Per chi si diverte a parlare senza sapere, posto anzitutto la foto sopra. Anno 1993 o 1994, manifestazione organizzata dal settimanale “il Granchio” a seguito delle operazioni di polizia note come “Tridente” e “San Valentino” e di un delitto legato al traffico di droga. Qualcuno – soprattutto tra chi è uso cambiare partito a seconda di come tira il vento – è solito dimenticare. Ma l’impegno civile di chi scrive – come per fortuna (non elettorale, vero, per chi la vede solo da quel punto di vista) di molti altri sul territorio – non inizia e tanto meno finisce oggi. Non era e non è legato ad alcun tornaconto, non avevo e non ho bisogno di “fare” politica per trovare una sistemazione. Il mio curriculum professionale, per chi vuole, è anche su questo sito.
Ora la Lega di Nettuno – mai chiamata in ballo – ha sentito il dovere di replicare alla citazione di atti giudiziari nei quali un clan che a Latina – secondo il racconto di pentiti – ha avuto una certa “vicinanza” con esponenti di quel partito, spiega i rapporti con la criminalità del territorio, compresa quella di Anzio e Nettuno. E’ un fatto. Ho dato spazio, qui ce l’hanno tutti, alla nota arrivata che (perdoneranno gli autori) lascia il tempo che trova.
Perché nei verbali dei pentiti la cosa più interessante – e al momento ignota, spiace per chi mi invita a fare nomi e riferire circostanze – sono gli “omissis”. Sì, le parti che non vengono rese note, perché i collaboratori di giustizia hanno evidentemente segnalato potenziali reati e coinvolto persone sulle quali la magistratura può svolgere accertamenti. A un certo punto, dopo che vengono resi noti i contatti con gli Sparapano e i Gallace – ad Anzio e Nettuno (anche la Lega dovrebbe sapere di chi parliamo, giusto?) c’è un lungo “omissis”. Chi si è pentito ha riferito circostanze che evidentemente possono far tremare chi sa di aver avuto rapporti diciamo poco raccomandabili.
Sono esponenti politici? Altri delinquenti? Persone insospettabili? Non lo sappiamo. Ciò che è noto sono altri atti dai quali certi rapporti escono, almeno su Anzio. Ho detto e ripeto che tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva e che le responsabilità penali – ove esistano – sono personali. Ne facevo, ne ho fatto e ne farò sempre una questione di responsabilità (e scelte) politiche. Anche questo non lo dico da oggi, ma non ci sono sordi peggiori di quelli che non vogliono sentire.
Riporto il pensiero della Lega di Nettuno su un mio recente blog. Confermo quanto scritto lì e nelle carte dell’inchiesta. Lascio ad altri – compresa qualche evidente “manina” di Anzio – le vicende personali, professionali ed elettorali. E comunque sull’etica non accetto lezioni. Ribadisco che su questo territorio esiste una emergenza, non la denuncio da oggi ma da oltre 25 anni. Basterebbe avere la bontà di leggere gli archivi. A seguire la replica, questo è uno spazio aperto.
“Come sempre accade vicino al periodo elettorale, una parte del centrosinistra e della stampa ‘intelligente’, quella che sale sui pulpiti e fa la lezione e la morale, torna a parlare di mafia associandola a partiti e coalizioni. In questi giorni, senza un’indagine, senza un’accusa, senza una denuncia, si è associato il termine Mafia alla Lega di Nettuno. Il tentativo evidente è quello di danneggiare chi sta portando avanti un percorso politico alternativo a quello di chi scrive. La stampa ‘intelligente’ è quella che si può permettere di candidarsi a Sindaco ad Anzio con il Pd dopo aver fatto l’ufficio stampa al Sindaco del centrodestra e, dopo aver ben frequentato tutti gli ambienti della politica, oggi sapientemente giudica. E’ troppo facile davvero in questo modo tentare di gettare fango e cercare di favorire persone che sono politicamente più affini. Ma è un modo di agire scorretto e privo di etica personale e professionale. Se il giornalista e candidato del Pd Del Giaccio è a conoscenza di qualche fatto che in qualche modo coinvolge la Lega di Nettuno con atti criminosi o persino mafiosi, lo dica apertamente, faccia nomi, denunci. Se invece così non è dimostri più rispetto per sé stesso e per la sua professione, che ha ampiamente usato per avvicinarsi alla politica e usarla a suo piacimento e che continua ad usare oggi contro quegli avversari politici che lo hanno pesantemente sconfitto alle ultime elezioni“.
Le vicende che riguardano il clan Di Silvio e che portano alla luce – grazie a due pentiti – i rapporti che c’erano a Latina e provincia con esponenti della Lega e non solo, stanno facendo agitare le acque persino nel governo.
Un ministro che ribadisce che lui la mafia la combatte e rischia di avercela in casa – stando a quanto emerge dalle carte – non ci fa una bella figura.
L’uscita su “Repubblica” della sentenza definitiva di Malasuerte e di quanto ad Anzio era ignoto solo a chi finge di non vedere, rimettono in evidenza quanto esponenti della politica di casa nostra abbiano almeno lambito certi ambienti.
E dalle carte emerge, adesso, chi attaccava quei manifesti per conto di noti esponenti politici di Latina e provincia, molto presenti dalle nostre parti, passati da una precedente militanza o saliti in fretta e furia sul “carro” della Lega. Gente che si muoveva tra estorsioni e attacchinaggio a pagamento, nonché compravendita di voti, ad Anzio e Nettuno aveva rapporti con famiglie potenti, note alle cronache. Nelle loro ricostruzioni, i pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo descrivono per filo e per segno come si muovevano se dovevano andare in una zona non di loro competenza e come – comunque – fossero ampiamente conosciuti per il loro spessore criminale. Che – ricordiamolo agli smemorati o a chi finge di non vedere – è attenzionato al punto che c’è un processo per associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti del clan.
E di cronache si tratta, non di “collage” come scrive il sindaco di Anzio. E non si può rispondere come ha fatto il consigliere Maranesi – anche avendo ragione, anche comprendendo la rabbia del momento – che ci si deve lavare la bocca “con l’acido muriatico” che corrisponderebbe inevitabilmente a fare una brutta fine.
I giornalisti raccontano, gli esponenti di comitati denunciano o riportano quanto emerge da atti giudiziari e indagini, la presenza di ‘ndrangheta e camorra dalle nostre parti è nota e sappiamo adesso che con loro anche il clan Di Silvio si rapportava.
Non c’era bisogno che uscisse Repubblica per ricordarci quanto accaduto da queste parti: lo sapeva bene e lo ha scritto la commissione antimafia, ha finto di non accorgersene il prefetto di Roma, hanno dormito i ministri Alfano e Minniti. Le prove “muscolari” nei seggi di Anzio le ricordiamo tutti ed erano eloquenti. Così come i legami tra le diverse indagini (da “Malasuerte” alle cooperative del verde, da Ecocar a Touchdown e tutto il resto), i personaggi che vi troviamo e i loro rapporti con esponenti di camorra e ‘ndrangheta, l’imprenditore che voleva “ammazzare Placidi” e ha rapporti con la Lega e vorrebbe farlo con chi ancora oggi è in campagna elettorale a Nettuno…. Da ultimo la recente e misteriosa vicende di cronaca – a Lavinio – passata quasi inosservata e che invece ribadisce la contiguità di un certo mondo.
Vediamo cosa farà chi ci governa, che il faro va puntato oggi lo ribadisce Morra, presidente dell’antimafia – e va fatta chiarezza una volta per tutte.
Vediamoci domani a piazza Venezia, a sinistra dell’altare della Patria, dalle 11 alle 13. Ritroviamoci per la manifestazione a sostegno di Radio Radicale ma, più in generale, per il diritto alla pluralità di espressione in questo Paese.
Chi ha la bontà di seguire questo spazio sa che non ho mai fatto questioni di “casta” e conosce bene come la penso su chi il mestiere di informare lo ha scambiato per altro o vìola le regole.
Ma il punto è un altro e riguarda la libertà di tutti noi. Il sottosegretario Crimi – magistralmente definito un “ex emarginato” da Salvatore Merlo sulle colonne del Foglio – ne ha fatto una questione quasi di principio. Il servizio pubblico? Lo fa la Rai, l’attività di Radio Radicale (che costa 10 volte di meno) non è più necessaria. Il sottosegretario – e la truppa grillina che da anni dice che il sostegno all’informazione va eliminato – ha ribadito che la convenzione non sarà rinnovata e sa bene che questo equivale a far chiudere Radio Radicale e mandare disperso il patrimonio – sì, il patrimonio – di un archivio che ha un valore inestimabile. Mettere a tacere l’unico strumento attraverso il quale – ma è solo l’ultimo esempio – abbiamo seguito dalla prima all’ultima udienza del processo sul sangue infetto a Napoli. O attraverso il quale, liberamente e autonomamente, ciascuno può farsi un’idea sul processo Cucchi o i lavori di un congresso di partito – di qualsiasi partito – su una commissione parlamentare o un convegno. Ma Radio Radicale deve tacere, a seguire – lungi dal toccare quelli che loro chiamano “i giornaloni” – toccherà agli altri media. A quelli locali, per esempio, senza i quali intere comunità resterebbero prive di un punto di vista prima ancora che di un mezzo di informazione. Anzio e Nettuno, senza “Il Granchio”, sarebbero più povere. Ah certo, c’è la “disintermediazione“, c’è la verità “della rete“, ci sono i “prosumer” e tutto quello che vi pare, ma senza alcune voci tutti saremmo più poveri. E questa – unita alle querele temerarie, ai tagli alle agenzie di stampa – è un’altra forma di bavaglio. E poi non avrebbero spazio i deboli, ad esempio, perché se viene meno il sostegno e chiudono “il Manifesto” o “Avvenire”, nessuno si occuperà dei diritti di chi non ha voce e paga già il cosiddetto “digital divide” ovvero non ha accesso alla “rete” come tutti. E parliamo di realtà agli antipodi per i due quotidiani citati.
Ecco che la battaglia non è per Radio Radicale, ma per tutti. Lo ha riassunto bene Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa, nella conferenza di qualche giorno fa proprio alla Fnsi: “Riteniamo che la mobilitazione che si è creata non sia una un qualcosa di facciata. Appartiene alla storia democratica di questo Paese, appartiene soprattutto alla tradizione del pluralismo dell’informazione di questo Paese. Quando parliamo di radio radicale parliamo di una una voce che incarna uno spirito di libertà, lo spirito dell’articolo 21 della Costituzione. Il diritto di informare e soprattutto il diritto dei cittadini ad essere informati, dare voce a tutti anche a coloro di cui non si condivide il pensiero. Questa è una grande lezione di democrazia, una lezione che non può essere spenta da un provvedimento che più lo guardiamo e più ce ne convinciamo è dettato da ragioni meramente ideologiche”
Anche il consiglio comunale di Anzio si è unito ai tanti, in Italia, che hanno sollecitato una soluzione. La proposta della capogruppo Pd Anna Marracino ha trovato il favore di tutti, grillini esclusi. E non c’erano dubbi sul fatto che il sindaco, al quale Radio Radicale si era appellata come a tutti i primi cittadini, avesse già aderito. Ci sono questioni che vanno oltre le appartenenze.
Poi ci sono le ragioni di chi propone e difende il provvedimento: la gara, la convenzione prorogata, i soldi da risparmiare dicendo basta ai finanziamenti di Stato all’informazione e via discorrendo. Bene, la gara c’è stata, se ne faccia un’altra se il governo vuole, partecipasse pure la “Casaleggio e associati”, così magari scopre che è facile fare soldi grazie ai “contratti” sottoscritti dai parlamentari, meno se si fa una impresa come quella che Radio Radicale ha messo in piedi anche grazie alla convenzione prorogata, certo.
E ci vogliamo mettere i fondi all’editoria? Ma sì, dai… C’è chi ha rubato ed è stato perseguito, ma ci sono quelli che le regole le rispettano. Ci sono tanti “Granchio” in Italia che per ottenere il finanziamento hanno assunto, pagano i contributi, fanno parte della economia di un territorio. Se chiudono, è un male non solo per l’informazione ma per il tessuto produttivo fatto di stipendi pagati e spesi per fare acquisti nelle realtà dove si vive e lavora.
“Eh – dicono i duri e puri a 5 Stelle – è il mercato. Se ce la fai resti aperto, altrimenti fallisci“. A parte che parliamo di diritto ai cittadini di sapere e di avere la possibilità di confrontare più voci/opinioni – tanto che in Canada il governo ha deciso di investire 600 milioni di dollari – e non di scarpe, maglioni o qualsiasi bene di consumo vogliate, ma proviamo a seguirlo il ragionamento. E diciamo pure: ok, togliamo il finanziamento a Radio Radicale, togliamo i sostegni all’editoria, ma allora eliminiamo le agevolazioni fiscali per chi assume, la cassa integrazione in caso di crisi, gli sgravi se fai i lavori in casa o acquisti i mobili. Togliamo tutto: chi sta sul mercato, ci rimane, chi non riesce pazienza. Addio agli “ammortizzatori sociali“, evviva, ma se hanno quel nome ci sarà un motivo. Dai, ci arrivano anche gli “ex emarginati” a capirlo.
Buona Pasqua, ci vediamo a piazza Venezia. Per Radio Radicale e per la libertà. Di tutti.
Dall’amministrazione anziate si sono affrettati – e hanno fatto bene – a emettere l’ordinanza per bloccare i lavori al distributore di fronte Tor Caldara e a esprimere solidarietà a Linda Di Benedetto, la cronista aggredita dagli operai che lavoravano nel cantiere. Il timore – rispetto all’impianto di carburanti – è che si chiuda la stalla dopo che i buoi sono scappati. Sempre per la “singolarità della vicenda” e il “comportamento ondivago” che non chi scrive né chi solleva dubbi attraverso diversi strumenti fanno notare, ma il Consiglio di Stato. La magistratura amministrativa – è bene ricordarlo – su quanto accaduto in Comune rispetto a quell’impianto ha trasmesso gli atti in Procura e alla Corte dei Conti. Come si può leggere di seguito
Succederà nulla, ma almeno c’è chi un sospetto lo ha insinuato sulla procedura singolare con la quale si è arrivati ad autorizzarlo. Il resto lo faranno, dopo aver acquisito gli atti anche in questi giorni, i Carabinieri forestali che stanno indagando sulla vicenda.
Dalle minacce alla giornalista, però, siamo passati a quelle a un ex consigliere comunale che avrebbe avuto l’ardire di chiedere se gli attuali rappresentanti sono in regola o meno rispetto ai pagamenti dovuti all’Ente. Posi la questione al primo e unico consiglio comunale al quale ho preso parte, dopo le elezioni del 2018, feci un accesso agli atti al quale risposero come si può leggere qui sotto. Era il 26 novembre scorso.
Ebbene qualcosa deve essere cambiato se l’iniziativa di un ex consigliere, candidato nelle liste che hanno portato alla vittoria al primo turno l’attuale sindaco, ha scatenato ire tali che lo stesso sembra essersi rivolto al commissariato di polizia. Se non lo ha fatto, speriamo lo faccia. Perché è bene mettere un punto a questo clima.
E torno a quel Consiglio, perché siccome le parole sono importanti, ricordavo che questa maggioranza nasce su “un sistema che affonda le radici in prove muscolari che abbiamo visto anche nei seggi, nei toni letti nelle carte delle indagini“. Le tensioni delle quali abbiamo letto e leggiamo in questi giorni, certi accadimenti minimizzati da chi governa e l’ultimo episodio ne sono la conferma. Il clima, purtroppo, è questo.
I lavori del distributore davanti a Tor Caldara sono stati sospesi con una ordinanza della quale dà notizia il Comune di Anzio. E’ accaduto dopo l’increscioso episodio di questa mattina.
Ne prendiamo atto, ribadendo che serve massima chiarezza perché quel procedimento ha avuto già un iter che i giudici del Consiglio di Stato definiscono “singolare” e inoltre è già costato alle casse del Comune – quindi dei cittadini – un debito fuori bilancio da 250.000 euro circa.
Se in Comune è accaduto altro rispetto alla presunta richiesta di “deviare” la falda, è bene che sia reso noto con trasparenza. “Ripartire dalle regole” come diceva il sindaco nel suo programma è condivisibile. Bisogna farlo, però.
I Carabinieri di fronte al distributore (foto dall’Eco del Litorale)
Sulla vicenda del distributore in fase di realizzazione di fronte alla riserva naturale di Tor Caldara si risveglia sui social un certo dibattito. E’ sacrosanto, anche se purtroppo temo servirà a poco. Quell’impresa è autorizzata, c’è una sentenza del Consiglio di Stato che le dà ragione, e quindi può procedere.
Quello che dice la sentenza e ciò che emerge di recente, invece, è un altro classico esempio del “sistema Anzio”. In questo spazio ho già reso noto che i giudici amministrativi – caso più unico che raro – hanno trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica e alla Corte dei conti, sottolineando il comportamento “ondivago” del Comune di Anzio e la singolarità dell’intera vicenda. Che inizia nel 2003 e termina con il pagamento – nel 2018 – di un sostanzioso debito fuori bilancio. Chi fossero i sindaci lo sappiamo, così come sappiamo che indirettamente è coinvolto un ex assessore ed ex consigliere comunale di maggioranza, candidato anche alle ultime amministrative nella coalizione vincente.
A quanto accertato dal Consiglio di Stato si aggiungono le vicende di questi giorni, la notizia di una “frana” nei pressi del cantiere e quella di una deviazione della falda. L’assessore Fontana – che pure ha avuto qualche ruolo in questo ventennio di centro-destra – ci informa che sì una deviazione c’è stata e l’amministrazione si è attivata da tempo. Per fare?
Perché i lavori di quel distributore proseguono e sembra che l’impresa – ricordiamolo, con buone aderenze in maggioranza – avesse chiesto di poter deviare il corso d’acqua. Richiesta che in Comune o non è stata vista o è stata sottovalutata o si è lasciata nei cassetti facendo scattare – e speriamo vivamente di no – il cosiddetto silenzio-assenso.
Ebbene c’è chi a questa storia prova ad andare in fondo, come Linda Di Benedetto che mette grande passione nel raccontare le vicende di questo territorio e stamattina è stata aggredita verbalmente e cacciata dal cantiere, in presenza di forze dell’ordine, perché era lì per raccontare. Se capisco bene, in quel cantiere c’erano lavoratori che si allontanavano di corsa – forse perché irregolari – e altri che si sono permessi addirittura di chiedere i documenti alla giornalista, provando a sostituirsi alle forze di polizia.
E’ ora di dire basta!. Questa città sta tollerando fin troppo situazioni al limite della legalità, gente che in Comune strilla, sfascia e resta al suo posto, toni pesanti, pressioni su chi lavora, minacce nemmeno tanto velate in ogni occasione e che sommessamente ho ricordato in aula consiliare riferendomi – ad esempio – a quello che avvenne nei seggi poco meno di un anno fa. Il clima era ed è questo: irrespirabile. Esattamente come (e forse peggio) di quando c’era Bruschini a guidare la città.
E’ ora che almeno sul distributore di fronte a Tor Caldara per primi gli amministratori – sindaco in testa – facciano chiarezza e rivedano i passaggi effettuati, si verifichi la regolarità del cantiere, tutto ciò che è possibile fare scevri da vicinanze politiche o meno ma ripartendo da quelle regole che De Angelis aveva messo nel suo programma ben presto accantonato.
“A Delgià, tu m’hai tradito. Però sei bravo“. Lo aveva detto con la sua inconfondibile voce un po’ roca, sul romanaccio, ed era il suo modo di esprimere la sua stima nei miei confronti. Lo aveva detto una volta, incontrato in un locale a Latina, e una seconda ai funerali di Ajmone Finestra. Stringendomi sempre forte la mano. Giuseppe Ciarrapico, “Peppino” per molti e “il Ciarra” per altri, è stato per il sottoscritto sempre il Presidente. Sì, il rappresentante – anche se formalmente si affidava a personaggi di varia estrazione, compreso uno che faceva le previsioni del Lotto – del gruppo editoriale per il quale ho lavorato 13 anni. Quello dei giornali locali di Ciarrapico, appunto, in particolare “Latina Oggi”. Sono solito dire che avendo fatto esperienza con lui, posso lavorare con tutti.
Ho aspettato un po’ prima di ricordare il Presidente, scomparso nei giorni scorsi. Ho voluto leggere anche un po’ di ricostruzioni, alcune reali altre fantasiose. Ho rimesso insieme, allora, la mia esperienza e qualche aneddoto che affido a chi ha la bontà di seguire questo spazio.
Intanto era nato lo stesso anno di mio padre (1934) al quale quando parlavo di Ciarrapico rispondeva da “basista” Dc “ah sì, ma è andreottiano” sottolineando – fra l’altro – che tanto avevo rotto le scatole ma poi con un democristiano ero finito. Eppure fino al ’99, alle Europee di quell’anno, “Latina Oggi” è stato il più bel giornale nel quale lavorare. Sì, era di Ciarrapico, ma non aveva mai messo bocca. Mai.
Ci aveva invitato una sera da Rosati – e Lidano Grassucci ricorda bene l’episodio dei vestiti che ci facemmo prestare per l’occasione – si era affacciato nel ’94 per la discesa in campo di Berlusconi, aveva iniziato a convocare a Roma (e farceli incontrare lì, spesso chiamato da loro…) i politici pontini, ma si era tenuto ai margini. Aveva altro da fare, come imprenditore, ma i guai giudiziari e la necessità di salvaguardare le imprese attive nella sanità anche attraverso la sua uscita di scena, lo fecero tornare al suo grande amore: l’editoria.
Lui che aveva messo in circolazione, dagli stabilimenti di Cassino, libri “scomodi“, lui “fascista” dentro ma democristiano di nome e di fatto, raccontava che da un viaggio negli Stati Uniti ebbe l’intuizione della stampa locale. Era con il suo grande amico, il principe Caracciolo, dal quale lo dividevano le idee politiche non certo l’interesse per le imprese. “Fanno un giornale nel Bronx? Lo faccio pure io“. E visto l’intuito che non gli mancava, si era affidato al “Conte”, al secolo Paolo Brunori, strappato dalle “province” del Tempo che a quell’epoca vendeva senza problemi, il quale aveva messo insieme una squadra di esperti e giovani di belle speranze. Quando ci parlai, la prima volta, per scrivere di baseball da Anzio e Nettuno, tornato a casa lo dissi a Marcello Ciotti, giornalista Rai che era un po’ il nostro “tutore” sul territorio. Nostro nel senso di chi voleva tentare l’avventura in questo straordinario mestiere. “Ho parlato con un certo Brunori…” E lui: “Paolo Brunori?“, confermai “Sì sì, Paolo Brunori“, al quale seguì “Altro che certo Brunori, sai chi è? Si vede allora che vogliono fare una cosa seria“. E la fecero, fino a quando il Presidente non entrò solo nell’impresa ma volle “deciderlo“, il giornale, dettarne la linea. La fecero al punto che non hanno mai saltato uno stipendio, ad esempio, nemmeno con lui in carcere per Tangentopoli
Dagli iniziali incontri di “gruppo” con i colleghi ciociari o del Molise, abruzzesi e delle altre realtà laziali, che somigliavano a gite fuori porta nelle quali il Presidente somigliava più al bonario Aldo Fabrizi che al “padrone” dei giornali dei quali pure ci illustrava dati e prospettive, si era passati a quelli sui candidati da sostenere, fino alle sue dettature di improbabili editoriali o alla scelta su chi poteva finire sul giornale e chi non. Incontri a volte seriosi, altri goliardici, altri ancora da “re” decaduto ovvero passato dal premio Fiuggi accanto a Gorbaciov a voler incontrare il sindaco di Santi Cosma e Damiano.
Alcuni episodi? “Aho, portala via… Ma tanto prima o poi la fonte me la riprendo“, disse a un cameriere che pensando di fare cosa gradita portò in tavola bottiglie di acqua “Fiuggi”. O quando per giustificare l’uscita del lunedì, dopo l’accordo con “il Giornale” per uscire insieme a Latina Oggi (il più venduto del gruppo) di fronte alle nostre titubanze disse: “E mica a Paolo Berlusconi posso di’ a zappà la vigna nnamo insieme e a coglie l’uva vado da solo“. E quando di fronte agli annunci “hard” pubblicati sui quotidiani argomentò prima dicendo che non erano il massimo per le sue pubblicazioni, poi di fronte a uno dei personaggi che aveva preso dal nulla e fatti diventare amministratori che ribatteva “presidente, entrano 15 milioni al mese….” si girò verso il direttore e disse “aho, nse po’ fa….” O quando, senza mezzi termini, diceva a qualche collaboratore “te caccio…” solo perché aveva avuto l’ardire di sentire un politico a lui non gradito O – ancora – il racconto della conoscenza con la Cucinotta, i racconti del breve periodo da presidente della Roma, quelli della conoscenza con Andreotti a Gaeta, in una pescheria, le serate nella villa al Circeo, la telefonata a urne appena chiuse per sapere chi avesse vinto, le visite al “Campo della memoria” a Nettuno o i “compiti” che assegnava a qualche collaboratore o la visita a Ninfa con la De Gregorio che avrebbe scritto della festa della fondazione di Littoria, mai avvenuta. E tanti, tanti altri episodi.
Ebbe l’intuizione dei media locali, sapeva di cosa parlava, come qualcuno ha scritto conosceva l’odore del piombo ma dietro ai giornali ha fatto il suo ultimo errore imprenditoriale, inseguendo i soldi facili del finanziamento all’editoria.
Me ne ero già andato, insieme proprio a Lidano, di lì a poco sarebbe nata una nuova sfida. Eravamo pronti, ma decidemmo un 26 dicembre quando il Presidente piombò in redazione mica per gli auguri, ma per una delle sue sfuriate. Era troppo. A quel punto avevamo ufficialmente “tradito“, perché lui di quella intuizione aveva fatto -nella propria mente – una sorta di “manipolo“. Era il suo modo, forse, per restare “fascista”. Non lo nascose da candidato al Senato, in posizione eleggibile, per volontà di Berlusconi che secondo quanto si vociferava lo ricompensò così dell’accordo sul lodo Mondadori di anni prima.
Ha attraversato prima e seconda repubblica, Ciarrapico, e con lui come ha scritto sul Messaggero Marco Ventura “se ne va un mondo che non tornerà più“.
A me piace tenere quel complimento alla sua maniera, riconoscendogli che senza quella intuizione nel Bronx e gli anni trascorsi nel suo gruppo, forse oggi farei un altro mestiere. Che esperienza, Presidente, bella e burrascosa. Sicuramente grande.
Ti aspetti che almeno il sindaco dica una parola sulla sentenza di Cassazione per Malasuerte, quella che conferma la contiguità della politica con il mondo emerso da quell’indagine diventata verità giudiziaria. Nessuno ne parla ed evita anche lui, del resto chi ha avuto parte in quella storia – sia pure non penalmente rilevante ma di grande responsabilità – era nelle sue liste. E il Comune si è ben guardato dal costituirsi parte civile. Così come non è parte dei processi – che riguardano due assessori in carica e un ex molto presente negli uffici – per le 27 proroghe e il contestato passaggio da Giva a Parco di Veio. O forse la loquacità ritrovata grazie a un ufficio comunicazione che sa fare il suo lavoro ma era stato inspiegabilmente messo da parte (o comprensibilmente, dipende dai punti di vista) serve a nascondere le tensioni delle quali arriva l’eco, assessori impegnati in campagna elettorale a Nettuno o la grande attenzione della maggioranza sulle vicende della politica dei “cugini”. In realtà non avendo attuato uno dei punti del programma copiato e incollato dal 2013 – va dato atto solo della storica approvazione del bilancio preventivo nei tempi e dell’uso smodato di #brandAnzio – il sindaco applica la sua verve per una nuova “vendetta” rispetto alla campagna elettorale di allora e per dirci che è pronto a cacciare chi occupa sedi nonché a trovare una soluzione per il Paradiso sul Mare. Perché le idee degli altri non valgono nulla. Tipico del personaggio.
IL MUSEO
La “vendetta”, dicevamo. Nel 2013 Patrizio Colantuono sostenne apertamente Luciano Bruschini, postò un video su youtube nel quale tesseva le lodi dell’allora sindaco e dava la certezza del nuovo museo dello sbarco. Che invece è rimasto dov’era, salvo “allargarsi” in piazza con una mostra fotografica in un locale che originariamente era previsto per la Capo d’Anzio, poi per una improbabile mostra di conchiglie, infine è stato assegnato al museo. Criteri? E chi li conosce… Colantuono stavolta si è candidato a sostegno di De Angelis, temeva che se avessero vinto altri il museo sarebbe finito, la sua creatura affidata ad altri. Ebbe modo di dire in un convegno organizzato dall’associazione “00042” che il materiale “è privato”. Gli risposi che fossi stato sindaco, il giorno dopo quelle affermazioni gli avrei tolto la chiave e che il materiale poteva essere pure privato, ma per un ventennio e più era stato in locali pubblici, con spese a carico della collettività e tanto di rimborso spese al Centro di documentazione e ricerca sullo sbarco per le visite guidate anche alla villa imperiale. Fa piacere che dopo averlo candidato nelle sue liste e dopo che il Comune ha versato – tra le cerimonie del 22 gennaio scorso – 5000 euro per allestire una mostra che era già aperta da mesi (!?), De Angelis si accorga di tutto questo. In realtà lo sapeva bene, ma i “conti” con il 2013 non erano chiusi e piano piano sta arrivando a presentarli. Come è stato per Alessandroni.
Per quanto mi riguarda, a Patrizio andrebbe fatto un monumento per la grande volontà messa in questi anni. Sa che l’idea di museo del sottoscritto è altra, di respiro europeo, ma intanto fa bene De Angelis a dire che una soluzione sulla proprietà del materiale va trovata. Resto dell’avviso che è della città e che se ci mettiamo a fare i conti l’abbiamo pagato abbastanza. La presidenza a vita può essere un ulteriore riconoscimento.
I PARTITI, GLI ALTRI SPAZI
Lo “sfratto” ai partiti ha del singolare, diciamocelo. Le sedi furono assegnate nel 2001 (era sindaco proprio De Angelis) dopo anni di menefreghismo. Da allora c’è chi non ha mai pagato e chi – come le liste che lo sostenevano – ha occupato abusivamente gli spazi di via Aldobrandini nell’ultima campagna elettorale e c’è chi (Forza Italia e Udc) è ampiamente moroso. Non solo, la sede storica dell’ex Movimento Sociale (come è storica quella che oggi occupa il Pd che paga regolarmente) venne assegnata non sappiamo con quale criterio all’allora Futuro e libertà per l’Italia che il senatore dell’epoca – De Angelis – aveva creato ad Anzio una volta uscito dal Pdl. A un accesso agli atti del sottoscritto nel breve periodo da consigliere, ma anche alle battaglie condotte in tal senso anni fa dal “Granchio” che chiedeva lumi, quindi dalla puntuale attività di Città Futura attraverso Chiara Di Fede e altri, ma anche alle richieste dei 5stelle prima ancora che arrivassero in Consiglio su tutti i locali pubblici, oggi sappiamo almeno qual è la situazione.
E i partiti abusivi o morosi che oggi De Angelis vuole sfrattare – anzi no, vorrebbe cacciare tutti a prescindere…. – sono quelli con i quali ha condiviso quegli spazi. Compresa la Lega nella quale è transitato, nel frattempo. E non può esimersi da questa responsabilità. Anzi sarebbe ora – non è mai troppo tardi – che come si afferma da più parti, oggi si faccia definitivamente chiarezza su chi e a quale titolo occupa i locali pubblici. Tutti. Ricordiamo sommessamente – sono delibere, dovrebbe conoscerle – che il centro anziani fu provvisoriamente spostato nella “Casa delle associazioni” mai aperta con la scusa che i locali dell’ex ambulatorio erano pericolanti e che al suo posto ci abbiamo messo l’associazione disabili che fa meritoriamente la sua opera in memoria di Elena Castellacci. O che “a soggetto” sono stati concessi spazi all’ex Saragat. E che sul campo di Falasche non è bastato cacciare Alessandroni. Stanno pagando gli arretrati? Così, per la cronaca e perché non arriva oggi da Marte a fare il sindaco.
IL PARADISO SUL MARE
Non ci arriva e per questo dobbiamo ricordargli che fatichiamo a trovare – in venti anni di centro-destra – un atto che abbia dato il segnale di una scelta politica rispetto al futuro del Paradiso sul mare. O qualche euro speso, magari dai fondi ottenuti per le riprese di “Nine” piuttosto che del “Talento di mr Ripley”. No, forse qualcosa è stato speso: per ospitare una conferenza internazionale sul Mediterraneo. E una delibera di giunta in realtà c’è: è quella del 2017 – De Angelis era di lotta (poca) e governo (tanto) – quando Luciano Bruschini finalmente si decide ad approvare un atto che era indispensabile per il progetto legato al concorso del “Fai”. Progetto per il quale firmammo in tanti, attuale sindaco compreso, ma siccome a raccogliere quelle firme – come fu prima per la tutela della Villa Imperiale – era un comitato di cittadini, allora oggi si deve dire che era una presa in giro. Bene ha fatto il portavoce del comitato, Claudio Tondi, a ribadire i passaggi che vennero fatti e cos’era quella idea. E bene fa il sindaco a dire che troverà i fondi. Lo auspichiamo tutti, ma anche qui l’ironico riferimento al “non ci saranno fondazioni” appare fuori luogo. È una idea che faceva parte del programma di #unaltracittà, lanciata molto prima delle elezioni, riproposta in questo umile spazio. È una idea che si può provare a percorrere – non costa nulla – perché se ci fosse una Fondazione disposta (pubblica, con i bilanci in regola, alla quale non chiedere posti in consiglio d’amministrazione ma di portare anche ad Anzio i suoi eventi e lasciare al Comune l’uso per le proprie finalità istituzionali) i lavori comincerebbero molto prima di quelli che arriveranno (speriamo) una volta trovati i finanziamenti, fatte le gare, considerati gli inevitabili intoppi e via discorrendo. E la gestione, poi? Farne cosa? De Angelis ricorda Villa Sarsina – e fa bene – ma lì l’originario finanziamento era per metterci il Comune e così è stato. Ripeto che se vogliamo parlare di #brandAnzio il Paradiso sul mare ne rappresenterebbe il biglietto da visita migliore. A sapere quali intenzioni hanno il sindaco e la sua maggioranza. Di annunci siamo stanchi.
La sentenza è definitiva. Quella di “Malasuerte”, delle estorsioni che hanno riguardato anche i parcheggi al porto per le auto dirette a Ponza e lambito la politica, è una storia chiusa dal punto di vista giudiziario. Una vicenda che ci racconta molte cose di come abbia funzionato – e funzioni – quello che amo definire da tempo come il “sistema Anzio”. E che, dalla sentenza di Cassazione e dalle dichiarazioni della difesa di uno degli imputati, emerge ancora più chiaramente. Dichiarazioni pesanti, come quelle che il pubblico ministero fece in primo grado – a Velletri – dicendo senza mezze misure che “sì, ad Anzio c’è la camorra”. La fece rispondendo a chi, i difensori degli imputati, non voleva si acquisissero gli atti relativi a Raffaele Letizia. Un presunto camorrista, detenuto al 416 bis, ai familiari del quale andavano i soldi estorti per la gestione dei parcheggi.
Gestione che secondo le intenzioni di un esponente di punta del centro-destra anziate – l’ex vice sindaco Giorgio Zucchini, in corsa fino alle ultime amministrative nella coalizione che ha eletto De Angelis – doveva essere “consorziata” ma che invece divenne il “pizzo per Angelo”. Al secolo Angelo Pellecchia, nell’orbita delle attività che in Comune passano per le cooperative del verde. Cooperative per le quali sono pendenti un paio di processi che non lo vedono coinvolto ma riguardano da un lato la vicenda delle 27 proroghe e dall’altro le violenze al momento del passaggio da Giva (sempre riconducibile a Salsedo) a Parco di Veio. Nel primo e nel secondo caso, sono a giudizio due assessori dell’attuale giunta, nel primo anche un ex assessore di nuovo molto presente in Comune. Ribadisco il concetto che si è innocenti fino a prova del contrario, ma la responsabilità politica di tutto questo è palese ed è altrettanto grave.
Torniamo a “Malasuerte”: Zucchini si fece promotore di un incontro, al quale presero parte secondo le sue dichiarazioni in sede di testimonianza in Tribunale, anche il fratello dell’ex sindaco Luciano Bruschini e l’imprenditore Ernesto Parziale, consorte dell’attuale assessore Valentina Salsedo e uso frequentare abitualmente gli uffici dell’ente. Quest’ultimo era arrivato a occuparsi di parcheggi con la cooperativa “Neroniani”. Quell’incontro – irrilevante dal punto di vista penale – diede di fatto il via alla vicenda che per comodità chiamiamo con il nome dell’operazione.
Si capisce, allora, perché nonostante le ripetute segnalazioni della Polizia Locale sui disagi che le società in concorrenza al porto per le auto dirette a Ponza il sindaco facesse spallucce. E forse si capisce pure il motivo per il quale, riferendosi ai disagi per l’ordine pubblico, arrivato ad Anzio l’attuale dirigente della polizia locale (sembra su “sponsorizzazione” proprio di Zucchini) si sia preoccupato di far spostare quelle società dietro al porto. Gratis. Su un’area della “Capo d’Anzio” che nell’ultima stagione ha invece affittato gli spazi a un prezzo irrisorio, che nonostante più accessi agli atti (di chi scrive, della Marracino capogruppo Pd e della Pollastrini capogruppo 5stelle) non sappiamo come sia stato determinato.
E veniamo alla Cassazione, perché la difesa di Pellecchia non ci ha pensato un attimo e intanto ha evidenziato come “chiunque era legittimato ad operare nel settore del car valet e nessuno poteva pretendere di avere il monopolio per evitare problemi di ordine pubblico, che già in passato si erano verificati in ragione della concorrenza deregolamentata tra le diverse ditte operanti al porto”. E poi ha chiamato in causa la politica, sostenendo che l’accordo era stato stipulato e “rinnovato nei due anni successivi, sulla base di una prospettazione di future problematiche per l’attività che non proveniva dagli imputati bensì dall’assessore comunale Giorgio Zucchini”.
Il processo ha detto altro, ma la linea di confine tra politica e chi operava al porto in un settore evidentemente redditizio, ne esce ancor più assottigliata. E non dimentichiamo il “ticket” di genere alle elezioni del 2013 tra Zucchini e Salsedo. Di più, la Cassazione ricorda come la vittima dell’estorsione, secondo la sentenza di primo grado: “nel 2013, dopo avere rifiutato di costituire un consorzio con la cooperativa “I Neroniani”, al primo anno di attività, decise comunque di versare una quota dei propri utili a detta cooperativa, assumendo una parte del personale, per evitare che “si potessero verificare al porto quelle paventate problematiche di ‘ordine pubblico’ in ragione delle quali il Comune […] avrebbe potuto bloccare la sua attività“. C’era una attenzione – chiamiamola così – evidente di chi “fa” politica. La stessa sentenza di primo grado parla infatti di “Pressione esercitata dal coinvolgimento nella vicenda di esponenti delle istituzioni comunali”.
C’è poco altro da aggiungere, se non che aspettiamo di sapere dove e versando quale canone – se ciò avvenisse ancora su uno spazio dei cittadini – le società gestiranno il servizio di parcheggio per chi è diretto a Ponza.