Capo d’Anzio, accanimento terapeutico. Rispunta (copiata) la fideiussione

Nel comunicare l’approvazione del bilancio di previsione del Comune, la commissione straordinaria che guida la città cita – fra l’altro – “la riorganizzazione della società Capo d’Anzio Spa”. Quale sia questa riorganizzazione lo ignoriamo, però andando a leggere qualche atto pubblicato sull’albo pretorio relativo proprio al bilancio, scopriamo che per la società è previsto una sorta di accanimento terapeutico.

I commissari, forse, ignorano che la fideiussione che viene riproposta, immaginiamo dal dirigente dell’area finanziaria – misteriosamente ancora al suo posto nonostante compaia nelle relazioni delle commissioni di accesso di Anzio e Nettuno, con pesanti responsabilità – è stata già “bocciata” da diversi istituti di credito. La dottoressa Scolamiero, il dottore Tarricone e il dottore Anatriello non si saranno accorti che il punto 6 della “nota integrativa” è copiato e incollato – pari pari, per 31 righe – dallo stesso documento del 2022. Pensate, c’è scritto persino che “l’attuale Consiglio di Amministrazione ha invocato l’intervento del socio pubblico, presentando un piano aziendale di investimento (allegato alla presente deliberazione)“. Peccato non esista più un consiglio di amministrazione e che, allegato alla delibera di bilancio, non troviamo il piano di investimento. Comunque già nel 2022 si parlava della fideiussione. Sì, quella che l’allora presidente della società, Ernesto Monti insieme all’allora amministratore delegato, Gianluca Ievolella, ritenevano indispensabile per “rilanciare” il porto. Peccato che la Capo d’Anzio non sia “bancabile”. Se ne sarà accorta anche l’attuale amministratrice unica, dimessasi il giorno prima del bando di Anzio dalla Aet (a proposito, chiude il bilancio 2021 in negativo e il Comune pagherà in quota parte circa 6000 euro) e nominata qualche giorno dopo nel nuovo ruolo. Ah, nel frattempo l’ex presidente è a giudizio per falso in bilancio, a giugno ci sarà l’udienza con rito abbreviato, ma la Commissione non ha avvertito il bisogno di costituirsi parte civile nonostante secondo la Procura il Comune ovvero i cittadini risultino danneggiati dai bilanci presunti taroccati.

L’unico passaggio non copiato è questo: “(…) nonostante la Capo D’Anzio non abbia ancora contratto alcun finanziamento con istituti di credito, si è deciso di mantenere nella programmazione finanziaria la garanzia concessa in attesa di valutare la continuità o meno dell’attività aziendale della società“. Non lo ha contratto semplicemente perché nessuno glielo ha dato. Non sarà sfuggito alla Commissione, invece, che la Capo d’Anzio deve ancora restituire al Comune i 517.000 euro di una precedente fideiussione, escussa dall’allora Banca Popolare del Lazio, pagata dal Comune stesso e mai riavuta indietro. Vicenda che è anche all’attenzione della Corte dei Conti. Nel frattempo basta affacciarsi al porto per notare la desolazione e l’assenza di scafi, come sarà “rilanciata” la Capo d’Anzio resta un mistero.

Ora, comprendiamo tutte le migliori intenzioni, ma qui siamo al paradosso di arrampicarsi sugli specchi per una società che il porto doveva realizzarlo e si limita a gestirlo, anche male. Vero che la Capo d’Anzio ha come unico bene la concessione demaniale, ma ci vuole tanto a dire “abbiamo fallito, non siamo in grado” e dato che il Demanio è ormai competenza dei Comuni a trovare un’alternativa? Già, il Demanio, altra “perla” del dirigente signorsì ampiamente citata nella relazione sullo scioglimento dell’ente per condizionamento della criminalità organizzata.

Anche per questo, giova ricordare che le vicende della Capo d’Anzio e la “confusione” – usiamo un eufemismo – sulla gestione delle società partecipate, sono un ampio capitolo del decreto che ha portato allo scioglimento del Comune. Cos’altro dobbiamo sopportare?

Capo d’Anzio, accanimento terapeutico. Ma è ancora nostra?

Il Consiglio comunale di Anzio ha approvato a maggioranza – 14 favorevoli, 5 contrari – la fideiussione per la Capo d’Anzio. Presidente e amministratore delegato (il primo esperto e protagonista di crack, il secondo lo stesso che venne a illustrare i fallimentari “Dolt”) hanno provato a spiegare la bontà di un’operazione che è da accanimento terapeutico verso una società decotta. E che il porto, al momento, non lo fa ma prova malamente a gestirlo. Accumulando debiti. Perché sia in quelle condizioni l’ho riportato più volte, ma ora sorge un altro dubbio che pure è stato affrontato in questo umile spazio in diverse occasioni.

Siamo certi che la società sia ancora nostra? Attualmente deteniamo il 100% delle azioni, 61% nostre e 39% affidate a un custode giudiziario dopo che Italia Navigando ha ceduto le sue quote a Marinedi. C’è un “reclamo” ancora aperto, presentato dalla Marinedi di Renato Marconi e c’è un ricorso in Cassazione presentato dalla stessa società e da Invitalia. Finora il Comune ha sempre vinto, ma il punto non è questo.

Il decreto legislativo 175/2016 prevede, fra l’altro, un fatturato medio nell’ultimo triennio precedente all’entrata in vigore del provvedimento, di un milione di euro, cosa che la Capo d’Anzio non ha avuto. A ciò si aggiunga che il bilancio è stato faticosamente (e con qualche perplessità almeno per il 2018, quando arrivò e fu approvata in consiglio d’amministrazione una perdita di 73.000 euro poi “scomparsa”) portato in attivo in quel triennio. Se fosse applicata questa norma, il Comune doveva avviare la dismissione della società.

La legge finanziaria del 2007, inoltre, vietava alle amministrazioni pubbliche di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni”. Ora, la Capo d’Anzio era costituita prima e abbiamo sempre sostenuto la necessità di avere il controllo pubblico sul porto, ma forse non è sufficiente. Anche la Corte dei Conti aveva “bacchettato” il Comune in tal senso.

C’è poi il Consiglio di Stato che afferma: “(…) si prevede una decadenza ope legis della partecipazione con il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all’ente del valore delle quote o delle azioni detenute in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell’eventuale valore di mercato”.

Nessuno si auspica che il Comune, dopo anni di promesse e debiti accumulati, possa perdere il controllo ma dopo il Consiglio di ieri siamo ancora certi che la società sia ancora nostra?