Quando i politici “scoprono” la sanità. Sapendo poco

ospedale

Non c’è dubbio che la situazione dell’ospedale di Anzio sia difficile. Non lo è da oggi, ma da tempo, in particolare nella “prima linea” del pronto soccorso. Al personale va un plauso assoluto e incondizionato. E fanno anche bene, i politici di varia estrazione – qualche giorno fa il vice sindaco Zucchini, poi il consigliere regionale Santori – a far sentire la loro voce.

Scoprire” le difficoltà dell’ospedale tanto per farlo, guadagnarsi titoli sui giornali e accontentare i propri “galoppini” locali serve però a poco se non ci sono due azioni conseguenti. Anzi tre.

La prima è la conoscenza. La macchina sanitaria è una delle più complesse da mandare avanti ed è chiamata a fornire il bene più prezioso: la salute. E’ una macchina che paga, oggi, quanto è stato fatto nel corso degli anni dalla politica con sprechi e clientele. Da chi “imbucava” un infermiere in ufficio o da chi faceva “promuovere” primario di una singolare unità operativa – meglio semplice, i gradi erano più facili da dare – l’amico/elettore, con seguito di consensi. Da chi imponeva il presidente del comitato di gestione e poi il direttore sanitario, a chi non controllava i costi per cui la stessa siringa costava in un’azienda sanitaria 10 e in un’altra 2.

Oggi paghiamo nei conti della Regione ancora i “leasing back” di Storace che per fronteggiare la situazione di disastro finanziario ha venduto le strutture, paghiamo le “macro aree” scellerate della Polverini (i debiti di Roma spalmati sulle Asl del Lazio), le scelte mancate di Badaloni prima e Marrazzo poi. Perché con la sanità si vincono o perdono le elezioni, questo è il problema…. E il medico x, il quale magari ha pagato un intero tavolo alla cena elettorale di autofinanziamento del politico y, farà carriera….

Conoscenza è anche sapere che un sindaco può incidere sulle scelte nell’apposita conferenza locale. Cosa ha fatto Bruschini, per esempio, quando c’era da approvare l’atto aziendale della Roma H? Cosa ha chiesto per il territorio?

La seconda è trovare soluzioni possibili. La “coperta” della sanità è corta per i numerosi errori commessi in passato, ma certo è singolare che un infermiere, nella stessa azienda, non possa essere spostato da Nettuno ad Anzio o da Ariccia ad Albano per “tamponare” un’emergenza. Urlare con Zingaretti e fare interrogazioni  va bene, ma chiedere al direttore generale Fabrizio D’Alba di sedersi con i primi cittadini del comprensorio e trovare le soluzioni possibili per tempo non è una bestemmia. Magari facendo capire a chi si trova nel centro prelievi o nel reparto della città X che non può stare a scaldare la sedia se d’estate l’attività si dimezza. Vanno bene le interrogazioni, delle quali possiamo anticipare anche le risposte (piano di rientro, impegno a…, investimenti per…) ma è il caso di trovare le soluzioni pratiche. Insieme anche alle organizzazioni sindacali che qualche cessione dovranno pur farla, perché pazienza chi deve fare un viaggio ma un infermiere o un medico potranno anche attraversare un corridoio o, se proprio necessario, cambiare palazzo quando serve.

Invece ho registrato, in passato, festanti comunicati di politici per aver tenuto aperto un laboratorio analisi o ho dovuto difendermi da chi mi diceva “vuoi il male dell’ospedale x” (300 parti l’anno o nessun paziente ma turni h24 di chirurgia) dicendo “tu vuoi il bene di chi non vuole spostarsi, non di chi ha bisogno dell’ospedale“.

La terza è prendersi la responsabilità di dire la verità e immaginare qualcosa di diverso. L’ospedale sotto casa per tutti non serve, anzi è dannoso. Se è una cosa grave devi avere la certezza di essere portato, magari in elicottero, dove possano curarti bene. I posti letto sono un falso problema, perché dovrebbero essere l’estrema necessità ma spesso sono chiamati a sostituire ciò che non viene fatto sul territorio. L’idea delle “Case della salute” è buona, ma finora sono scatole vuote, quando non crollano come a Sezze dopo essere state aperte senza autorizzazione all’esercizio.

Le Unità di cure primarie (il medico di base aperto 12 ore, se non il proprio quello di uno studio associato) vanno fatte conoscere e incentivate, i pronto soccorso sono affollati di casi inutili (codici bianchi e verdi) e le lunghe attese sono dovute al fatto che il territorio non risponde, i malati cronici vanno presi in carico davvero e non con dichiarazioni d’intenti o comunicati che tali restano. La chiamano “medicina di prossimità” quelli che ne sanno più di chi scrive. E c’è un’altra grande responsabilità: tagliare i rami secchi, quelli veri. Un esempio su tutti. In provincia di Latina ci sono due emodinamiche. Sono indispensabili in caso di infarto, un intervento può salvare la vita ma… I dati statistici parlano di una emodinamica ogni 5-600.000 abitanti, quanti ne ha la provincia pontina. E’ evidente che uno dei servizi è di troppo, è stato una esigenza “politica” e ora guai a chi lo tocca.

A Roma, 3 milioni di residenti, mettiamoci turisti e altre presenze durante l’anno 5 milioni, le emodinamiche dovrebbero essere 10. Ce ne sono 29. E se togli la convenzione a uno, ti minaccia di licenziare il personale, se la togli a un altro arriva il potente di turno e quindi non si tocca, se pensi a un altro ancora è un ente religioso e che sei matto?

E quanti casi-emodinamica ci sono? E perché non immaginare che se sono aziende, le Asl funzioni come tali e non con l’elefantiaca burocrazia pubblica? Chiedessero questo i consiglieri regionali, di maggioranza e opposizione, si impegnassero sin d’ora a non “raccomandare” nessuno per uno spostamento in ufficio o qualche improbabile unità operativa, dicessero ai cittadini qual è la situazione e si impegnassero per la sanità sul territorio. Solo così possiamo uscirne, il resto è propaganda.

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