“Fare” il giornale, grazie Gigi

Sapevamo e abbiamo taciuto. Anche a noi stessi. Conoscevamo la tua riservatezza, caro Gigi, così quando ci incontravamo tra colleghi nessuno ne accennava. E dire che in più di qualche occasione ci era capitato di parlare di quei tempi, di quella straordinaria palestra che è stata “Latina Oggi”. Da ultimo quando è mancato Giuseppe Ciarrapico. Ha ragione uno dei tanti che ti ha ricordato sui social, il “romano” Claudio Barnini che nella sua esperienza con il Ciarra ha almeno vissuto spensierato gli anni con noi a Latina: speriamo siate in posti diversi lassù…

Perché Luigi Cardarelli, lo ricordo qualche giorno dopo la triste notizia della sua scomparsa, non meritava quell’editore così ingombrante in vita, meno ancora nel riposo eterno.

Lo so, a Gigi non sarebbe piaciuto nemmeno il clamore mediatico che ha avuto il suo passaggio, sarebbe stato schivo anche in quel momento se avesse potuto. E quando ci avvicinavamo alla cattedrale di San Marco (che “battaglie” con l’allora vescovo Pecile….) per l’estremo saluto, con Rita Cammarone ci siamo detti che in fondo in fondo si era scelto anche il clima.

Per avere meno gente, forse, o magari tenere lontano qualche ipocrita che invece c’era… Quelli che non varcavano la soglia di Corso della Repubblica, non provavano nemmeno a offrirti un caffè (freddo e amaro, d’estate) perché tanto avresti scritto ciò che volevi. Quelli che da un certo punto in poi hanno deciso che il loro riferimento era il Ciarra. Il quale inizialmente fece solo scena, poi entrò prepotentemente nelle scelte. L’inizio della fine, 1999 se non ricordo male.

Lo sapevi, ma non ammettesti (e quando mai…) che in fondo in fondo io e Lidano Grassucci avevamo ragione ad andar via. La situazione era diventata insopportabile, quando squillava il telefono nel “gabbiotto” sudavamo freddo perché avremmo dovuto rivedere un’apertura o ospitare uno sgrammaticato editoriale del presidente. E che pena quei fogli con i quali stabiliva di chi scrivere e chi non o i fantomatici ordini di servizio.

Tu, Gigi, hai tenuto botta finché hai potuto, hai provato a salvaguardare la “sacralità” che ci avevi tramandato della redazione, di questo straordinario lavoro, della necessità di fare la guardia “a tutti i Palazzi, comunque intesi”, come scrivesti sull’editoriale (attualissimo, 27 anni dopo) del primo numero del “Granchio”.

Ti chiesi la cortesia di scriverlo dopo averti chiesto l’autorizzazione a collaborare a quella intrapresa. Mi mettesti di “corta” ogni mercoledì, giorno di chiusura del “Granchio” ed era il tuo modo per dire: vai e fai. Dicono che mi consideravi un po’ come tuo “erede”, cosa alla quale non ho mai creduto. Paola un giorno a pranzo a casa tua mi disse che ti rivedevi in me da giovane, forse lo pensavi davvero, per questo vivesti come un “tradimento” il mio addio al giornale. Ecco, non ne abbiamo mai parlato, ce lo siamo sempre tenuti per noi, oggi vorrei dirti ancora e semplicemente: grazie. Come quella sera che chiusi dietro le mie spalle la porta di Corso della Repubblica. Grazie per la fiducia che non hai dato a me – affidandomi la responsabilità a un certo punto di sostituirti al giornale e all’Ansa – bensì a tutti i colleghi cresciuti in quella palestra. Ci ha fatto “fare” i giornalisti, per questo maestro è un termine riduttivo e che non avresti apprezzato.

Eri più felice di me quando il Messaggero stava per portarmi a Roma, cosa che a te il Tempo aveva sempre negato, rispondesti “lo sapevo” e rimanesti deluso quando non se ne fece più nulla. Meglio così, Gigi, dammi retta, E meglio che la mia “carriera” politica – che non hai condiviso, anzi… – sia finita presto. Anche di questo non abbiamo mai parlato, era il modo non solo per “controllare” il Palazzo ma rivoluzionarlo. Lo so, ai giornalisti compete altro, ma conosci la mia viscerale passione per Anzio, un po’ come l’idea “Europea” che avevi di Latina citando Muzio e Corona.

Schivo sì, riservato pure, ma quel “grazie” dopo il grande lavoro fatto sul piano regolatore di Cervellati, detto a ciascuno di noi, resta indelebile nella memoria. Perché, lo sai, lo ha ricordato Francesco leggendo in Chiesa, noi il giornale lo abbiamo “fatto” finché abbiamo potuto. Vallo a spiegare, per esempio, all’intellighenzia di Latina, della città non a caso “incompiuta” come l’hai descritta nel tuo ultimo libro, che quella sera della vittoria di Finestra noi avevamo pronta una analoga prima pagina con il titolo Di Resta. Vallo a spiegare che con i primi mezzi informatici che avevamo e grazie al compianto Massimo Santarelli ingrandimmo il corpo dei caratteri e perdemmo un pomeriggio. Perché non c’era la rapidità di oggi, non c’erano gli strumenti, i social nemmeno immaginavamo cosa fossero, però il giornale lo “facevamo” e chiunque avesse vinto il ballottaggio dovevamo essere pronti. E vallo a spiegare che quando ancora c’erano i menabò avevi una precisione maniacale con quel “tratto pen” passato sui fogli, tenevi alla grafica come a una notizia ma questa doveva venire sempre prima di sommari, sommarietti e arzigogoli vari. Perché – quante volte me la sono rivenduta – i giornali “si fanno, non si riempiono”. Perché l’essenza di questo lavoro è la notizia, è trovarla, è curiosare, è scriverla come nessun altro farebbe. Che scempio il “copia incolla” di oggi, vero Gigi? E non aveva forse ragione Umberto Eco rispetto a chi ha avuto sui social una voce che sì e no sarebbe rimasta al bar? Chissà quanto avremmo discusso sul fatto che i vari facebook, twitter e compagnia sono diventati una fonte…

E quanti ricordi, quanti… una vita professionale e non solo. Tremavo quando mi facesti chiudere dentro una cartellina pezzi, titoli, foto e menabò di una pagina da spedire… Il primo contratto articolo 36, quello da praticante per il quale andammo a “estorcere” la firma a Brunori, a Cassino, e ci fermammo a mangiare al ritorno a Priverno quando anche Mastrorilli della diffusione si infilò, la festa per la mia laurea, il matrimonio (“è la prima volta che resto fino al termine”), la tua scarsa affezione per il sindacato, le critiche ai sociologi – ma dicevi che non ce l’avevi con me – la passione per Montale, quella per Mina, quel piatto di prosciutto condiviso con pochi ma selezionati colleghi, le tragedie vissute in redazione per Susetta e Massimo che ci hanno lasciato troppo presto, il racconto di quando a Sezze fosti “recluso” dai Carabinieri per evitare guai dopo il delitto De Rosa o della preparazione del processo per il massacro del Circeo, i nostri processi per diffamazione, la gioia ogni volta che vincevamo al Tribunale di Cassino. A un certo punto eravamo diventati come la Lazio di quegli anni, la nostra Lazio che ieri sera ha voluto ricordarti – ne sono certo – con una di quelle vittorie che solo noi possiamo capire. Conservo la cassetta “Vhs” degli ultimi istanti dell’Olimpico e la contemporanea con Perugia… 14 maggio del 2000, uno scudetto indimenticabile.

Altro che “orso”, caro Gigi, c’erano slanci di grande divertimento. Basta che non si toccasse la “sacralità” del lavoro e che non si scherzasse sugli affetti familiari. Le parole lette da Francesco, in Chiesa, hanno riassunto al meglio. E sono certo ci sia la mano di Maddalena.

Noi sapevamo, Gigi, ma non ce lo dicevamo. Avevi già combattuto e vinto, alla grande, contro un tumore. Questo ha avuto la meglio. Resti nel cuore di Paola, Maddalena e Francesco – li abbraccio ancora forte – dei tuoi familiari, di chiunque ti ha apprezzato davvero. Resti nel mio. E come quella sera ti dico grazie, mentre in sottofondo su youtube (eh sì, i moderni mezzi…) Mina canta “E se domani….”

Capo d’Anzio in Consiglio subito e la Regione dia tutto all’autorità portuale

Continuare a pensare di salvare la Capo d’Anzio affinché realizzi e gestisca il porto secondo la concessione ottenuta più di otto anni fa è utopia. La società, anche alla luce delle ultime notizie (avvio della decadenza della concessione, altra assemblea deserta, ulteriore debito con la Regione per l’escavo del porto) va liquidata. Come sistemare le esposizioni debitorie sarà materia da affrontare più avanti, ma questa storia deve finire e pure subito.

E va affrontata intanto in Consiglio comunale, se non a quello sul bilancio in uno che spero l’opposizione abbia la forza di convocare superando ogni steccato. Un Consiglio nel quale si prende atto del fallimento. Sì, so bene che il sindaco dirà che è tutta colpa del centro-sinistra e della Regione che sotto la gestione Marrazzo/Montino bloccò tutto. Ha ragione, forse oggi il porto lo avremmo. Solo che i se e i ma non fanno la storia e da quando la concessione è stata ottenuta la Regione ha fatto di tutto per agevolare la Capo d’Anzio. Prima con la Polverini, poi con Zingaretti. Nel corso della gestione dell’attuale presidente si è invertito il crono-programma, inutilmente. E nel corso della gestione dell’attuale presidente si sono chiusi gli occhi, negli uffici, sui canoni di concessione non pagati, il comitato tecnico che non si riuniva, gli avanzamenti lavori che non c’erano. Chiusi almeno al pari dell’epoca in cui si dava parere negativo ad Anzio e si diceva sì a Formia e Fiumicino.

Regione che, adesso, deve riprendere la concessione e far sì che il porto resti pubblico. Dimostrare che non è contro Anzio – sì, De Angelis dirà anche questo e ripeto che in parte ha ragione, anzi ha già spostato il tiro sui finanziamenti culturali solo per i Castelli, com’è noto ha bisogno del “nemico” – ma vuole mantenere il controllo sul porto.

Perché le strade possibili, tolta la Capo d’Anzio, sono diverse. Proviamo ad analizzarle:

  1. Tornare alle mini-concessioni spezzettate di un tempo, con un porto in mano a pochi e gestito alla bene e meglio
  2. Fare un bando per una nuova concessione, “privatizzando” il porto. Torneremmo ai tempi di “Marine investimenti” (inizio anni ’90) creata ad hoc o alle mire di Sofim e compagnia che avevano chiesto la concessione per “frenare” Capo d’Anzio in infinite conferenze dei servizi. Come sostengo da tempo, il primo a intervenire sarebbe l’ingegnere Renato Marconi che un po’ di guai alla società li ha creati, da Italia Navigando in poi. Ah, Italia Navigando ci venne presentata – dall’allora e oggi sindaco – come la panacea di tutti i mali.
  3. Prendere atto del fatto che la situazione è quantomeno ingarbugliata e fare una scelta politica forte: far entrare anche il porto di Anzio in quelli di “Roma” ovvero nell’Autorità portuale. Qui c’è un problema, si occupa solo – almeno finora – di scali commerciali. Ecco la necessità di un ragionamento fuori dagli schemi e dai tatticismi: interessa Anzio? Sì? Allora il modo di usare l’Autorità portuale si trova.

E il porto resta pubblico, non sarà più – come avevamo pensato – gestito “dalla città” – ma non avremo un privato a dirci cosa fare. Tipo a Nettuno, per intenderci.

E’ un’idea, se qualcuno vuole farsene carico…

Porto, concessione addio. Capo d’Anzio al bivio e… Malasuerte

Presi dai #brand e dai #soldout, capaci a comunicare quello che fanno, dai lavori pubblici ai partiti “espropriati” ma dei quali non sappiamo ancora se hanno pagato gli arretrati, fino al Natale (bello l’allestimento, davvero) c’è una cosa che non ci hanno fatto sapere. O che deve essere sfuggita a chi scrive, nel qual caso sarebbe grave. La Regione Lazio, il 21 ottobre scorso, ha avviato la procedura di decadenza della concessione per la realizzazione e gestione del nuovo porto di Anzio. La società Capo d’Anzio, titolare della concessione e in maggioranza del Comune ovvero dei cittadini, ha risposto un mese dopo ma non conosciamo il contenuto della missiva. Dopo otto anni dalla concessione, però, sappiamo perfettamente che i lavori non è che non sono finiti, non sono mai iniziati. E non è servito invertire il crono programma, né bandire due gare, andate deserte. Così la Regione ha deciso di dire basta e staccare la spina a un malato terminale.

Vale a dire alla Capo d’Anzio, un tempo “start up” e una il colosso che avrebbe garantito sviluppo e lavoro, dove fra giocare a “nascondino” (vedi assemblee deserte), provare a trattare fra Comune e Marconi, il socio privato che il Tribunale ha messo alla porta ma che ancora ci ritroviamo, e il capitale sociale ormai sparito, tornerà a riunirsi giovedì. Almeno, l’assemblea dei soci è convocata, si vedrà se sarà tenuta o meno. La convocazione arriva dal plenipotenziario amministratore delegato, l’avvocato Antonio Bufalari, dato che il presidente (che nomina il Comune) è dimissionario da un anno e non è mai stato sostituito. Il generale Ugo Marchetti, che sognava Montecarlo e si era fatto dare anche un ufficio a Villa Sarsina, messo lì da De Angelis in accordo con Bruschini, quando ha capito la mala parata ha detto arrivederci e grazie. Lo stesso ha fatto un revisore dei conti, anch’egli mai sostituito.

E si capisce il perché, molto facilmente: la società non ha un euro, alla perdita del 2018 che è di oltre 82.000 euro e che ha eroso il capitale sociale (ma il bilancio va ancora approvato, pensate…) se ne aggiunge un’altra di 9.000 (poco, vero, ma la tendenza è chiarissima) al 30 settembre scorso, ha debiti per più di 3 milioni, un pignoramento presso terzi dall’Agenzia delle entrate, e ora deve decidere cosa fare.

Dicevamo dei revisori, i quali indicano chiaramente la strada: ricostituire il capitale sociale, attraverso un versamento dei soci che il Comune difficilmente può onorare dati i vincoli che gravano sul bilancio di un ente. Altrimenti una “riqualificazione” degli importi prestati alla società (il Comune ha pagato la fidejussione di 517.000 euro per intero, ad esempio, Marconi vanta un credito di 21.000 euro) che diventerebbero un finanziamento in “conto futuro aumento di capitale” . Altra ipotesi, la trasformazione da società per azioni in società a responsabilità limitata. Infine, la liquidazione.

Diciamocelo senza infingimenti: le prime tre strade, benché percorribili, somigliano alla “ingegneria finanziaria” tanto cara a Marconi. Così ha inventato “Italia Navigando”, così se ne è presa un pezzo e una decina di porti, Anzio compreso. L’ultima sarebbe la più onesta intellettualmente, ma immaginiamo che si farà di tutto per non percorrerla. Nonostante i revisori dicano chiaramente che in caso di ricapitalizzazione occorre: a) accertarsi che la Regione non prosegua nella decadenza della concessione, altrimenti non ci sarebbe ragione di essere per la Capo d’Anzio; b) dotare la società di risorse per affrontare con tranquillità il prosieguo del progetto. Ora, i revisori non vengono da Marte e conoscono la Capo d’Anzio da un decennio almeno, immaginiamo che abbiano sorriso mettendo nero su bianco il discorso delle risorse che non ci sono mai state.

Potevano esserci, però. E qui torna utile Malasuerte, la mia “fissazione” secondo il primo cittadino. Ebbene, nel tentativo di salvare il salvabile il buon amministratore stima che dai parcheggi si potrebbero incassare – udite udite – 200.000 euro. Sì, avete letto bene. Chiudiamo il bilancio con una perdita di 80.000 al 2018 però abbiamo “regalato” per un anno gli spazi alle società che fanno i trasporti per Ponza, poi li abbiamo concessi allo stesso prezzo che pagano i cittadini. Quando si poteva incassare molto di più. Serve ricordare che lo spazio è stato concesso per un presunto interesse pubblico?

In pratica scopriamo – fatte le debite proporzioni – che Aeroporti di Roma pensa al traffico aereo a Fiumicino e Ciampino ma i parcheggi (che costano un occhio della testa, da quelle parti) li dà a terzi prima gratis e poi in cambio di un’inezia.

Di più, la Capo d’Anzio su quelli che gli restano a piazzale Marinai d’Italia non è capace di riscuotere e tanto meno di controllare. Figuriamoci di fare il porto. Con quei soldi non si sarebbe chiuso in perdita il bilancio. Basta questo per dire che è ora di togliere il disturbo. Concessione alla Regione, lavori all’Autorità portuale del Lazio e debiti della Capo d’Anzio (purtroppo) a carico della collettività, mentre chi ci governa brilla nei selfie.

Anche se c’è sempre la Corte dei Conti….

Sedi di partito “espropriate”, ma hanno pagato?

Le hanno occupate senza pagare, utilizzate fino all’ultima campagna elettorale senza averne – è il caso della Lega – alcun titolo, ora annunciano in pompa magna che le sedi di partito saranno “espropriate“.

Bene, era ora, ma sindaco e assessore alle Finanze dovrebbero dirci se i partiti morosi, nel frattempo, hanno pagato. A dicembre 2017 Forza Italia, per esempio, doveva oltre 10.000 euro al Comune, l’Udc aveva mandato a dire che non si capiva a quale titolo gli venivano chiesti i soldi, ignoriamo se Futuro e libertà per l’Italia – che ebbe la sede in fretta e furia, concessa dal sindaco Bruschini al neonato gruppo che faceva capo al senatore De Angelis – abbia mai versato il proprio canone. E non sappiamo se alle ultime elezioni la Lega abbia sentito l’esigenza di versare qualche euro e a che titolo fosse lì, come ignoriamo perché ci fossero le liste che sostenevano il sindaco….

Mi piace chiamarla, da tempo, legalità delle cose quotidiane. Ci dicessero, sindaco e assessore, se i soldi “espropriati” finora alle casse del Comune (e quindi ai cittadini) da partiti della loro coalizione sono stati versati o meno. Intanto essersi ripresi quegli spazi è comunque un grande passo.

Ah, prima che lo diciate voi: so che il Pd era (a luglio 2018) indietro di un anno. Poca cosa rispetto a strane assegnazioni o a mancati pagamenti per anni, ma vale lo stesso discorso

E per chi volesse, su sedi e criteri, qui c’è un’ampia rassegna.

Il centro, la piazza, i commercianti, le responsabilità

Lo avevano scritto nel programma e lo stanno facendo. Per una volta diamo atto al sindaco De Angelis e alla sua maggioranza (fra l’altro divisa sull’argomento, almeno Maranesi non la pensa così) che mantengono un impegno. Non straordinario, sia chiaro, ma la riapertura al traffico di piazza Pia era nero su bianco lì. Una delle poche cose non copiate e incollate dal programma di cinque anni prima.

Il punto, consentite, non è questo. Perché prima di parlare di piazza occorre confrontarsi sul centro. Cioè su un quartiere dormitorio nel quale, ormai, vive sì e no il 5% della popolazione di Anzio. Un centro che – secondo il progettista del piano regolatore, Pierluigi Cervellati – semplicemente “non esiste”. Non per come intendiamo i centri storici nel nostro Paese, almeno. Negli anni la parte centrale della città – diciamo da Villa Albani alle due riviere – è stata sistematicamente svuotata e i primi responsabili siamo noi, cittadini di Anzio. Sono coloro che d’estate affittavano ai “signori” e andavano al magazzino o in campagna e che poi hanno pensato bene di fare una casa lontano dal centro (magari abusiva, tanto poi si sana tutto) vendendo l’appartamento nel nucleo iniziale di Anzio. Magari agli stessi “signori” che investivano nella seconda casa che oggi tengono chiusa, fingendo pure di essere residenti perché il Fisco lo devi aggirare, altrimenti mica sei italiano su…. La domanda, allora, prima di riaprire la piazza al traffico dovrebbe essere come riportare residenti in centro. Nessuno ha la bacchetta magica, è evidente. Ma lo sviluppo immaginato da chi ha guidato la città dal dopoguerra a oggi è sempre stato il mattone: case, case, case e pazienza se in centro nessuno abitava più. Nell’idea che avevamo di realizzare #unaltracittà – e che gli elettori hanno bocciato, quindi evidentemente preferiscono altro – immaginavamo incentivi legati alla rigenerazione urbana per chi riqualifica le abitazioni, mette ascensori, realizza alberghi diffusi o b&b. Anche semplicemente per chi decide di spostare la residenza (vera) in centro e magari per un periodo vede ridursi l’Imu o la Tari. Chi ci governavava (Bruschini) e governa in perfetta continuità (De Angelis) hanno predisposto un piano particolareggiato che porta semplicemente altro cemento. E poi?

E poi pazienza, che vanno cercando i pochi oppositori rimasti. “Abbiamo vinto e non ci frega niente”: sembra di sentirli, a Villa Sarsina. Ed ecco la piazza da riaprire, peccato De Angelis che la chiuse si sgolasse ai quattro venti a dire – 20 anni fa – che era una opportunità, avremmo avuto un salotto e che comunque la delibera per i lavori mica era la sua, ma della giunta di Luciano Bruschini nella quale c’era pure Luciano Mingiacchi (che nel frattempo ci ha lasciato). I “nemici” li aveva individuati già allora, dimenticando che della maggioranza che sosteneva la giunta del ’90 faceva parte. Dettagli.

Altro discorso è legato ai commercianti, per i quali si riaprirebbe la piazza. Le auto che passano in centro portano “movimento” e più acquisti? Un’eresia. Proviamo a fare un piccolo paragone: tra l’outlet di Castel Romano e la zona che da via Gramsci arriva ad Angelita. Si lascia l’auto lontano, si cammina, si va per negozi. Qual è la differenza? Ah certo, a Castel Romano si va per fare “affari”, qui per prendere un caffè dobbiamo arrivare davanti al bar con l’auto. Lì ci sono negozi moderni, con tante offerte certo, di grandi catene è vero, qui tante attività che sono rimaste agli anni che furono. Senza offesa, guardiamo e guardate – commercianti – in faccia la realtà. Che è difficile, non c’è dubbio, che ha a che fare con la crisi globale, il mercato elettronico e tutto ciò che volete, ma una grande occasione l’avete avuta e sprecata. Sì, il famigerato “Centro commerciale naturale”, quello costato 250.000 euro di soldi pubblici per promuovere Anzioinpiazza e miseramente fallito. Di investimenti privati nemmeno uno. Abbiamo regalato soldi per la progettazione a un centro servizi di Confcommercio che ha copiato e incollato ovunque le stesse proposte, ci siamo tenuti un box arrugginito, qualche panchina, cartelli doppi e per anni un sito che promuoveva gli spaghetti alla sorrentina tra le tipicità di Anzio. Dimenticato, vero? Ma sì… riapriamola la piazza, dimentichiamo il recente passato, che vai cercando… Pazienza che altrove i centri commerciali naturali qualcosa lo fanno, investendo anche del loro. Vedi Formia, ad esempio.

Il centro commerciale naturale doveva essere attrattivo, portare i cittadini lì come vanno all’Anteo o a Zodiaco o a Castel Romano. A proposito di Anteo, chi ricorda Luigi Bruschini, fratello dell’ex sindaco e a lungo nella politica di questa città, dire in Consiglio “non c’è nessuna Standa e nessun Berlusconi” quando avevano già comprato? E a Zodiaco non si fecero prima i locali e poi si diedero le licenze? Alle responsabilità della politica, vogliamo aggiungere quelle dei cittadini ai quali è stata sempre bene, commercianti compresi?

Solo quel visionario di Giorgio Moscatelli poteva immaginare di fare sindacato con l’Associazione commercianti anziché ingraziarsi la politica. Andrebbero ripresi i numeri di “Nuova Linea” di fine anni ’80 prima che quell’associazione si trasformasse in altro…. Dovrebbe spiegare lui che cos’era l’idea di una “Oasi pedonale” – non di un’isola – o perché i commercianti di Anzio si tirarono indietro di fronte all’idea di una società propria per prendere la licenza al centro Anteo.

Oggi con il mondo cambiato, non il commercio, aprire una piazza pensando che si faccia uno scontrino in più fa sorridere. Mettere delle navette a proprie spese come l’estate scorsa hanno fatto alcuni ristoratori è, invece, lungimirante. Aprire una piazza e spendere 60.000 euro di soldi pubblici ci può stare, certo, se non fosse che i dissuasori a scomparsa che non hanno mai funzionato dovrebbero già esserci a vicolo dei Fabbri e alla fine di via Aldobrandini. Ma sì, che andiamo cercando, ormai basta un post su facebook e si è “top” o “grande” e l’assessore di turno si esalta, ignorando un passato che ad Anzio è stato bene e continua evidentemente a godere dei favori dei cittadini, a partire dai commercianti.

Un’ultima domanda: come si decide di realizzare l’area “eventi” nella viabilità nuova? Nel disegno che vedete è tratteggiata in blu, e coincide casualmente con un’attività molto “vicina” a un consigliere di maggioranza.

Come? Vero, siamo ad Anzio…. Scusate