consorzio di Lavinio e S. Olivo e S.Anastasio, contenenti tra l’altro inviti a formalizzare esposti nei confronti del Consorzio, alle Istituzioni da me contattate e a tutti coloro che hanno letto il contenuto degli articoli di giornale pubblicati su “Il Litorale” come le “Condizione di illegittimità del Consorzio di Lavinio” del 13 Luglio 2020 e “Il Consorzio non serve le strade comunali” del 16 settembre 2020. E’opportuno che, tutti i cittadini siano informati che ciò che è emerso dall’analisi da me condotta in anni passati sull’operato del Consorzio, ovvero che lo stesso opera in una condizione di legittimità e legalità in quanto esso è stato dichiarato ente pubblico, e precisamente un ente pubblico non economico (come tra l’altro ribadito con delibera ANAC n. 33/2015). E’bene infatti che i cittadini siano correttamente informati sull’operato dell’ente, per evitare che si diffonda un ingiustificato malcontento che pregiudichi inevitabilmente il benessere e l’armonia dei consorziati. A tale proposito posso sottolineare che non è emerso alcun rapporto di illegalità o illegittimità tra il Comune di Anzio e il Consorzio, e che non è stata evidenziata alcuna attività che possa far preoccupare i cittadini, o che ne possa turbare la loro serenità. Se il contenuto delle missive da me diffuse in precedenza può aver ingenerato una simile preoccupazione, è perché al tempo nutrivo convinzioni personali, non sufficientemente suffragate da riscontri fattuali, che purtroppo, e contro la mia volontà, hanno provocato la reazione giudiziaria degli amministratori che si sono sentiti lesi nell’immagine e nel prestigio personale e del Consorzio, ingenerando confusione. Alla luce di ciò, ci tengo a precisare alcune ulteriori circostanze per scongiurare ogni equivoco conseguente a notizie diffuse a suo tempo, per evitare che si generi un mal contento e una sfiducia nei consorziati. Ebbene, le attività poste in essere dal Consorzio, compresa la manutenzione delle strade e l’approvvigionamento idrico, nonché le relative spese (manutenzione, retribuzione, interventi) sono previste dallo Statuto del Consorzio stesso, che vi invito a leggere. Le relative spese risultano essere sempre state documentate e controllate dai competenti organi di controllo. In particolare, in riferimento alle strade vicinali sul territorio di Lavinio, così come dichiarate con delibera comunale n. 561 del 21.04.1983, è bene precisare che la proprietà di tali strade è del Consorzio (e sono strade ad uso pubblico), mentre le strade dichiarate di proprietà del Comune di Anzio sono unicamente: Via degli Olivi, Via Stella Marina, Stradone S.Anastasio, Viale Virgilio, Viale Re Latino, Lungomare Enea, Lungomare Celeste, Piazza Lavinia, oltre a Via alla Marina e via di Valle Schioia (ex strade provinciali) e Via Ardeatina (strada ex statale). Per quanto di mia conoscenza, il Consorzio ma non è mai stato coinvolto, né tantomeno lo sono stati i suoi amministratori o presidenti in situazioni irregolari, non limpide e men che mai in indagini o vicende giudiziarie riguardanti le cariche consortili, avendo quest’ultimi sempre amministrato l’ente con estrema professionalità e devozione per il benessere di tutti i cittadini e consorziati.
Ho avuto modo peraltro di apprendere in un colloquio con il Presidente del Consorzio che l’attività svolta dai Consiglieri e dal Presidente è a titolo gratuito e volontario (non percependo alcuna forma di retribuzione o contribuzione). Pertanto, alla luce di quanto da me diffuso in precedenza, tengo a porgere le mie scuse al Consorzio di Lavinio S.Olivo e S.Anastasio, nonché al Presidente Sig. Romano Succi e ai Consiglieri, se con i miei scritti ho involontariamente leso il loro onore, la loro immagine e la loro rispettabilità spingendoli a dover adire l’Autorità Giudiziaria per tutelare i loro diritti. Comprendo le motivazioni che hanno condotto il Consorzio a sporgere querela nei miei confronti, e nei confronti di quanti hanno diffuso i miei contenuti che sono stati considerati offensivi, e apprezzo la volontà del Consorzio di voler rimettere querela e di non voler perseguire né la mia persona, né quanti altri hanno leso la sua dignità, onorabilità e immagine e quella degli amministratori, una volta chiarito ciò che è accaduto e la non comprovata verità delle notizie a suo tempo da me diffuse. Chiedo pertanto di pubblicare e diffondere queste mie scuse rivolte al Consorzio, ai Consiglieri e al Presidente, accompagnate dal mio sincero impegno a non reiterare comportamenti ingiustamente lesivi della reputazione dell’ente e dei suoi amministratori.
Sono stato tra i primi e tra i pochi a sollevare ciò che accadeva con il sistema Anzio, a riportare atti giudiziari, in questo blog, nei quali era palese che persone vicine alla politica facevano il loro comodo approfittando di chi gestiva il Comune. Quello che è successo – con l’onta subita dalla città e lo scioglimento per condizionamento della criminalità – era un atto dovuto alla luce di quanto emerso dall’indagine “Tritone”, ma prima ancora Malasuerte e da tutte le altre attività investigative. Che hanno riguardato gli amministratori – se non penalmente – moralmente sicuramente sì e con una responsabilità politica senza precedenti.
Detto questo, più che preoccuparmi oggi degli incandidabili e di fare la “caccia” al nome (prima o poi usciranno, non è questo il punto) mi preoccuperei di pensare a un’alternativa seria da qui al 2025, quando torneremo a votare se non ci saranno altri sconquassi. Quindi a chi candidare come consigliere comunale e come sindaco, costruendo prima una coalizione che metta insieme tutti coloro che non hanno avuto a che fare con le vicende che hanno portato allo scioglimento e non solo. Coalizione che riparta dalla legalità delle cose quotidiane e dal normale funzionamento dei servizi per i cittadini.
Perché attenzione, le persone alle quali sarà contestata l’incandidabilità non sono state raggiunte da provvedimenti giudiziari e se pure lo saranno, resteranno innocenti fino a prova del contrario. Così come per le norme che regolano lo scioglimento, restano tutti candidabili fino alla Cassazione. Partiamo dal presupposto che la decisione passa per la magistratura di Velletri che su questo territorionon è che abbia mai brillato. Ammettiamo siano dichiarati incandidabili, dovremo aspettare la pronuncia definitiva prima di non vederli in lista. Conosciamo bene le loro responsabilità politiche, però, abbiamo letto la relazione della commissione d’accesso che decreta il fallimento di quello che voleva essere spacciato come un modello di amministrazione ed era invece un modo di usare la cosa pubblica per altri fini. Abbiamo letto del votificio della Camassa, della contiguità con la Ndrangheta, di come funzionavano le concessioni demaniali o come veniva gestito il patrimonio. Abbiamo scoperto che solerti funzionari e dirigenti allineati (uno ancora inspiegabilmente al suo posto) hanno cercato di nascondere ai componenti della commissione di accesso i documenti. Conosciamo gli atti di Tritone e quindi la responsabilità continua a essere solo ed esclusivamente politica, almeno al momento la stessa che ha adesso chi vuole e anzi deve creare un’alternativa a quel sistema.
Perché chi c’era è pronto a tornare, se non direttamente attraverso parenti o amici stretti e si deve cominciare a lavorare sin da adesso a un modello alternativo per evitare questo. E magari per tornare a occuparsi delle emergenze, prima fra tutte quella del porto e della Capo d’Anzio. Torniamo a chiedere ai commissari e all’amministratrice unica, da questo umile spazio: qual è il piano industriale della società? Perché il bilancio 2022 non è ancora approvato? E’ vero che su quello del 2021 “Marinedi” ha presentato osservazioni in sede civile quale creditore? Si sono accorti o non che il porto “turistico” è vuoto? Perché il Comune non si è costituito parte civile nel processo ai vertici per falso in bilancio? Cosa si intende fare di fronte all’ordinanza della Capitaneria che con un canale di accesso ridotto a 1,90 metri in alcuni punti sancisce che la responsabilità è dei comandanti delle unità da diporto? La politica, quel che ne resta, dovrebbe occuparsi di questo, ma anche di una stagione estiva alle porte che non ha certezze – al momento – relative a un piano di sicurezza e prevenzione degno di tale nome. Anche di un bilancio che continuano a indicarci come florido ma sul quale continuano a pesare (e non poco) residui attivi che nessuno è andato a riscuotere. Per non parlare dell’Aet, la società in “house” per i rifiuti che come volevasi dimostrare, per adesso ci fa pagare i debiti accumulati nelle varie gestioni dei Comuni che serve.
Infine una vicenda che mi addolora. Riguarda l’amico Luigi Visalli, ai domiciliari per una storia che non è relativa alla politica ma alla sua attività professionale. Il ruolo che ricopre – e dal quale è stato sospeso – ne fa però un personaggio pubblico. Qualcuno ha voluto “giocare” sulla vicenda, è noto che il Pd sul fuoco amico è imbattibile. Altri, magari, coroneranno il sogno di “prendersi” la sezione. Esistono, anche lì, delle regole e basta seguirle, democraticamente. Sulla storia penale la responsabilità era e resta personale e Luigi – come tutti quelli dei quali ho trattato in questo spazio – è innocente fino a prova del contrario. Se il Pd si preoccupasse di cominciare a pensare all’alternativa di cui sopra, anziché di “prendere” la sezione, forse le cose comincerebbero a cambiare. Difficile che accada, ne abbiamo avuto conferma negli anni, ma è ora che arrivi almeno una presa di coscienza.
La stessa della quale dovrà farsi carico quella parte di città che rifiuta il “sistema”. Esiste? Continuo a essere ottimista, ma si deve lavorare da subito a farla emergere e appassionare di nuovo al bene comune. A quello di certe consorterie, Anzio ha già ampiamente dato.
Da oggi una quindicina di diportisti che avevano un contratto in essere con la Capo d’Anzio o accettavano l’aumento proposto dalla società per spese condominiali o dovevano trovare una sistemazione diversa. Dubitiamo che qualcuno sia andato lì di peso a togliere gli scafi, ma ormai possiamo aspettarci di tutto.
Direte che la società sta facendo il suo dovere, dove sta il problema? Ipotesi che starebbe in piedi, non c’è dubbio, se non fosse che gli aumenti non trovano giustificazioni diverse da quella di una società che deve fare “cassa” e che non è servito un incontro chiarificatore in Comune tra rappresentante e avvocato della Capo d’Anzio e rappresentanti della controparte.
Andiamo per gradi: a fronte dell’aumento, i diportisti segnalano qualche mese fa che la situazione è tutt’altro che rosea. Si va dai bagni fatiscenti, utilizzati dai frequentatori della spiaggia e inaccessibili ai disabili, fino ai quadri elettrici inadeguati e insufficienti, con i fili che come sappiamo “attraversano” la banchina, sporcizia e dissesto della pavimentazione. Poi c’è il Molo Pamphili destinato a posti auto per diportisti che rende complicato l’accesso e la manovra – mezzi di soccorso compresi – e il divieto di carico e scarico merci. Uno pensa che non vorranno pagare e per questo si lamentano…. No, perché carte alla mano dimostrano che “il costo totale di un ormeggio è ormai divenuto superiore a quello della maggioranza dei Marina italiani”.
Passa un po’ di tempo, si tiene una riunione il 15 febbraio e l’elenco delle richieste dei diportisti del “Molo C” è lungo: verifica della sicurezza degli ormeggi, servizi igienici fatiscenti, assenza di area per scaricare le attrezzature, difficoltà di accesso al molo Pamphili, inadeguata assistenza ai diportisti dopo la dismissione dell'”hangar” che ospitava gli uffici (chiuso dalla Asl, per giunta….) nessun intervento di dragaggio nel canale di accesso e uscita dal porto con i pericoli conseguenti, disparità di trattamento nel tariffario che non prevede tariffe diverse a seconda della metratura, assenza di manutenzione delle strutture di banchina “comprese le prese elettriche che spesso si muovono essendo saltate viti o stop e a volte hanno le connessioni scoperte”, assenza di manutenzione e sicurezza dei pontili in legno, scarsezza di rubinetti e in conclusione “inadeguatezza degli aumenti tariffari disposti dalla società per l’anno 2023, in rapporto ai servizi offerti e alla loro scarsa manutenzione”. La riunione termina con l’amministratrice che dice che verificherà e le richieste dei diportisti.
Arriviamo al 30 marzo e la risposta è disarmante: la darsena “risulta in buono stato manutentivo” e l’aumento è dovuto. Anzi, i contratti vanno sottoscritti entro il 7 aprile. Cosa succederà dopo Pasquetta non lo sappiamo, a questo punto, ma basta fare una passeggiata al porto per vedere condizioni che fra l’altro sono note da anni.
Detto questo, a proposito di controllori e controllati, ci sono questioni legali che richiamano ragioni di opportunità. Sia in questo caso, sia nel processo che vede imputato l’ex amministratore delegato Ernesto Monti e altri consiglieri dell’epoca. Ma alla “Capo d’Anzio” tutto sembra essere concesso.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Lo diceva chi ne sapeva certamente più di chi scrive. Così a fronte dell’accanimento terapeutico che prima il sindaco e la sua maggioranza, ora la commissione straordinaria, hanno dimostrato e dimostrano per la Capo d’Anzio – con la “regia” del dirigente checopia e incolla le relazioni dell’anno precedente – si scopre che forse siamo messi peggio di prima.
Ma come, direte voi, c’è chi rappresenta lo Stato e non si accorge di quello che gli succede intorno? No, lasciamo ai commissari il beneficio dell’inventario, il fidarsi di chi prova a miracol mostrare ma alla prova dei fatti viene smentito. O, più semplicemente, avendo imparato da chi guidava la città, dice che gli atti sono a posto e va avanti. Però spuntano singolari coincidenze, legate all’ultimo incarico che il Comune – meglio, sempre il dirigente “signorsì” – ha affidato a uno studio legale per il “controllo analogo” della Capo d’Anzio.
Un passo indietro: all’inizio del nuovo anno e con un bando pubblicato in pieno periodo festivo, Cinzia Marzoli viene nominata amministratore unico della società che doveva realizzare il porto ma si limita a gestirlo e ad avere un mare di debiti. Il bando è del 28 dicembre, fino al giorno prima l’amministratrice era nel consiglio d’amministrazione della Aet, la società di Ciampino della quale Anzio detiene l’1% (con debiti annessi) delle quote per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Succede….
Fino a qualche giorno fa il “controllo analogo”, quello che secondo l’ex sindaco e quanto scrive in ogni dove sempre lo stesso dirigente ha “consentito di riacquisire il pieno controllo sulla società”, era in capo al medesimo “signorsì”. Il quale, prima dell’incarico affidato con la determina 27 del 23 marzo, svolgeva (o doveva svolgere) lo stesso “controllo”. Adesso si è deciso di affidarsi all’esterno, alla modica cifra di 38.000 euro – tanto paghiamo sempre noi – per svolgere una serie di attività e in particolare “l’individuazione di misure operative, a contenuto legale – gestionale, finalizzate a rendere ancor più effettivo il controllo e ad allineare completamente l’assetto societario (governance) alle finalità per la quale la società è stata costituita”. Segno che finora non c’è stato o è stato – come dimostrano i bilanci della Capo d’Anzio – fallimentare.
Ma non è ancora questo il punto, perché basta digitare su google il nome dello studio scelto – Aor, guidato dall’avvocato Angelo Annibali – insieme a quello dell’amministratrice unica, Cinzia Marzoli e si scopre che i due sicuramente hanno avuto già rapporti professionali. Ad esempio nella Flavia Servizi di Ladispoli, quando l’avvocato era presidente dell’Organismo indipendente di valutazione e l’amministratrice Capo d’Anzio componente dell’organismo stesso. I due si sono ritrovati in Aet, l’avvocato consulente per l’attività di assistenza in sede legale e giudiziale, la dottoressa Marzoli nel consiglio d’amministrazione della stessa Aet. Ora, anche questa sarà una coincidenza ma è evidente che siamo in presenza di chi ha avuto l’incarico per il controllo analogo della Capo d’Anzio che conosce bene – ed è stato in rapporti professionali – con il controllato, vale a dire l’amministratore unico. Tutto regolare? Non abbiamo dubbi, fateci dire almeno che appare singolare.
In tutto questo continuiamo a ignorare quale sia il “piano industriale” della Capo d’Anzio, come si pensa di pagare i debiti accumulati, se è vero o meno che si proverà nuovamente a chiedere una fideiussione (e per fare cosa….), se amministratrice e commissari hanno mai fatto un giro in banchina per vedere qual è la situazione. Di questo parleremo, comunque, nella seconda puntata su controllori e controllati in questa saga della Capo d’Anzio, per la quale abbiamo l’impressione che “debba” essere tenuta in piedi. Perché?
ps, lo studio Aor è già stato operativo ad Anzio, quando sempre lo stesso dirigente chiese un parere sull’assegnazione della piscina per la quale i proponenti avevano “dimenticato” di allegare il progetto.
“Vogliamo vedere i nostri diritti tutelati, quello alla felicità e allo studio. Il diritto di andare a scuola con il nostro nome”. Sid è un ragazzo dell’associazione Gender X che per sabato prossimo, 1 aprile, ha organizzato con l’adesione di altre 39 associazioni e il patrocinio del Comune di Roma la prima manifestazione per i diritti dei giovani trans.
E’ un mondo che ho scoperto direttamente, perché essere genitore significa affrontare tutto e sostenere i figli nei loro percorsi, anche quelli che inizialmente fatichi a capire. Per questo – e non solo – sarò in piazza, anzi saremo insieme agli altri genitori conosciuti in questo viaggio e a quelli che hanno dato vita all’associazione Genderlens che offre il suo sostegno alle famiglie ed effettua formazione per chi ha voglia di comprendere senza giudicare.
Perché pochi capiscono che non è una “moda”, altri ti guardano con compassione, tanti sorridono per circostanza e sotto sotto dicono “meno male che non è toccato a me” immaginando chissà quale “malattia”. La maggior parte semplicemente ignora o sta bene nella sua “normalità”. No, non è una patologia – ormai lo ha riconosciuto anche l’organizzazione mondiale della sanità – è quello che sentono realmente i nostri figli al di là del sesso assegnato alla nascita. Ha ragione Gioele Lavalle, presidente dell’associazione Gender X: “Dobbiamo prenderci cura dei transgender giovani, non abbiamo avuto una generazione prima di noi che lo facesse e per questo dobbiamo impegnarci”. E’ grazie a persone come lui e ai tanti che, negli anni precedenti, sono stati costretti a fuggire o nascondersi prima di potersi affermare nel loro genere che oggi siamo qui a parlarne. Che esistono servizi pubblici di qualità – tra tutti il Saifip presso il San Camillo Forlanini di Roma, eccellenza nazionale – dei quali qualcuno preferisce “dimenticarsi”.
Fu così quando insieme all’Ufficio scolastico regionale si immaginarono delle linee guida per le scuole. Bastò una interrogazione leghista in Regione e una sortita di “Pro Vita” a far bloccare quel progetto che era chiesto dalle scuole stesse. Sì, perché ci sono dirigenti scolastici e corpi docenti che applicano l’autonomia e hanno inserito nei loro regolamenti la “carriera alias” ovvero quel “andare a scuola con il nostro nome” del quale ha parlato Sid presentando la manifestazione. Altri, vetero burocrati o peggio cacasotto, si appellano alla mancanza di linee guida e passano oltre. Ci sono state persino delle diffide alle scuole – sono ormai 200 in Italia – che hanno deciso di applicarla, come fanno ormai numerose università. Diffide prive di fondamento e rispedite al mittente, mentre dagli insegnanti che affrontano ogni giorno il tema della varianza di genere si chiede di avere gli strumenti adeguati.
Solo che basta un comunicato stampa a mettere paura, come fu dal San Camillo e dalla Regione Lazio che negarono di conoscere il Saifip, ignorando (o fingendo di farlo) che i genitori pagano il ticket proprio all’azienda ospedaliera. Peggio, lo pagano anche gli esenti per reddito, come se seguire il percorso di transizione fosse un vezzo e non una necessità frutto di un percorso spesso tortuoso e doloroso. Cose delle quali avremmo voluto parlare con i rappresentanti della Regione all’epoca di Zingaretti presidente, peccato che la commissione sanità non abbia mai trovato il modo di “audire” le associazioni nonostante ripetute richieste. Riproveremo con Rocca, hai visto mai…
Perché ha ragione Cristina Leo, sempre di Gender X: “Di ideologia c’è molto poco, ci sono persone, circa 500.000 in Italia”. Non è questione di destra (che comunque fa la sua parte, non ci si può certo aspettare che “apra” su questi temi anche se Luca Zaia in Veneto lo ha fatto) o sinistra, quindi. Certo la neo segretaria del Pd Schlein che dice di battersi (e lo ha fatto, va ricordato) per il mondo Lgbtqi+ ha “dimenticato” che se un giovane trans volesse iscriversi al suo partito con il nome di adozione questo sarebbe impossibile. Nel link per l’iscrizione va indicato il codice fiscale ed è comprensibile, ma forse uno spazio alla carriera “alias” anche nel partito andrebbe lasciato. Per dare un segno, anche piccolo, di interesse reale e non di semplici proclami.
Ecco, saremo in piazza per tante cose l’1 aprile, ma anzitutto per parlare di diritti civili che spesso, in questo strano Paese, si fa fatica a conquistare e che purtroppo non sono acquisiti per sempre. Anzi. Fortuna che come ha ricordato Leila dell’associazione Libellula: “Questa è una comunità segnata dal dolore ma con grande resilienza e che ha saputo fare del dolore un’opportunità”. E fortuna che ci sono iniziative come quelle del TDoV che la sera prima – il 31 marzo – all’Esc Atelier di San Lorenzo terrà il “Festival della visibilità transgender” per parlare, come ha ricordato Asia Cione, di “sex workers, diritto al lavoro, fluidità di genere”. Per i diritti di tutti, l’1 aprile, ci saremo.
Nel comunicare l’approvazione del bilancio di previsione del Comune, la commissione straordinaria che guida la città cita – fra l’altro – “la riorganizzazione della società Capo d’Anzio Spa”. Quale sia questa riorganizzazione lo ignoriamo, però andando a leggere qualche atto pubblicato sull’albo pretorio relativo proprio al bilancio, scopriamo che per la società è previsto una sorta di accanimento terapeutico.
I commissari, forse, ignorano che la fideiussione che viene riproposta, immaginiamo dal dirigente dell’area finanziaria – misteriosamente ancora al suo posto nonostante compaia nelle relazioni delle commissioni di accesso di Anzio e Nettuno, con pesanti responsabilità – è stata già “bocciata” da diversi istituti di credito. La dottoressa Scolamiero, il dottore Tarricone e il dottore Anatriello non si saranno accorti che il punto 6 della “nota integrativa” è copiato e incollato – pari pari, per 31 righe – dallo stesso documento del 2022. Pensate, c’è scritto persino che “l’attuale Consiglio di Amministrazione ha invocato l’intervento del socio pubblico, presentando un piano aziendale di investimento (allegato alla presente deliberazione)“. Peccato non esista più un consiglio di amministrazione e che, allegato alla delibera di bilancio, non troviamo il piano di investimento. Comunque già nel 2022 si parlava della fideiussione. Sì, quella che l’allora presidente della società, Ernesto Monti insieme all’allora amministratore delegato, Gianluca Ievolella, ritenevano indispensabile per “rilanciare” il porto. Peccato che la Capo d’Anzio non sia “bancabile”. Se ne sarà accorta anche l’attuale amministratrice unica, dimessasi il giorno prima del bando di Anzio dalla Aet (a proposito, chiude il bilancio 2021 in negativo e il Comune pagherà in quota parte circa 6000 euro) e nominata qualche giorno dopo nel nuovo ruolo. Ah, nel frattempo l’ex presidente è a giudizio per falso in bilancio, a giugno ci sarà l’udienza con rito abbreviato, ma la Commissione non ha avvertito il bisogno di costituirsi parte civile nonostante secondo la Procura il Comune ovvero i cittadini risultino danneggiati dai bilanci presunti taroccati.
L’unico passaggio non copiato è questo: “(…) nonostante la Capo D’Anzio non abbia ancora contratto alcun finanziamento con istituti di credito, si è deciso di mantenere nella programmazione finanziaria la garanzia concessa in attesa di valutare la continuità o meno dell’attività aziendale della società“. Non lo ha contratto semplicemente perché nessuno glielo ha dato. Non sarà sfuggito alla Commissione, invece, che la Capo d’Anzio deve ancora restituire al Comune i 517.000 euro di una precedente fideiussione, escussa dall’allora Banca Popolare del Lazio, pagata dal Comune stesso e mai riavuta indietro. Vicenda che è anche all’attenzione della Corte dei Conti. Nel frattempo basta affacciarsi al porto per notare la desolazione e l’assenza di scafi, come sarà “rilanciata” la Capo d’Anzio resta un mistero.
Ora, comprendiamo tutte le migliori intenzioni, ma qui siamo al paradosso di arrampicarsi sugli specchi per una società che il porto doveva realizzarlo e si limita a gestirlo, anche male. Vero che la Capo d’Anzio ha come unico bene la concessione demaniale, ma ci vuole tanto a dire “abbiamo fallito, non siamo in grado” e dato che il Demanio è ormai competenza dei Comuni a trovare un’alternativa? Già, il Demanio, altra “perla” del dirigente signorsì ampiamente citata nella relazione sullo scioglimento dell’ente per condizionamento della criminalità organizzata.
Anche per questo, giova ricordare che le vicende della Capo d’Anzio e la “confusione” – usiamo un eufemismo – sulla gestione delle società partecipate, sono un ampio capitolo del decreto che ha portato allo scioglimento del Comune. Cos’altro dobbiamo sopportare?
Ricapitoliamo, a beneficio comune ma soprattutto a vantaggio della commissione straordinaria, cosa è accaduto intorno e sul porto dalla costituzione della Capo d’Anzio in poi. Pur volendo sintetizzare, dovrete avere un po’ di pazienza. C’è tanto della nostra storia paesana e del “sistema Anzio”. 1) Il porto di Anzio è pubblico 2) Per realizzarne uno nuovo e gestirlo, nel 2000 fu costituita la società Capo d’Anzio, 100% di capitale del Comune, 39% destinato ai cittadini in una seconda fase come azionariato diffuso. Unico a sollevare dubbi sulla società, Aurelio Lo Fazio del Pd. Tutti gli altri si concentravano su un progetto di raddoppio inviato in Regione dalla giunta Mastracci e inserito dall’amministrazione Badaloni nel piano regionale dei porti 3) Il sindaco era Candido De Angelis e la maggioranza quella che ha governato dal 98 allo scioglimento per condizionamento della criminalità 4) Un anno dopo si fece entrare nel capitale “Italia navigando” – controllata da Sviluppo Italia ovvero il Ministero del tesoro e quindi pubblica -che doveva realizzare la rete dei porti turistici con il suo know how. Avrebbe preso il 39%. Sembrava fatta e c’era caduto anche chi scrive. Sbagliando. 5) Italia navigando è “suggerita” da Gianfranco Fini – leader di An e vicinissimo a De Angelis – e amministrata da Renato Marconi, ingegnere che in gioventù era stato direttore dei lavori al vicino Marina di Nettuno. Nei patti parasociali è scritto che la società dovrà reperire i fondi entro un anno dalla concessione.
6) Renato Marconi – ma si scoprirà solo dopo – era già socio di Italia Navigando che quindi non era più pubblica. Per pagargli dei compensi gli avevano dato delle quote. 7) Nel 2005 inizia la trafila per ottenere la concessione (De Angelis nella campagna 2003 parlava di “Inizio lavori”, che sarà…), ma in Regione ora c’è il PD che pone dei paletti sulle procedure 8) Nel 2006 sembra fatta, a luglio la conferenza dei servizi afferma “due progetti, una sola procedura”. A settembre salta tutto e non abbiamo mai saputo perché: la Regione se la prende con il Comune e viceversa 9) Nel 2008 De Angelis diventa senatore e nell’accordo politico Luciano Bruschini va a fare il sindaco e Luigi D’Arpino il presidente della Capo d’Anzio. Gli slogan? “Continuiamo insieme” e “Porto, 1200 posti barca, 1000 posti di lavoro”
10) Nel 2010 la Regione vota contro, ma la conferenza dei servizi approva il progetto, secondo il ministero delle infrastrutture “le procedure sono correttamente individuate”, parte la trafila per un accordo di programma
11) A ottobre 2010, presidente della Regione Renata Polverini (centro-destra) si firma l’accordo di programma che sarebbe lungo riassumere qui ma prevede una serie di punti mai rispettati
12) Un anno dopo arriva l’agognata concessione per la “realizzazione e gestione” del nuovo porto. Ma si comincia anche a parlare dello “spacchettamento” di Italia Navigando. Il senatore De Angelis presenta una interrogazione parlamentare alla quale viene risposto che è tutto regolare. Intanto fallisce la vendita dei “Dolt”: diritti di ormeggio a lungo termine.
13) Nello “spacchettamento” Renato Marconi e la sua Mare 2 spa, poi Marinedi, per essere liquidato ottiene 10 porti tra i quali quello di Anzio. Si rimangerà subito i patti parasociali, venuti meno a suo dire proprio per una firma di De Angelis successiva a quella messa allora.
14) Il consiglio comunale nel 2012 ribadisce che il porto è pubblico e invita il sindaco a mettere in atto ogni azione per far rispettare i patti parasociali. Viene chiesto e tenuto nei cassetti un parere al professor Arturo Cancrini.
15) Nel 2013 si divide il centro-destra, De Angelis (che era entrato in Fli seguendo Fini) aveva già aspramente criticato Bruschini. La spaccatura arriva al limite degli scontri fisici in campagna elettorale. Il socio privato, Marinedi, prende possesso delle sue quote e ottiene dalla Regione l’inversione del cronoprogramma. La richiesta di inversione è voluta e sottoscritta anche da Bruschini, rimasto sindaco.
16) Il consigliere comunale di maggioranza Marco Maranesi chiede e ottiene (a fatica) il parere di Cancrini. L’ex direttore generale del Comune, Franco Pusceddu, pone addirittura il “segreto di stato” per non rilasciarlo. Lo otterrà grazie all’ex segretario Pompeo Savarino
17) Parte la causa, il 30 settembre 2014 Bruschini dice a De Angelis, oppositore di lotta e di governo, in consiglio comunale: “Parola d’onore, caccio Marconi”. Dieci giorni dopo firma con l’ingegnere la road map per realizzare il porto
18) La Capo d’Anzio nel frattempo caccia gli ormeggiatori, comincia a gestire il porto, si fa imporre dall’allora comandante della polizia locale, Sergio Ierace (lo stesso che servirà a togliere i sigilli agli amici di De Angelis in “Tritone”) di dare gratis il parcheggio di piazzale Marinai d’Italia agli eredi di “Malasuerte” che come si evince dalle carte avevano a che fare con la camorra.
19) I bilanci della Capo d’Anzio fanno acqua, la gestione non va, la gara per i lavori va deserta, le banche non danno un euro e anzi la Popolare del Lazio chiede di restituire i soldi della fideiussione che era stata necessaria per ottenere la concessione. Il Comune paga l’intera quota, 517.000 euro, la Capo d’Anzio non ha mai restituito un centesimo. La cosa è all’attenzione della corte dei conti. La Capo d’Anzio non ha mai pagato i canoni concessori alla Regione, non ha mai restituito i soldi dell’escavo, ha debiti verso l’erario e anche verso il socio privato Marconi.
20) Il porto? “Montecarlo” nelle intenzioni del presidente, generale della Finanza, Ugo Marchetti, il quale si fa dare un ufficio a Villa Sarsina, se ne va, poi ritorna, poi si ridimette. Non ha mai detto perché)
21) Il bilancio 2018 votato dal cd’a della Capo d’Anzio, compresi i rappresentanti pubblici, chiude con una perdita di 72.000 euro. Nella nota integrativa al bilancio del Comune il dirigente dell’area finanziaria Luigi D’Aprano scrive che deve essere liquidata
22) Alt, il sindaco – nel frattempo di nuovo Candido De Angelis (2018) – chiama al capezzale della moribonda Capo d’Anzio il professor Ernesto Monti. Luminare, certo, ma anche con qualche esperienza di crack alle spalle. Miracolosamente il bilancio 2018 e 2019 chiudono in attivo, stavolta D’Aprano ci ripensa e scrive alla Capo d’Anzio che va bene così. Il problema? Il compenso del direttore del porto, incarico mai formalizzato ma che firmava carte e dava disposizioni. Anzi, era stato nominato pure responsabile dell’anti corruzione. Nessuno se ne era accorto? Alla faccia dei controlli….
23) Il consiglio regionale del Lazio, su proposta del Pd (e di chi allora lo rappresentava ad Anzio, nel frattempo passato a Italia Viva, forse perdendo un po’ di memoria) chiede la revoca della concessione per i mancati pagamenti, la mancata attuazione della stessa, il mancato rispetto dell’accordo di programma
24) Era vero quello che diceva il Cd’a sulla perdita o quello che ha scritto Monti? Ne sapremo di più dal Tribunale di Velletri, dove tra qualche giorno ci sarà l’udienza preliminare per falso in bilancio
25) Il Comune torna in pieno possesso delle quote, la causa fatta da Cancrini è vinta in primo e secondo grado. Se davvero si voleva cacciare Marconi, forse andava fatta prima e non tenuto il parere nei cassetti. Bruschini e De Angelis facevano finta di litigare o su questo erano d’accordo?
26) In consiglio comunale Monti e Ievolella – che è uscito dalla porta rinunciando a un suo credito ed è rientrato dalla finestra come amministratore della Capo d’Anzio – dicono che con una fideiussione (un’altra?) e un campo boe, il gioco è fatto. Nessuna banca concederà il credito richiesto. Lo dareste voi a chi ha bilanci come quelli della società e soci in contenzioso?
27) Se n’è andato anche Monti, ha sbattuto la porta l’ultimo amministratore delegato Lombardo, il Comune (sempre D’Aprano) ha fatto un bando per trovarne un altro ma era sbagliato, così l’ha ripubblicato il 28 dicembre con scadenza il 4 gennaio. Roba che se l’avesse fatto un politico sentivi tu….
28) La commissione straordinaria in delibera sul mantenimento delle partecipate non si accorge del copia e incolla della delibera dello scorso anno e parla di incassi aumentati (quali? Forse perché sono aumentati i prezzi?), piano industriale (quale?) e 2023 per l’inizio delle opere (come?)
29) In tutto questo Comune e Marconi si sono sono vicendevolmente denunciati su più vicende. De Angelis ha dato del ladro all’ex amministratore delegato Antonio Bufalari in consiglio comunale ed è stato denunciato dall’ex amministratoredelegato. La magistratura chiarirà
30) Il porto è pubblico e tale resta, va chiarito il ruolo della Capo d’Anzio che Marconicercherà di prendersicome ha fatto con Italia Navigando, è bravissimo in questo e qui abbiamo provato a spiegarlo più volte. La legge regionale è cambiata, però, e sul demanio marittimo è il Comune adesso a decidere. Si potrebbe sempre tentare, chiunque governerà in Regione tra due mesi, di entrare nell’Autorità portuale. Peccato che proprio il Demanio sia uno dei nodi cruciali dello scioglimento del consiglio per condizionamento della criminalità, così come nella relazione sia ampiamente citata la Capo d’Anzio e i voli pindarici sulla gestione della partecipata. Al vertice del Demanio, sempre il dirigente di cui sopra. Ah, pur volendo: è ancora tutto sotto sequestro, difficile mettere mano a qualcosa.
Diventammo amici quando scrissi, per Latina Oggi, che era stato necessario fare una delibera per restituire 5 o 6000 lire a una mamma che aveva pagato oltre il dovuto una prestazione per il figlio. Da alcuni mesi le 6 ex USL pontine erano state unite in una sola azienda e Franco Brugnola ne era diventato direttore amministrativo. Al vertice c’era Roberto Malucelli, direttore sanitario Francesco Perretta. Sì, come oggi i posti si dividevano, poco è cambiato tra prima e seconda repubblica. Però si guardava alla qualità. Ho seguito la Asl di Latina dalla sua nascita e devo dire che di qualità, successivamente, ne ho vista poca. Ma non c’entra, adesso, perché mi piace ricordare Franco uomo e professionista, appassionato di numeri e informatica, conoscitore della macchina amministrativa pubblica come pochi, sempre “contro” chiunque governasse se c’era da difendere un lembo di sanità pubblica e onesto fino al midollo. Quella volta ci incontrammo all’ingresso di piazza Celli, io ero lì come sempre a spulciare l’albo pretorio e lui “ma che vai a trovare, vieni con me“. Andammo nel suo ufficio, il quadro con lo spettacolo teatrale del fratello che non c’era più lo accompagnava sempre. Mi disse che avevo fatto bene a scrivere e che era vero, fare una delibera era più costo del rimborso, ma occorreva cambiare le regole e lui lo stava facendo. Nacque così il nostro rapporto e da lì non ci siamo più persi di vista. “Guarda che è bravo” – mi disse frettolosamente e con i suoi modi rudi Luciano Mingiacchi con il quale ne parlai e che lo conosceva bene. Sapeva di non sbagliare. Andò a Formia come direttore generale del Comune, alla Roma 6 commissario e poi direttore amministrativo, in Toscana a seguito di Malucelli che veniva, è vero, dal mondo delle Coop ma nel frattempo aveva imparato a conoscere la sanità. Poi Franco andò all’istituto zooprofilattico. Dalla pensione aveva iniziato a scrivere libri e io a presentarli sempre con piacere. Una volta anche ad Anzio, con una bel confronto con il sindaco Luciano Bruschini. Venivano entrambi dalla scuola della prima repubblica ed era un valore aggiunto. L’esperienza di candidato sindaco a Sabaudia – la sua città di adozione e scelta per la vita – non era piaciuta ai cittadini che votarono altri. Come accadde a chi scrive qualche anno dopo. E Franco c’era: “Non potrò fare il dirigente né ho voglia di fare l’assessore, ma se vinci una mano te la do”. Rileggere oggi quello che disse all’incontro in campagna elettorale è ancora istruttivo. Anzio, però. guardava altrove.
E’ la democrazia, ma che fosse “malata” di qualche vicinanza alla malavita lo temevamo già. Eravamo d’accordo che in caso di vittoria sarebbe venuto per un paio di giorni in “ritiro” con noi a spiegarci come funziona la macchina amministrativa, cos’è il “Sindaco di tutti” ma poi ci avrebbe fatto comodo anche il suo “Manuale per un consigliere d’opposizione”. Lo cercammo per i primi bilanci, poi ogni volta che c’era un dubbio. Della malattia parlava poco ma quando poteva lodava il personale del “Goretti”, intanto preparava “libri bianchi” sulla sanità, voleva che il cinema Augustus restasse patrimonio di Sabaudia ed era in prima fila nella battaglia per i “Pat”, i punti di assistenza territoriale. Lì non è che fossimo così d’accordo, però il principio era giusto: se togli un servizio (non di vitale importanza, ripetevo io) devi darne un altro adeguato. Appena saputo che sarei andato a Frosinone mi fece i complimenti e chiese di parlare del suo libro “bianco”, della carenza di posti per mille abitanti, dello squilibrio verso il privato, dei costi elevati per alcuni servizi. Dovevamo presentarlo insieme, ad Alatri, ma un suo malessere non lo ha consentito. Oggi che Franco se n’è andato dico che dovremo farlo lo stesso. Insieme all’amata moglie che stringo forte in questo doloroso momento.
Per ricordare un servitore dello Stato, un manager pubblico di assoluto livello. Un amico perduto. Ciao!
Basta un prefisso. Se lo aggiungi – come fece De Angelis nel 2013 – diventa discontinuità, se lo togli resta continuità. L’ex sindaco l’aveva riproposta – la discontinuità – copiando il suo precedente programma, anche nel 2018, salvo poi rivendicarela continuità con Bruschini in consiglio comunale. Adesso è ora che De Angelis torni in Comune, perché tutto ci aspettavamo dalla commissione straordinaria tranne la continuità con le precedenti gestioni. Un paradosso? Certo, ma proviamo a spiegare.
La relazione pubblicata con diversi omissis in Gazzetta ufficiale fa emergere certamente la vicinanza di esponenti di centro-destra a personaggi vicini a ‘ndrangheta e camorra, ma anche palesi responsabilità della macchina amministrativa che proprio De Angelis ha sempre definito “modello di amministrazione”. Se nella relazione sullo scioglimento si parla di “sodalizio tra politici e pubblici funzionari”, finora hanno pagato solo i primi, andando a casa. Decisione che a quanto sembra in queste ore sarà oggetto di ricorso.
E i funzionari? Come nulla fosse, nonostante emergano – al di là degli omissis – situazioni che tutto possono essere tranne che un “modello”. L’ex segretaria controllora e controllata che non segnala alla Corte dei conti la situazione di un funzionario che evidentemente al settore ambiente “garantiva” la maggioranza o ne era – ahilui – succube. Sempre nella relazione leggiamo di “assoluta continuità con il quinquennio precedente”. Al punto che il dirigente “signorsì” voluto dal sindaco con la procedura ex 110 per l’area finanziaria, messo anche a dirigere l’area tecnica pur non potendo farlo, rinomina quel funzionario al quale oggi si vorrebbero addossare tutte le responsabilità. Un vaso di coccio, alla fine, tra quelli di ferro.
Ma il dirigente dell’area finanziaria, nel frattempo vincitore di concorso, sarà quello che senza preoccuparsi troppo firmerà il contratto per consentire alla Aet di Ciampino di avere il deposito mezzi da una società sottoposta a interdittiva antimafia. In un’azienda privata, dopo un evento catastrofico come lo scioglimento, sarebbe ancora al suo posto?
Aet nella quale siamo entrati in fretta e furia e con molti dubbi procedurali (tanto che l’Anac ha scritto ad Aet e fatto emergere che sia lo statuto che il regolamento per l’esercizio del controllo analogo vigenti nell’estate 2021 non garantivano per Anzio effettivamente l’esercizio del controllo analogo al pari dei suoi stessi uffici comunali) e che ha rappresentato l’assoluta continuità con i metodi di Camassa e affini. La politica prendeva voti, il dirigente avallava. Questa è la realtà. Se torniamo al 2013, lo stesso allora era funzionario al servizio tributi e cosa faceva mentre si accumulavano milioni di euro di “residui attivi” proprio per i rifiuti? Come abbia fatto la commissione a dire che i conti sono a posto, è tutto da capire. Per questo ridateci De Angelis.
Da dirigente ex 110, poi, ha avuto la responsabilità del demanio sul quale la relazione relativa allo scioglimento interviene pesantemente, pensate che ci si “accontentava” delle autocertificazioni antimafia da parte dei concessionari e solo dopo l’arrivo della commissione d’accesso si è cominciato a entrare nella banca dati per fare le verifiche. Solo il 22 giugno di quest’anno, l’ex segretaria ha scritto che era necessario farlo. E il patrimonio? Vogliamo ricordare la vicenda Falasche? Il parere legale chiesto quando il guaio ormai era fatto e la commissione insediata?
Ma mentre l’ex segretaria è approdata in altri lidi (buon lavoro alla nuova, si riparta dalla “legalità delle cose quotidiane”), vecchi dirigenti voluti dalla politica (chi con un titolo per un altro e chi da chiamare per far rimuovere i sigilli a un amico) sono il passato, c’è chi resta misteriosamente al suo posto. Come avrebbe fatto se il sindaco fosse ancora in carica.
Ebbene questa cosa ha da essere chiarita. Se la relazione afferma la presenza di “ambiguità nel rapporto tra Comune e partecipate” dipendeva solo dalla politica? Certo che no. Solo che chi ha preso il posto di sindaco, giunta e consiglio comunale sembra non accorgersene e anzi mostra una certa continuità. Intendiamoci, non ci aspettavamo che si arrivasse con i mitra spianati e nemmeno è quello che deve fare una commissione straordinaria, solo che a leggere la relazione (loro ce l’avranno senza omissis) quando si parla di Capo d’Anzio qualche dubbio dovrebbe venire. Invece nell’approvare la ricognizione delle partecipazioni societarie c’è stato un copia e incolla della delibera di un anno fa e ci si vuole far credere che la Capo d’Anzio “ha redatto un piano industriale contenente una serie di investimenti programmati in grado di garantire la continuità aziendale e poter tentare di perseguire l’oggetto sociale, nonché la produzione di un servizio di interesse sociale. Alla data del 31/12/2022 si è registrato un concreto aumento del fatturato annuale e il 31/12/2023 potrebbe ritenersi termine congruo per la verifica della possibilità di avviare le procedure di affidamento dei lavori di realizzazione del nuovo porto di Anzio”. Quale sarebbe il piano, gli investimenti, quanto è aumentato il fatturato non è dato saperlo. Ecco, se resta al suo posto chi pure qualche responsabilità ce l’ha nell’avvenuto scioglimento e se non si adottano provvedimenti intanto sulla Capo d’Anzio, a questo punto torni pure De Angelis.