Grazie Antonietta, faro contro la cultura mafiosa imperante. Altro che “caso” La7

Ho partecipato, purtroppo solo per una parte, all’iniziativa alla quale come molti dei relatori hanno sottolineato era tra noi Maria Antonietta Bonaventura. I tanti presenti, la commozione, gli aneddoti, le immagini e i testi, hanno fatto sì che la professoressa non fosse celebrata, ma appunto in mezzo a noi. L’avevo citata intervenendo alla manifestazione “Il silenzio è mafia” all’indomani dell’operazione “Tritone” sottolineando come ci stesse dicendo tante cose, per avercelo insegnato a scuola, nelle associazioni, nell’impegno civile e politico e con il proprio esempio. La conoscenza contro l’ignoranza, il dialogo contro la prevaricazione, l’ambiente contro villettopoli, la cultura contro l’arroganza, il lavoro contro i soldi facili. L’amore, soprattutto, per il luogo nel quale si vive e per fare in modo di studiarlo e conoscerlo a fondo. Quello per i diritti dei più deboli. Antonietta era lì, insieme alla figlia Silvia e all’amato nipote Gabriele, a dirci di non mollare, a essere ancora un faro in una città pervasa dalla cultura mafiosa che abbiamo visto in tv qualche sera fa.

Sì, cultura mafiosa alla quale dobbiamo continuare a opporci. Perché vedete, ora si sta facendo un “caso” su quanto emerso dalla trasmissione “Piazza pulita” di La7. L’intellighenzia cittadina che è vicina a chi amministra o gli stessi politici che per 30 anni si sono girati dall’altra parte – emblematica la “fuga” del sindaco con la tv – o hanno cooptato personaggi poco raccomandabili facendo metter loro il vestito bello, sono a caccia di chi ha fornito informazioni all’autore della trasmissione. Come se non fossero di dominio pubblico. L’Associazione che dovrebbe tutelare i commercianti ci fa sapere che è tutto a posto e che loro lavorano, mica possono perdere tempo in manifestazioni. Bene, lavorano anche altri, sia chiaro. Alcuni, via social, danno della “spia” se non dell'”infame” a chi ha svolto quel servizio e in chi a livello locale lo avrebbe aiutato. Il problema, allora, diventa il raccontare certe cose e non le nefandezze che erano emerse in “Tritone” (ma prima ancora in altre indagini) ed erano già di dominio pubblico, ma sono state rese note in maniera ancora più evidente in tv. Si guarda al dito, non alla luna. Si cercano presunti colpevoli di aver fatto il loro mestiere, ma non si dice che quanto Piazza Pulita ha solo confermato è una vergogna e che i personaggi pubblici coinvolti (ma non indagati) fingono di non sapere o la buttano in confusione o preferiscono tacere. Eccola, la cultura mafiosa, quella che insieme ad Antonietta dobbiamo continuare a ostacolare in ogni modo. Non sappiamo se il Comune sarà sciolto o meno, c’è una commissione al lavoro e le istituzioni vanno rispettate. Sempre. Sappiamo però che in campagna elettorale nel 2018 c’era chi prometteva posti in cambio di voti e chi gioiva (la ‘ndrangheta) per avere “sbancato il Comune”. Alcuni nodi sono arrivati al pettine, tanti altri restano da approfondire se ci fosse (stato) un investigatore come ebbi modo di sostenere mesi fa.

Sono quei fatti, quelle prevaricazioni, la mancata legalità delle cose quotidiane, urla e minacce in consiglio comunale, ad alimentare una cultura mafiosa ormai imperante. Per questo confidiamo in quello che è stato giustamente definito “il sorriso dolce e severo” di Maria Antonietta. Per continuare a dire che c’è una città diversa.

Infine, un aneddoto: nel dibattito prima del ballottaggio del ’98 – moderato da scrive – l’attuale sindaco provò a dire che la professoressa non poteva fare domande. Mi opposi e lei la fece. Con il passare degli anni ci siamo trovati anche su posizioni diverse, ma non dimenticherò mai che era stata lei stessa – al distretto scolastico, anni prima – a dire a noi studenti che le libertà vanno rispettate se vogliamo mantenerle. Grazie, Antonietta.

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