Va dato atto a chi ha organizzato il presidio all’ospedale di Anzio di aver smosso un interesse mai visto prima, salvo che fossimo in campagna elettorale quando si inauguravano anche solo “consegne” di cantieri. Sono arrivati rappresentanti regionali di diversi schieramenti, mentre la Asl ha fatto immediatamente sapere quali sono le misure per il “Riuniti”. Quelle che aveva preannunciato, di fatto, ieri, il presidente del Consiglio regionale Daniele Leodori
Ieri sera c’era gente che arrivava per firmare di continuo, chi scrive ha messo la propria dopo un dialogo con gli organizzatori e comprendendo la genuinità di chi ha immaginato l’iniziativa. Non il messaggio.
La preoccupazione di chi, da giorni, 24 ore su 24, è sotto al gazebo di fronte al pronto soccorso, è infatti quella che a forza di “svuotare” i reparti, accorparli, ridurre le prestazioni, l’ospedale chiuda. Preoccupazione legittima quanto infondata. Sommessamente si ritiene che oltre a non essere scritto sull’atto aziendale, nessuno è così pazzo da eliminare una struttura sanitaria in un bacino d’utenza che conta normalmente oltre 110.000 residenti che d’estate diventano il triplo.
Quello che si deve sollecitare a chiudere è, invece, un ospedale concepito all’antica. La sanità non è più, semplicisticamente, posti letto. Non è e non deve essere il pronto soccorso a dover sopperire alle carenze del territorio. Non è l’ospedale il luogo per “aggirare” le liste d’attesa e fare esami che se fossero realmente urgenti vedrebbero i medici di base chiamare il numero verde a loro riservato. Un ospedale non è più – e non doveva essere prima – un votificio.
Purtroppo è successo. Purtroppo i primari sono stati, in troppe occasioni, dei piccoli feudatari. Oggi, con un ospedale per “intensità di cure” e non più dove conta chi ha più letti, va cambiata una mentalità superata dalla storia. Se ne deve accorgere anche la politica, spiegando – anzitutto ai tanti medici che vi girano intorno – che la medicina del futuro è quella della “prossimità” e non del ricovero, capendo che i tempi dei favori (infermieri in ufficio, medici promossi in improbabili unità operative semplici e fuori dai turni, quindi con maggiori carenze per i reparti) per il ritorno elettorale sono superati. E l’atto aziendale della Asl – votato all’unanimità, quindi anche dal sindaco di Anzio Luciano Bruschini o suo delegato – va in questo senso. Cancellando le unità operative (oltre 200) e non i servizi. Ci auguriamo potenziando definitivamente le “prime linee” dei pronto soccorso.
Certo, una rivoluzione. Come quella che deve fare un certo vetero-sindacalismo, quando suggerisce -e speriamo di sbagliare – i certificati di malattia come alternativa ai trasferimenti nell’ambito della stessa azienda.
Fa riflettere, invece, quanto affermato oggi dal direttore generale Fabrizio D’Alba su chi non accetta contratti di sette mesi (e poi c’è la crisi…) e chi, invece, a scorrimento delle graduatorie, preferisce non accettare Anzio. Troppo comodo. La Regione Lazio, oltre a bloccare il turn over e a concedere deroghe – cinque su otto nella RmH sono state destinate ad Anzio – deve trovare il modo di dire a chi non accetta un posto che può anche dimenticare di lavorare con le Asl del territorio .
E a proposito di atto aziendale, è da sottoscrivere quanto afferma il direttore generale: “Al fine di qualificare le strutture aziendali ed ottimizzare le risorse è stata elaborata, e presentata all’Ente regionale, una dettagliata proposta di riorganizzazione della rete ospedaliera della Asl Roma H, alla quale si rimanda per ogni più completo dettaglio, e per la precisa definizione per ciascun polo, delle attività che saranno presenti nei singoli presidi ospedalieri a seguito del riassetto derivante dal presente Atto, precisando che alle suddette attività non necessariamente debba corrispondere la individuazione di una Unità Operativa complessa o semplice, potendo le stesse essere assicurate anche da parte di Dirigenti con incarico professionale, afferenti a Unità Operative Complesse ubicate presso il medesimo Polo o, in caso di attività su scala aziendale, anche in Polo Ospedaliero diverso. Laddove siano presenti linee di attività e funzioni, quali ad esempio quelle di assistenza e cura di patologie diabetiche, non organizzate in autonome Unità Operative semplici o complesse, queste non devono intendersi soppresse, essendo obiettivo aziendale, all’opposto, il loro specifico rilancio ed addirittura potenziamento con nuovi percorso e metodologie di lavoro come piani, programmi e progetti”.
E’ la teoria. Quando sarà pratica – speriamo presto – avremo degli ospedali moderni e un territorio che risponde, i malati “presi in carico”, i pronto soccorso solo per le emergenze, i posti letto per osservazione, acuti e post acuti e dalla parte degli utenti, non dei primari.
Allora non ci saranno più, speriamo, i tanti politici che in questi giorni hanno cavalcato l’onda o fatto passerella. Comunque se è servito a dare risposte che altrimenti non sarebbero arrivate o non avrebbero avuto la stessa eco, il presidio è stato un bene.