“Sangue sporco”, il viaggio non si ferma

11235437_10205843514500370_6893699645416827861_nLo ripetevano tutti, quelli che dicevano subito di sì e quelli che dovevano pensarci, ma anche quelli che declinavano l’invito a raccontare la propria storia o quella dei familiari alle prese con il sangue infetto. Ripetevano che era necessario parlarne, farlo sapere, denunciare, dare voce a chi – fino a quel momento – non ne aveva mai avuta.

Il viaggio di “Sangue sporco” è iniziato quasi tre anni fa e nei giorni scorsi, a Formia, si è concluso per il 2015 il “giro” di presentazioni. Scherzando (ma non troppo….) c’è chi sottolinea come sembra il tour di un Casadei o di qualche altro gruppo musicale. Siamo a 18 tappe da quando è uscito – Cesena, 28 marzo – ma in realtà il viaggio parte prima.

Dai primi accenni con l’avvocato Renato Mattarelli alla raccolta delle storie, dai contatti con le persone coinvolte alle telefonate per illustrare brevemente l’idea, dai primi incontri, fino alle interviste. Da Milano a Vibo Valentia, da Torino a San Felice Circeo, da Roma a Napoli e non solo.

Giornate spese grazie alla “corta” al giornale e inevitabilmente sottratte alla famiglia, ma dalle quali si tornava sempre con una esperienza unica. Auto, treni, aerei, manca la nave ma mai dire mai…

In ogni presentazione gli interlocutori chiedono cosa mi sia rimasto, in alcune è stato detto che traspare un inevitabile coinvolgimento, a me piace parlare di arricchimento e riscoperta del piacere di questa professione. Tra i ricordi di quando volevo fare il giornalista c’è quello di un collega della Rai che amava ripetere che ci siamo per “far parlare gli altri”.

Non avevano avuto voce, finora, i quindici protagonisti delle storie di “Sangue sporco” e – idealmente – non l’avevano avuta tutti coloro che quotidianamente continuano a battersi per vedere riconosciuti i loro diritti.

Ho provato a dargliela, ricevendo in cambio tante lezioni di dignità assoluta. Persone amareggiate, indignate, ma che possono andare a testa alta. Al contrario di chi, invece, quando va bene la testa la mette sotto la sabbia. Fingendo di non vedere il problema. Lo fanno, sistematicamente, al Ministero con i rimborsi o quando si costituiscono nei processi copiando e incollando e sapendo, in partenza, che tanto perderanno. Già, tanto poi non pagano mica….

L’ho scritto sul libro e vado a raccontarlo dove mi chiamano, ogni volta con la stessa voglia ma al tempo stesso l’apprensione per l’evento, con l’idea di proseguire il viaggio perché si parli di un argomento misconosciuto e la certezza che potrò incontrare gente nuova, scambiare opinioni, conoscere.

A Cesena, in occasione della fiera organizzata dall’editore, l’adrenalina era alle stelle: giocavo fuori casa e in platea c’erano medici che si erano presentati poco prima dell’evento. La responsabile di un centro trasfusionale che annuiva allentava la tensione nella bella sala della biblioteca Malatestiana, la presenza di Angelo Magrini – uno degli intervistati – arrivato apposta da Torino era un segnale importante per l’esordio del libro, mentre a rassicurarmi c’era la “prima fila” con sorella, nipote e cugino della collega Monica Forlivesi. Dalla “sua” Romagna erano arrivati i fans. E poi la cena a casa di Francesco Giubilei, il giovane editore senza il quale il libro non sarebbe mai uscito, in famiglia, con i piatti tipici….

Latina, la mia seconda città, la sala “De Pasquale” appena rinnovata, la bella lettera del sindaco Giovanni Di Giorgi letta dal presidente del consiglio comunale, Nicola Calandrini, l’avvocato Renato Mattarelli al fianco, il presidente dell’Ordine dei medici – alla faccia di quelli che quando leggono “malasanità” storcono il naso – la brava Dina Tomezzoli a moderare, un pubblico di amici, colleghi, tanti intervistati che avevano scelto di esserci. Tra loro ricordo il sorriso e l’abbraccio della ragazza down che sa di essere parte del libro… A Latina un altro paio di tappe, prima a una festa in piazza e poi all’Avis, di recente, con il complimento che il libro “è un monito a fare attenzione”.

A Roma l’appuntamento era in Senato, realizzato grazie all’amico e collega Lidano Grassucci. collaboratore del senatore pontino Claudio Moscardelli. Diciamo la verità: avremmo ufficialmente dovuto parlare di un disegno di legge, ma eravamo lì – nello splendido complesso di Santa Maria in Aquiro – per il libro. Mia moglie, i genitori, gli zii, la presenza istituzionale del Comune di Anzio con il vice sindaco Giorgio Zucchini, amici romani – alcuni persi di vista anni fa – quelli anziati e di Latina venuti apposta, la “sponsor” Maria Letizia Mariani che avrebbe offerto il cocktail subito dopo, i colleghi ex Ansa, quelli del sindacato. Tra tutti Santo Della Volpe, presidente della Federazione della stampa, venuto a mancare qualche mese dopo. Le sue toccanti parole sul libro, sull’argomento, sul “giornalismo di prossimità”, sono impresse nel mio cuore. Già non stava bene eppure volle esserci, spero che il mio grazie arrivi fin lassù….

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Con Santo Della Volpe al Senato, dopo la presentazione del libro

Rotta verso Milano, la sala Melampo con pochi presenti ma un dibattito comunque forte, con l’amico e collega Alessandro Fulloni al quale mi legano i trascorsi sul litorale romano, in mezzo alla strada, a raccontare la cronaca. In sala altri intervistati, alcuni conosciuti via facebook dopo l’uscita, amici e colleghi, qualche anziate in “trasferta”.

Anzio, allora, la mia città, alla vigilia della Comunione di Gaia, nell’aula magna del Chris Cappel College. Con me il presidente uscente dell’Unione cronisti, Guido Columba, e il fratello acquisito Ivo Iannozzi, direttore del Granchio. Il contatto creato da Elena Ammannito con i coniugi Cappelluti che hanno fatto un gesto d’amore incondizionato donando la scuola alla città per ricordare il figlio scomparso era andato a buon fine: tanti in sala, alcuni inaspettati, firme, abbracci, complimenti. Pensavo fosse finita, invece le tappe erano appena agli inizi.

Perché non se ne era mai parlato e adesso ti cercavano, chiedevano di organizzare, c’erano articoli sui giornali, l’ospitalità in tv e radio, sui siti….

L’amico e collega Claudio Pelagallo alla biblioteca di Aprilia, dove i rappresentanti degli emofilici hanno fornito la loro esperienza, la collega Adriana Paratore a Cosenza, dove ho conosciuto persone fantastiche; la collega Sandra Cervone a Gaeta – in una sala bellissima e con i passaggi letti dalla stessa Sandra emozionanti, oltre a Vanni Albano chiamato a moderare – il comitato elettorale dell’ex sindaco di Ceccano, l’iniziativa in piazza a Sabaudia con l’editore, il contatto creato con Tina Muscio a Salerno e la conoscenza con il collega Alessandro Mazzaro che mi avrebbe portato successivamente a Pontecagnano Faiano per il compleanno del suo sito, anche qui con la conoscenza di persone assolutamente piacevoli che senza “Sangue sporco” non avrei mai incontrato. E Gallicano (Lucca)? Lì hanno fatto storie per la sala, eravamo in “casa” dei Marcucci… Ma l’Arci Garfagnana non s’è tirata indietro, figuriamoci io…. Alle 21,15, in un paesino di provincia: “Verrà qualcuno?” chiedo mentre siamo a tavola. “Qui le cose si fanno dopo cena…” Era pieno, peccato per i pochi libri disponibili. Però nuovi contatti, conoscenze, appuntamenti che vorremmo organizzare.

Ancora Anzio, con il Comitato Villa Claudia su input di Angelo Pugliese e Stefano Colelli, Terracina grazie a Franco Iannizzi E Marcela Avduramani, Formia con il sacerdote e amico Alfredo Micalusi, il presidio di Libera e il “consigliere” Saverio Forte a moderare l’appuntamento al quale ha preso parte il direttore generale della Asl Michele Caporossi.

No, non finisce il viaggio, passato da sale importanti a librerie, da incontri all’aperto a hotel, caratterizzato sempre dalla voglia di raccontare.

Sangue sporco” è alla prima ristampa, spero ne seguano altre, a gennaio forse ci vediamo a Bari (il 19, da confermare), a febbraio sicuramente a Ferrara (il 10) e poi Modena e Bologna, di nuovo a Lamezia Terme, ancora Genova, Torino, Napoli….

Critiche, complimenti e contatti arrivano grazie a facebook che ha facilitato scambi di idee e appuntamenti, ma passare dal mondo virtuale all’incontro con le persone resta la cosa più bella.

E’ quello che noi giornalisti dovremmo fare, sempre. Facendo “parlare gli altri”. Grazie a tutti.

Epatite, qualcosa si muove. E il Ministero continua a tacere

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E’ interessante lo studio dell’università di Tor Vergata relativo alle epatiti C. E’ segno che qualcosa intorno a questo killer silente si muove, soprattutto che c’è chi comincia a prendere coscienza del potenziale di malati che non sanno ancora di essere infettati.

L’interesse, inevitabilmente, è legato all’arrivo di nuovi e costosi farmaci, ma dallo studio emerge un particolare che raccogliendo il materiale per il libro “Sangue sporco” ho più volte riscontrato.

Di fronte a un potenziale infettivo come quello dell’Epatite C nessuno ha svolto, negli anni, politiche di educazione sanitaria attive. Né ha cercato di fare – scoperto un donatore infetto – quello che noi faremmo se danneggiamo un’auto durante una manovra di parcheggio: cercare di capire il danno, lasciare i dati, trovare il modo di contattare il proprietario dell’altra auto.

Vai dal medico di base – se non nei reparti specializzati in malattie infettive – e non trovi una che è una informazione. Della serie: “Hai subito trasfusioni? Hai fatto uso di emoderivati? Contattaci…” Meno ancora la comunicazione sulle modalità di trasmissione.

Oggi, ripeto sarà per i farmaci che finalmente danno una risposta completa, anche se non sono ancora per tutti, ci sono anche campagne come quella “Una malattia con la C” che provano a colmare il vuoto.

Finora solo le associazioni di malati hanno cercato di diffondere e far conoscere, l’Epac attraverso i codici di esenzione nelle Regioni ha fatto una stima dei malati noti, ma resta il problema di chi ignora.

Dal Ministero della Sanità prima e della Salute oggi si sono, invece, sempre girati dall’altra parte. E continuano a farlo.

Non risulta, è una delle vicende che racconto nel libro, che individuato un donatore infetto si sia risaliti ai pazienti per i quali era stato utilizzato il suo sangue e si sia cercato di prevenire o quanto meno di informare. Si aspetta, si mette la testa sotto la sabbia, se e quando arriveranno le richieste di indennizzo ci si difenderà negando l’evidenza, eccependo la prescrizione, poi si cercherà in tutti i modi di non pagare i risarcimenti.

Mentre le infezioni, se non si adottano provvedimenti come quelli suggeriti dal pool di Tor Vergata, aumenteranno.

Il libro sul sangue, i colleghi, l’auto-pubblicità

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Ai tempi dell’università il professor Domenico De Masi ci invitava a fare citazioni tra noi. Sosteneva, a ragione, che altrimenti nessuno ci avrebbe mai indicato per un lavoro fatto. Una lezione che ho evidentemente imparato, se oggi continuo ad auto-promuovere il libro “Sangue sporco. Trasfusioni, errori e malasanità” che da qualche giorno è disponibile nelle librerie di tutta Italia.

Ne hanno parlato agenzie, giornali e siti autorevoli, a cominciare dal “mio” – nel senso che ci lavoro – Messaggero e stiamo presentando o presenteremo  il libro edito da Giubilei Regnani in mezza Italia. Qualche giorno fa al Senato, con a fianco il presidente della Fnsi Santo Della Volpe, il collega e amico Lidano Grassucci e l’avvocato Renato Mattarelli  ho avuto l’onore di presentarlo in una sede istituzionale e il piacere di vedere tanti colleghi, oltre ad amici di una vita e altri invitati.

Mi soffermo sui colleghi perché questo, lo ripeto, è il libro di un giornalista. Di chi fa il proprio mestiere, come tanti e soprattutto nelle redazioni di provincia, in quel lavoro “di prossimità” – come ha ricordato Della Volpe – fondamentale per questo Paese. Perché piaccia o no, di giornalisti abbiamo ancora bisogno. E tanto. Non di chi “copia e incolla”, ma di chi ha ancora voglia di andare a scoprire e raccontare fatti. Non di chi si preoccupa delle possibili reazioni del “potente” di turno, ma di chi prova a mantenere la schiena dritta come ci ricordava il Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Non di bavagli e lacci di vario genere, di querele temerarie o maxi richieste di risarcimento che minano la libertà di esprimersi.

Abbiamo bisogno, allora, anche di trovare tutti i modi per raccontare le storture delle nostre città e non solo. Fosse con i media tradizionali o con i libri d’inchiesta che ti fanno riscoprire il gusto di questo lavoro (e ce ne sono molti in circolazione) con i blog o i siti d’informazione, i social network.

Nell’era che stiamo conoscendo, quella dei cosiddetti “personal media” , c’è ancora molto bisogno di chi va, vede e racconta così come di chi si informa, va alla fonte e verifica prima di scrivere.  E’ il nostro dovere, nei confronti dell’unico padrone che ci ricordava Indro Montanelli: il lettore.

Noi cronisti, gente curiosa. Così nasce il libro sul sangue

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Tanti mi stanno chiedendo come mai ho deciso di occuparmi, addirittura in un libro, dei casi di sangue infetto. A tutti rispondo che è stata, semplicemente, la curiosità di un giornalista. Siamo gente strana, noi cronisti, spesso “indigesta” – tanto che dal Ministero della Salute si sono ben guardati dal rispondere alle richieste di avere anche la loro versione sui mancati risarcimenti – ma finché saremo curiosi varrà la pena di fare questo mestiere.

Vai, vedi e racconta“, ci dicevano quelli che ci hanno preceduto e questo straordinario mestiere l’avevano nel sangue. E vale sempre se vuoi fare il cronista. A maggior ragione oggi che il motto – più degli editori che vorrebbero ridurre la nostra figura a quella di passacarte  è “copia e incolla“.

Curiosità, allora. Quanta gente è in queste condizioni? Che trafila deve fare per ottenere un risarcimento? E cosa è successo quando ha scoperto la malattia? Come lo ha scoperto? Cosa gli hanno detto? Perché si “nasconde” dietro un decreto legge la transazione della transazione? E’ così che mi sono trovato davanti un mondo. Fatto di tanta dignità ma anche di grande indignazione. Di realtà che supera la fantasia. Di persone alle quale sarebbe bastata, a volte, semplicemente una parola: “Scusa“. Storie vere, vissute nella realtà ma aiutate anche da quanto si sta vedendo con la fiction “1992” con il poliziotto che ha preso l’Aids per gli emoderivati. Nel libro c’è un padre che ha perso due figli per quello che veniva considerato un toccasana.

Non ho pretese scientifiche, tanto meno tecnico-giuridiche. Spero di aver fatto al meglio il mio lavoro.

Ringrazio gli intervistati, anzitutto, senza i quali la ricostruzione delle storie non sarebbe stata possibile né avrebbe avuto senso leggendo semplicemente carte processuali. E ringrazio Francesco Giubilei, il giovane editore che a dispetto delle tante case editrici che si professano “di denuncia” è l’unico ad aver creduto in questa ricostruzione e avermi dato fiducia. Gli altri ringraziamenti sono nel testo che spero vorrete acquistare e leggere.

Concludo con la dedica che apre il lavoro. Non poteva essercene una diversa. “Le bastavano poche righe per capire, mentre lui ripeteva: giudizio. A mamma e papà“.

Tranquilli, ci sono. Ho lavorato per…

Da qualche giorno ho trascurato questo spazio. Voglio tranquillizzare tutti coloro che hanno la pazienza di seguirmi. Ci sono, è che ho concluso il lavoro del quale alcuni già sanno. Un libro sui casi di sangue infetto che uscirà a fine marzo per l’editore Giubilei e Regnani. E’ il mio secondo resoconto giornalistico, il primo “Latina segreta”, è uscito a dicembre 2013 per Historica .

Per adesso su “Sangue sporco” accontentatevi di questa anticipazione: “Un viaggio da nord a sud dell’Italia. Un itinerario tra persone malate, infettate per trasfusioni di sangue o per errori commessi negli ospedali.  Questioni semplicemente liquidate come malasanità, quando in realtà in certi casi si rasenta una specie di accanimento. Come quello del Ministero della salute che normalmente non risponde e quando lo fa prova a negare l’evidenza. Sono migliaia le persone contagiate dall’epatite C e dal virus Hiv, danneggiate prima e beffate poi. Di loro si racconta in questo libro-inchiesta che mette insieme alcuni casi simbolici, ripercorre lo scandalo degli emoderivati, prova a far conoscere un fenomeno che non “fa” notizia. Almeno fino al prossimo decesso“.