
“Vogliamo vedere i nostri diritti tutelati, quello alla felicità e allo studio. Il diritto di andare a scuola con il nostro nome”. Sid è un ragazzo dell’associazione Gender X che per sabato prossimo, 1 aprile, ha organizzato con l’adesione di altre 39 associazioni e il patrocinio del Comune di Roma la prima manifestazione per i diritti dei giovani trans.
E’ un mondo che ho scoperto direttamente, perché essere genitore significa affrontare tutto e sostenere i figli nei loro percorsi, anche quelli che inizialmente fatichi a capire. Per questo – e non solo – sarò in piazza, anzi saremo insieme agli altri genitori conosciuti in questo viaggio e a quelli che hanno dato vita all’associazione Genderlens che offre il suo sostegno alle famiglie ed effettua formazione per chi ha voglia di comprendere senza giudicare.
Perché pochi capiscono che non è una “moda”, altri ti guardano con compassione, tanti sorridono per circostanza e sotto sotto dicono “meno male che non è toccato a me” immaginando chissà quale “malattia”. La maggior parte semplicemente ignora o sta bene nella sua “normalità”. No, non è una patologia – ormai lo ha riconosciuto anche l’organizzazione mondiale della sanità – è quello che sentono realmente i nostri figli al di là del sesso assegnato alla nascita. Ha ragione Gioele Lavalle, presidente dell’associazione Gender X: “Dobbiamo prenderci cura dei transgender giovani, non abbiamo avuto una generazione prima di noi che lo facesse e per questo dobbiamo impegnarci”. E’ grazie a persone come lui e ai tanti che, negli anni precedenti, sono stati costretti a fuggire o nascondersi prima di potersi affermare nel loro genere che oggi siamo qui a parlarne. Che esistono servizi pubblici di qualità – tra tutti il Saifip presso il San Camillo Forlanini di Roma, eccellenza nazionale – dei quali qualcuno preferisce “dimenticarsi”.
Fu così quando insieme all’Ufficio scolastico regionale si immaginarono delle linee guida per le scuole. Bastò una interrogazione leghista in Regione e una sortita di “Pro Vita” a far bloccare quel progetto che era chiesto dalle scuole stesse. Sì, perché ci sono dirigenti scolastici e corpi docenti che applicano l’autonomia e hanno inserito nei loro regolamenti la “carriera alias” ovvero quel “andare a scuola con il nostro nome” del quale ha parlato Sid presentando la manifestazione. Altri, vetero burocrati o peggio cacasotto, si appellano alla mancanza di linee guida e passano oltre. Ci sono state persino delle diffide alle scuole – sono ormai 200 in Italia – che hanno deciso di applicarla, come fanno ormai numerose università. Diffide prive di fondamento e rispedite al mittente, mentre dagli insegnanti che affrontano ogni giorno il tema della varianza di genere si chiede di avere gli strumenti adeguati.
Solo che basta un comunicato stampa a mettere paura, come fu dal San Camillo e dalla Regione Lazio che negarono di conoscere il Saifip, ignorando (o fingendo di farlo) che i genitori pagano il ticket proprio all’azienda ospedaliera. Peggio, lo pagano anche gli esenti per reddito, come se seguire il percorso di transizione fosse un vezzo e non una necessità frutto di un percorso spesso tortuoso e doloroso. Cose delle quali avremmo voluto parlare con i rappresentanti della Regione all’epoca di Zingaretti presidente, peccato che la commissione sanità non abbia mai trovato il modo di “audire” le associazioni nonostante ripetute richieste. Riproveremo con Rocca, hai visto mai…
Perché ha ragione Cristina Leo, sempre di Gender X: “Di ideologia c’è molto poco, ci sono persone, circa 500.000 in Italia”. Non è questione di destra (che comunque fa la sua parte, non ci si può certo aspettare che “apra” su questi temi anche se Luca Zaia in Veneto lo ha fatto) o sinistra, quindi. Certo la neo segretaria del Pd Schlein che dice di battersi (e lo ha fatto, va ricordato) per il mondo Lgbtqi+ ha “dimenticato” che se un giovane trans volesse iscriversi al suo partito con il nome di adozione questo sarebbe impossibile. Nel link per l’iscrizione va indicato il codice fiscale ed è comprensibile, ma forse uno spazio alla carriera “alias” anche nel partito andrebbe lasciato. Per dare un segno, anche piccolo, di interesse reale e non di semplici proclami.
Ecco, saremo in piazza per tante cose l’1 aprile, ma anzitutto per parlare di diritti civili che spesso, in questo strano Paese, si fa fatica a conquistare e che purtroppo non sono acquisiti per sempre. Anzi. Fortuna che come ha ricordato Leila dell’associazione Libellula: “Questa è una comunità segnata dal dolore ma con grande resilienza e che ha saputo fare del dolore un’opportunità”. E fortuna che ci sono iniziative come quelle del TDoV che la sera prima – il 31 marzo – all’Esc Atelier di San Lorenzo terrà il “Festival della visibilità transgender” per parlare, come ha ricordato Asia Cione, di “sex workers, diritto al lavoro, fluidità di genere”. Per i diritti di tutti, l’1 aprile, ci saremo.