
La sollevazione del mondo politico contro la chiusura del reparto di ostetricia e della pediatria del “Riuniti” di Anzio e Nettuno è ipocrita e tardiva. Fa sorridere come gli stessi che – trasversalmente – per anni sono andati a prendere voti, si sono ingraziati i direttori generali e commissari chiedendo ora di spostare un dirigente, ora di nominare un primario, ora di avere una Uos – unità operativa semplice – e ora una Uoc, complessa, per il medico amico, oggi scendano in campo. C’è da chiedersi dove fossero, da destra a sinistra, quelli che non si sono accorti che di 10 ragazzini registrati all’anagrafe di Anzio, solo 3 nascono in ospedale, contro gli 8 di mica tanto tempo fa. Perché accade questo? Semplice, disarmante direi: quel reparto è stato abbandonato a se stesso dalla Asl, non si è “investito” su personale e mezzi, così da fiore all’occhiello è diventato un luogo in cui si viene, si “sverna”, magari si portano i pazienti verso Roma o altre località, perché qui non ci sono prospettive.
I sindaci, poi, quelli che si sono fatti il “selfie” con il direttore generale Mostarda, da una vita in questo ambiente, personaggio più navigato dei politici di casa nostra. Che ci dirà ora? Che sono i dati? O che arriverà qualche macchinario programmato e atteso da tempo e i nostri primi cittadini saranno più contenti? Oggi si indignano, ma ieri – non tanto Coppola da Nettuno che ancora non c’era quanto il nostro De Angelis, attraverso il suo vice Fontana – hanno consentito che si svuotasse anche otorino. Basta leggere il verbale dell’ultima conferenza dei sindaci. Almeno, stavolta, qualcuno c’è andato. Con Bruschini, del quale il nostro stesso sindaco rimangiandosi gli impegni solenni dice di essere la continuità, alle conferenze non si andava ma poi si facevano i “tavoli” e arrivavano le promesse. Inutili. Perché via via si perdevano la senologia, il centro trasfusionale e via discorrendo. E non è certo esente da responsabilità la Regione Lazio, a guida Pd – unico ancora a non esprimersi sulla vicenda a livello locale – che taglia oggi e taglia domani, apri un ospedale pressoché vuoto come quello dei Castelli, ha perso di vista le necessità di un territorio. E non da oggi, perché se passi da 800 a 300 parti non accade in un anno, hai scientemente scelto di non preoccuparti. Come fu, giova ricordarlo, in campagna elettorale. Quando per rispondere alle divisioni interne del Pd l’assessore D’Amato pose “impegni pregressi” e non partecipò a un dibattito al quale aveva dato la sua disponibilità. Gli impegni erano una inaugurazione a Pomezia, dalla quale Anzio dista 20′. Ecco, le logiche manco di partito ma di corrente, questo è.
E pagano i cittadini, pagheranno ulteriormente le donne private prima della senologia, ora di ostretricia e ginecologia che mica tanto, 10 anni fa, presentava un lavoro a livello internazionale sull’incontinenza urinaria ed era tra i reparti migliori del Lazio. Era un’eccellenza, con i vari Gilardi e Ambrogi, poi è finito tutto. E’ stato fatto finire tutto.
Non è un problema di pediatri – che mancano qui come altrove, in provincia di Latina hanno dovuto pagare cifre enormi e farli arrivare da una società di Bologna – è di scelte mancate. Si metterà anche una “pezza”, adesso, ma non basta. Perché la Regione Lazio deve dirci – e non lo ha fatto – cosa vuole fare di questo ospedale. E deve dircelo oltre le pie intenzioni e le belle parole, nei fatti. Devono dircelo – e non lo hanno fatto – sindaci, assessori, consiglieri comunali di lotta e di governo, magari medici in servizio e al tempo stesso impegnati in politica, proprio con l’ospedale bacino elettorale.
Perché i cittadini sono stanchi di essere presi in giro da chi si ricorda ora di fare una “battaglia” che andava combattuta nella conferenza locale sulla sanità e con i consiglieri regionali di riferimento, adesso è tardi. Perché Zingaretti, l’assessore D’Amato, Mostarda e chi c’è stato prima di loro – amo dire banalizzando che Storace ha gestito la sanità con le unità operative dell’unghia incarnita e Marrazzo dell’osso al piede, mentre negli anni precedenti c’è chi come Pasetto fantasticava di nuovi ospedali proprio al confine, ricordate? – devono prendere coraggio e dirci: signori, qui si chiude. Oppure, signori: qui resta un grande pronto soccorso (ma con il personale adeguato, non con le carenze di sempre) e per il resto dovete andare altrove, dove troverete le eccellenze (!?!) oppure vi arrangerete.
Perché se davvero “prendessero in carico” – e non in giro – i cittadini fragili e i malati cronici, dell’ospedale ci sarebbe bisogno solo per le urgenze reali. Ma si deve trovare il coraggio, una volta per tutte, e con altrettanta determinazione queste comunità debbono dimostrare che per un’utenza di 120.000 abitanti che raddoppiano l’estate serve un ospedale non che abbia tutto ma il minimo indispensabile e di livello. Non i medici che ora arriveranno dal “Bambino Gesù” e poi chissà, non i contratti a termine, non chi è qui sperando di andare via o di restare perché “sono voti”. Guardiamola in faccia, la realtà, è così. E o si investe per rilanciare i reparti e servizi che resteranno, sulla “presa in carico”, oppure meglio chiuderlo l’ospedale. E senza “selfie”.