Delinquenti, fate schifo: Anzio è altro, adesso basta

Non è stato semplicemente un “attacco” al Pd e a Lina Giannino ma alla città e alla sua democrazia. Fosse accaduta la stessa cosa nella sede di un altro partito, userei i medesimi termini. Nella deriva alla quale ci ha abituato la classe politica che da trent’anni guida Anzio non s’era mai assistito a una cosa del genere. Nemmeno negli anni di piombo, qui da noi, qualcuno aveva immaginato di entrare nella sede di un partito, devastarla e fare scritte ingiuriose contro una consigliera comunale. Non era mai accaduto e deve essersene accorto anche il sindaco che stavolta – al contrario delle precedenti – si è sbrigato a spendere due parole ed esprimere solidarietà su quello che non è un atto vandalico come l’ha definito bensì un attentato vero e proprio.

Che arriva all’indomani della trasmissione “Piazza Pulita” che più di qualcuno non ha digerito, guardando al dito (chi ha dato informazioni a Nerazzini, autore della puntata) e non alla luna che sono i fatti narrati lì e prima ancora nell’inchiesta “Tritone” e in tutte quelle ad essa collegate. Sì, perché le tessere del puzzle, per chi sa metterle insieme, portano a Malasuerte ed Evergreen, a Ecocar e agli interessi sulla biogas, alle coop e sempre agli stessi personaggi. Alcuni interpreti principali e altri parte attiva del sottobosco della politica vincente di casa nostra, fatta di favori e promesse, di appalti da assegnare magari sotto soglia, di “squadre volanti”, cooperative, proroghe, amici degli amici. Perché? Semplice: in molti casi tutto questo si tramuta in voto di scambio. E se qualcuno prova a mettere in fila le cose, a chiedere spiegazioni, accedere agli atti, criticare, apriti cielo. Lina era stata già oggetto di pesanti intimidazioni, ma si era provato finora sempre a girarsi dall’altra parte se non a minimizzare.

Il sindaco – in aula consiliare (salvo fuggire davanti alle telecamere) – è solito usare toni minacciosi dei quali abbiamo parlato spesso in questo spazio. Nel suo soliloquio contro tutto e tutti – che sia lì dal ’90 e abbia attraversato prima e seconda repubblica è un dettaglio – dice “se soffre mio figlio soffre pure il tuo”, dà dei “sumari” agli oppositori, promette di “tirare fuori le carte” che stiamo ancora aspettando di presunti ricatti, urla indisturbato e senza che la presidente (sua ex avversaria) senta il dovere di richiamarlo all’ordine. Con un clima del genere nell’aula consiliare, cosa ci si può aspettare che accada? Basta che si senta minacciato uno del sottobosco che ha portato voti e ottenuto qualcosa in cambio, per andare a compiere un atto contro la Giannino che ha osato parlare.

Ecco, c’entrano sicuramente anche ‘ndrangheta e camorra negli affari di questa martoriata città e non da oggi, ma c’è pure l’imbarbarimento e la crescita di una cultura mafiosa. Certi atteggiamenti che dalla “guerra” del centro-destra nel 2013 a oggi sono andati in crescendo, la prevaricazione sistematica, la derisione dell’avversario che si vuole far passare per ironia o scherzo, il “c’avemo i voti”, il coinvolgimento di personaggi poco raccomandabili nell’agone pubblico, hanno portato a tutto ciò e la responsabilità politica è inequivocabile. Adesso è difficile tornare indietro. C’è da sperare solo che non ci scappi il morto. Perché i delinquenti che sono entrati nella sede del Pd sono capaci di tutto. Solo che debbono sapere che questa città è altro, non i loro mezzucci da vigliacchi, e devono farsene una ragione. Troveremo gli anticorpi perduti, perché delinquenti e mafiosi, sottobosco poco raccomandabile, ci fanno schifo. Che qualcuno, sapendo tutto, si è alleato e governi con i protagonisti politici di certe indagini che oggi riemergono è una pericolosa aggravante.

Ps, all’unanime e trasversale solidarietà a Lina Giannino ci è sfuggita (se è così chiediamo scusa) quella dell’Associazione commercianti di Anzio. Forse stavano lavorando.

Grazie Antonietta, faro contro la cultura mafiosa imperante. Altro che “caso” La7

Ho partecipato, purtroppo solo per una parte, all’iniziativa alla quale come molti dei relatori hanno sottolineato era tra noi Maria Antonietta Bonaventura. I tanti presenti, la commozione, gli aneddoti, le immagini e i testi, hanno fatto sì che la professoressa non fosse celebrata, ma appunto in mezzo a noi. L’avevo citata intervenendo alla manifestazione “Il silenzio è mafia” all’indomani dell’operazione “Tritone” sottolineando come ci stesse dicendo tante cose, per avercelo insegnato a scuola, nelle associazioni, nell’impegno civile e politico e con il proprio esempio. La conoscenza contro l’ignoranza, il dialogo contro la prevaricazione, l’ambiente contro villettopoli, la cultura contro l’arroganza, il lavoro contro i soldi facili. L’amore, soprattutto, per il luogo nel quale si vive e per fare in modo di studiarlo e conoscerlo a fondo. Quello per i diritti dei più deboli. Antonietta era lì, insieme alla figlia Silvia e all’amato nipote Gabriele, a dirci di non mollare, a essere ancora un faro in una città pervasa dalla cultura mafiosa che abbiamo visto in tv qualche sera fa.

Sì, cultura mafiosa alla quale dobbiamo continuare a opporci. Perché vedete, ora si sta facendo un “caso” su quanto emerso dalla trasmissione “Piazza pulita” di La7. L’intellighenzia cittadina che è vicina a chi amministra o gli stessi politici che per 30 anni si sono girati dall’altra parte – emblematica la “fuga” del sindaco con la tv – o hanno cooptato personaggi poco raccomandabili facendo metter loro il vestito bello, sono a caccia di chi ha fornito informazioni all’autore della trasmissione. Come se non fossero di dominio pubblico. L’Associazione che dovrebbe tutelare i commercianti ci fa sapere che è tutto a posto e che loro lavorano, mica possono perdere tempo in manifestazioni. Bene, lavorano anche altri, sia chiaro. Alcuni, via social, danno della “spia” se non dell'”infame” a chi ha svolto quel servizio e in chi a livello locale lo avrebbe aiutato. Il problema, allora, diventa il raccontare certe cose e non le nefandezze che erano emerse in “Tritone” (ma prima ancora in altre indagini) ed erano già di dominio pubblico, ma sono state rese note in maniera ancora più evidente in tv. Si guarda al dito, non alla luna. Si cercano presunti colpevoli di aver fatto il loro mestiere, ma non si dice che quanto Piazza Pulita ha solo confermato è una vergogna e che i personaggi pubblici coinvolti (ma non indagati) fingono di non sapere o la buttano in confusione o preferiscono tacere. Eccola, la cultura mafiosa, quella che insieme ad Antonietta dobbiamo continuare a ostacolare in ogni modo. Non sappiamo se il Comune sarà sciolto o meno, c’è una commissione al lavoro e le istituzioni vanno rispettate. Sempre. Sappiamo però che in campagna elettorale nel 2018 c’era chi prometteva posti in cambio di voti e chi gioiva (la ‘ndrangheta) per avere “sbancato il Comune”. Alcuni nodi sono arrivati al pettine, tanti altri restano da approfondire se ci fosse (stato) un investigatore come ebbi modo di sostenere mesi fa.

Sono quei fatti, quelle prevaricazioni, la mancata legalità delle cose quotidiane, urla e minacce in consiglio comunale, ad alimentare una cultura mafiosa ormai imperante. Per questo confidiamo in quello che è stato giustamente definito “il sorriso dolce e severo” di Maria Antonietta. Per continuare a dire che c’è una città diversa.

Infine, un aneddoto: nel dibattito prima del ballottaggio del ’98 – moderato da scrive – l’attuale sindaco provò a dire che la professoressa non poteva fare domande. Mi opposi e lei la fece. Con il passare degli anni ci siamo trovati anche su posizioni diverse, ma non dimenticherò mai che era stata lei stessa – al distretto scolastico, anni prima – a dire a noi studenti che le libertà vanno rispettate se vogliamo mantenerle. Grazie, Antonietta.

Capo d’Anzio, continua l’accanimento terapeutico (con qualche bugia)

Va spezzata una lancia a favore della Capo d’Anzio. Finalmente non c’è bisogno di aspettare le visure camerali, il bilancio 2021 è on line e consultabile da tutti. Mentre il Consiglio comunale si appresta a votare un prestito alla società, già ampiamente indebitata bei confronti dell’ente oltre che con il socio privato, i fornitori e l’erario, si scopre che l’accanimento terapeutico continua.

Sì, perché aumentano gli incassi rispetto all’anno precedente ma il bilancio chiude in attivo solo di circa 2000 euro e solo grazie a una manovra di “ingegneria finanziaria” che grazie a una norma del 2020 consente di non iscrivere gli ammortamenti. L’ex presidente professor Ernesto Monti, specialista in società decotte, e l’ex amministratore delegato Gianluca Ievolella – al quale spesso si rivolgerebbe il neo amministratore unico Francesco Lombardo – hanno fatto quadrare i conti ma sono i primi ad ammettere che le cose non vanno. E insieme a loro i revisori dei conti.

Partiamo dai dati: aumenta il valore della produzione che è pari a 968.000 euro (contro 804.000 del 2020) ma crescono anche i costi che sono 948.000 euro circa rispetto ai 771.000 dell’anno precedente. L’utile come detto è di poco superiore ai 2000 euro, contro i 17.000 del 2020. I crediti sono di poco superiori ai 638.000 i debiti, in totale, poco più di 3 milioni. I primi sono diminuiti, i secondi aumentati, entrambi di circa 20.000 euro.

Tralasciamo la cronistoria, il contenzioso con Marconi portatoci con Italia Navigando dall’attuale sindaco (contenzioso che peserà come un macigno, modesto parere di chi segue la vicenda da 20 anni e più), le immobilizzazioni e compagnia e andiamo al succo. Perché va bene tutto, ma essere derisi è troppo. Ad esempio i bilanci approvati in ritardo dal 2018 al 2020 a causa del contenzioso con Marconi. Bene: ma perché nessuno ci spiega il motivo per il quale nel 2018 c’era una perdita approvata dal consiglio d’amministrazione, inserita nella nota integrativa al bilancio del Comune che prevedeva la liquidazione della società e poi magicamente quel bilancio è andato in attivo?

Dicevamo dell’utile, ottenuto grazie a una deroga di legge che consente di “sospendere gli ammortamenti relativi al comparto delle immobilizzazioni”. D’accordo, è una norma e ci mancherebbe non applicarla, ma poi leggiamo che: “L’ammontare dell’impatto della deroga in termini economici è pari a 82.871 euro, da ciò ne consegue un utile civilistico che consente un maggiore appeal dell’azienda verso gli operatori finanziari”. Così tanto “appeal” che quattro istituti di credito hanno rispedito al mittente le richieste di finanziamento presentate dalla Capo d’Anzio. Però, secondo la relazione, tra campo boe e gestione dei parcheggi – che forse saranno finalmente tolti agli eredi di “Malasuerte” (non è mai troppo tardi) questo sarà l’anno decisivo. Peccato che le cose non stiano proprio così. Calano ancora gli indici che ormai tutti prendono in considerazione come significativi della capacità di un’azienda. Il Roe, cioè il ritorno sul capitale di rischio, che viene universalmente indicato come accettabile sopra il 2 è allo 0,47 , il Roi, vale a dire il ritorno sugli investimenti, è dello 0,05 quando è ritenuto accettabile sopra il 5 . Il professore – e il sindaco che di bilanci se ne intende – possono insegnarci cose del genere. Ma qui va tutto bene. Invece no: l’indice di liquidità primaria – cioè la capacità di fronteggiare i debiti – è 0,29 e per essere minimamente utilizzabile per fronteggiare la situazione dovrebbe essere 1, quello di indebitamento è 5,87. Il professore ammette: “L’ammontare dei debiti ha assunto dimensioni decisamente significative in funzione dei mezzi propri esistenti”.

La “salvezza”? Campo boe e parcheggi, come si ripete nella relazione. Passando per una dichiarazione che stando alle notizie che arrivano dal fronte del porto non sarebbe così vera. C’è un capitolo, per esempio, dedicato al personale e al clima lavorativo. Ebbene si dice che “non si fono verificati infortuni gravi sul lavoro” ma sembra proprio che non sia così.

Torniamo alla “salvezza” e al fatto che la società “sta dialogando in maniera assolutamente positiva con vari istituti di credito in maniera di avere un finanziamento di circa 150.000 euro”. Beh, quando è stata scritta la relazione si sapeva già che nessuna banca l’avrebbe concesso…. Tanto che si chiede al Comune di intervenire. Comunque, a detta dell’ex presidente, nel 2022 si dovrebbero incassare 250-3000 euro in più e sistemare le cose. Che la Capo d’Anzio il porto dovesse realizzarlo, con 1000 posti barca e tanti di lavoro, ormai nessuno si preoccupa più.

Solo che i nodi arrivano al pettine e il revisore indipendente esprime: “(…) incertezza significativa riguardo a eventi o circostanze che possano far sorgere dubbi sulla capacità della società di continuare a operare (…)” poi parla di “incertezza riscontrata in tema di concessione demaniale e della determinazione del relativo canone”. Lo stesso fanno i componenti del collegio sindacale della Capo d’Anzio che pur esprimendo parere favorevole sul bilancio sottolineano: “La situazione debitoria nei confronti della Regione, dell’Erario e gli enti previdenziali” ma anche che “l’utile di esercizio non è dovuto all’incremento dei ricavi della gestione (…) ma a poste straordinarie e alla mancata rilevazione contabile degli ammortamenti”. Secondo il collegio: “In estrema sintesi si rileva come la situazione finanziaria sia particolarmente sofferente”.

Ora di chi saranno le responsabilità – ricordando che chi rappresenta il socio pubblico, cioè il sindaco, non viene da Marte – lo accerteranno cause pendenti, indagini della magistratura sulle reciproche denunce tra Comune e Marinedi, Corte dei conti e quant’altro. Ma dopo 22 anni dalla costituzione e oltre 10 dalla concessione mai usata per costruire il nuovo porto, è bene che la Capo d’Anzio porti finalmente i libri in Tribunale.

Addio a Giorgio: la città, la politica, le nostre incomprensioni

“Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”. E’ una frase di Fabrizio De Andrè. La voglio usare per dire, subito, quale fosse il mio rapporto con Giorgio Pasetto deceduto oggi. Tante incomprensioni e pochi “slanci”, lui – come Luciano Mingiacchi – non mi ha mai “perdonato” di non essere tra le schiere di chi lo seguiva. Forse perché dopo aver “cresciuto” Aurelio Lo Fazio, mio cugino, e vista la passione che mio padre metteva in quella corrente della Dc (i “basisti”) pensava fosse naturale che ci fossi pure io. Invece no, erano più scontri che intese, com’è normale soprattutto quando provi a raccontare in maniera diversa la città da come si era fatto fino ad allora. Quando volevo fare questo mestiere, il collega Marcello Ciotti che ci diede i primi rudimenti disse: “All’inizio non vi fileranno, li dovrete cercare, ma poi saranno loro a chiamarvi”. Si riferiva ai politici. Giorgio chiamava poco, ma quando lo faceva sapevi quando entravi e mai quando saresti andato via. Partiva da A, finiva a Z, ricominciava da M e tu chiedevi di essere concreto ma nulla…

Aveva preso, quando era in Regione, a convocarci per Natale e raccontare cosa si stava immaginando. Tra questo il nuovo ospedale che doveva sorgere tra Anzio e Nettuno, ad esempio. Poi, dopo la sconfitta alle politiche del ’94 nel “suo” collegio capì che la città che quattro anni prima lo aveva portato in Regione dove fu prima assessore e poi presidente della Giunta, si era ribellata in nome del “nuovo” allora rappresentato da Forza Italia. Incassò, attraversando sempre da protagonista la Dc prima, i Popolari, la Margherita, l’Ulivo e da ultimo il Pd. Era stato il sindaco più giovane di Anzio, quando la classe politica che aveva ricostruito la città dalle macerie aveva individuato alla fine degli anni ’60, in quel ragazzo uscito dall’Azione cattolica, un giovane sul quale puntare. Non avevano sbagliato, perché si poteva essere d’accordo o meno ma Giorgio era un cavallo di razza. Che come la stragrande maggioranza dei politici ricordava, però, sempre l’ultimo articolo, quello sgradito, e mai i precedenti. “Non mi intervisti mai” – diceva se lo incontravi con la bici sempre più arruginita e l’immancabile Lacoste, nei pressi dell’edicola di Rolando. “Le interviste si fanno quando c’è qualcosa da dire”, replicavo. Storceva un po’ la bocca, si avvicinava all’amico di una vita Luciano Mingiacchi e andava via. Aveva vissuto in una Anzio diversa e non aveva compreso, forse, la pessima china che aveva preso. O lo aveva capito benissimo, tanto da proporre studi su studi, incontri, nel tentativo di rimettere al centro le scelte politiche, quelle con la P maiuscola. Peccato che al capezzale del malato ci fossero, senza grandi successi, gli stessi dottori. Così era spesso un dibattito fine a se stesso, la città aveva virato, i consensi crollavano, le seconde e terze linee di quella che era stata la “sua” Dc avanzavano. Gli era rimasto, quando era già parlamentare, l’incontro del sabato mattina con gli intimi nella villa a Ponente, le scelte che pochi compresero – come quella di dire no a prescindere al nuovo porto – fatte nelle stanze del potere, l’incapacità di creare un’alternativa seria e credibile. “Abbiamo dato alla città le menti migliori” – amava dire riferendosi a personaggi vicini alla sua corrente. Ma le menti, ormai, non si avvicinavano più. E non se ne faceva una ragione.

Va detto che ripensando a quegli anni, visto il decadimento della classe politica e dirigente, i “re” delle preferenze, manca non Pasetto ma ciò che hanno rappresentato quei partiti. Con tutto il rispetto, c’è gente che in quelle organizzazioni non sarebbe stata fatta entrare o al massimo avrebbe attaccato i manifesti. Rimpianti? No, quella vituperata “Prima Repubblica” ha commesso errori a non finire, però aveva una dignità e una preparazione che si sono perduti nel corso degli anni.

Ammise – e gli costò tantissimo – che chi aveva sottratto dalle edicole tutte le copie del “Granchio” che riportavano la sua vicenda giudiziaria alla vigilia del voto per la Camera del ’94, aveva commesso un errore. Ne parlammo, uscì un’intervista, e ce ne furono altre successivamente. “Devi darmi una notizia” ripetevo, ma lui continuava a partire da A, finire con Z e poi tornare indietro… Aveva studiato, era cresciuto a pane e politica, se ha commesso un errore è stato quello di stringere sempre di più la sua cerchia su Anzio, come se il tempo non fosse passato. Ci incontrammo altre volte a Roma, al Senato (“qui pago io”, disse, e risposi che visto che costava così poco poteva pure farlo una volta…) o alla sede di Teorema. Non lo sentivo da tempo, sapevo del malanno e so che in fondo in fondo mi stimava. Mi piace ricordare che tra i “portatori d’acqua” c’era mio padre, ci fosse da raccogliere voti o da cucinare alle “tre giorni” di studio che si tenevano a Piglio. Era un altro mondo, un’altra politica, e certi modi li ho sempre avversati. E’ stato meglio lasciarci, dunque, ma oggi ad Anzio finisce un’epoca come riconosciuto anche dal sindaco De Angelis e a Giorgio Pasetto va se non altro l’onore delle armi e il riconoscimento di essere stato un gigante, in un mondo (quello della politica e non solo) fatto sempre più da piccoli uomini.