
L’assessore Alberto Alessandroni
Capisci perché ci hanno provato a non darti i documenti. Lo capisci perché leggendoli ti rendi conto, ancora meglio, di come vanno le cose in questo Comune e di come chi lo governa si è costruito il consenso. Ci sono voluti quasi tre mesi, una prima risposta insufficiente e poi l’intervento del difensore civico dell’Area metropolitana per avere gli atti sulla vicenda del Falasche calcio. La società di riferimento dell’assessore Alberto Alessandroni non ha mai restituito un euro di quelli avuti dal Comune per rifare i campi in erba sintetica di calcio a 5 e 8, sui quali si giocherà pure qualche campionato federale ma che di sicuro vengono affittati all’esterno. Che non avesse pagato si era capito ormai da tempo, ma la richiesta d’accesso (e meno male che finalmente, per legge, ne abbiamo diritto) mirava a ricostruire l’intera storia. Che ha dell’allucinante.
Scrivere al difensore civico – che è intervenuto (qui la precedente ricostruzione) è servito, alla fine. Vuoi perché al contrario della volta scorsa il dirigente dell’area finanziaria, Patrizio Belli, anziché una raccomandata ha spedito una posta elettronica certificata e vuoi perché, finalmente, ha fornito gli atti richiesti e a tempo di record. Tutti meno uno, come vedremo. Ma andiamo con ordine e partiamo dal 22 marzo del 2010, quando secondo la delibera di giunta del 27 luglio dello stesso anno il Falasche (Alessandroni è stato presidente fino all’anno prima, ma a quella delibera per pudore, forse, è assente) la società ha chiesto “l’intervento dell’amministrazione” per realizzare l’intervento di sostituzione del manto erboso data la pericolosità dello stesso. In attesa dell’adozione della delibera il servizio patrimonio del Comune aveva “provveduto con propria perizia a stimare come importo complessivo dei lavori la somma di 89.000 euro iva esclusa“. Metà importo a carico del Comune, l’altro del Falasche.
Dalla stessa delibera si evince che il 22 giugno lo stesso servizio aveva comunicato al Falasche stesso “il quantum dovuto per gli interventi” e indicato il piano di rientro per la quota a carico della società che, in cambio, avrebbe avuto il prolungamento della concessione fino al 2021. Piano che prevedeva “un importo complessivo di 56.137,20 euro (tasso di interesse vigente legale all’1%) per un periodo di 10 anni a partire dal mese successivo la dichiarazione di fine lavori“. Il 30 giugno la società accetta, il 14 luglio si stipula la convenzione per la gestione dell’impianto, il 27 luglio c’è la delibera che abbiamo citato e – con un antesignano 3.0 – lo stesso giorno la determina che dispone i lavori e paga la prima rata (35.600 euro) “da considerarsi quale anticipo sull’acquisto dei materiali“. A chi?
Qui viene il bello. Tra gli atti ricevuti – si chiedeva il capitolato dei lavori concordati – spunta un preventivo della “Sis” datato 8 giugno 2010. Sì, avete capito bene. Confrontate da soli le date: qualcuno ha chiesto quel documento che è diventato, di fatto, la “perizia” del Comune. E’ un foglio anonimo, non c’è destinatario (non nel materiale fornito a chi scrive), la società che deve fare i lavori elenca dettagliatamente quello che è previsto e c’è chi, evidentemente, accetta senza colpo ferire. Com’è successo di nuovo, nel 2014, sempre a Falasche e sempre per dei lavori, con una storia singolare che potete leggere qui.
Non solo, trovate un solo fornitore, uno solo, di qualsiasi Comune d’Italia che si vede anticipare i soldi da un ente locale per i “costi del materiale“. E trovatene un altro che il 25 novembre, quattro mesi dopo la prima determina, si vede liquidare 71.200 euro, il saldo. In quella stessa determina si ripercorre la storia e si ribadisce che il Falasche pagherà rate costanti da 467,81 euro per 120 mesi, a partire da dicembre dello stesso 2010. Cosa che non ha mai fatto, nonostante i solleciti partiti da tempo e ribaditi ora. L’ammontare del debito è 56.137,20 euro.
E il certificato di fine lavori? E’ il documento mancante rispetto alla richiesta di accesso agli atti e, a questo punto, devo dedurre che non c’è, come qualcuno da tempo mi ha segnalato. Speriamo non sia la scusa usata dal Falasche per non pagare finora, perché dal danno erariale passeremmo alla truffa
In pratica, così andavano e vanno le cose in questo Comune, sono stati spesi 89.000 euro più Iva anticipando l’acquisto dei materiali e liquidando il saldo, senza sapere se quelle opere siano a regola d’arte o meno, senza sapere se quei lavori sono stati eseguiti per intero o non. Ma a casa loro farebbero così? Ma voi liquidereste l’azienda che vi rifà il bagno, i termosifoni, l’impianto elettrico o ciò che volete senza un collaudo? Le carte ottenute dal Comune, a meno che il dirigente abbia dimenticato di inserire quel documento, dicono che il certificato di fine lavori non c’è.
Ecco, il metodo è questo, usato lì e in chissà quante altre occasioni. La domanda è sempre la stessa: non fosse stato Alessandroni il punto di riferimento di quella società, il trattamento per il Falasche sarebbe stato lo stesso? E alla luce di quanto emerge, nero su bianco, è ancora compatibile con il ruolo di assessore uno che continua a gestire, frequentare e a decidere sull’impianto per il quale la società non ha mai pagato?
E possibile che nessuno – dall’ultimo consigliere comunale al sindaco, dal collega di giunta, alla responsabile dell’anticorruzione – senta il dovere di intervenire?
Basterebbe rileggere l’articolo 5 della convenzione (“sopravvenute ragioni di interesse pubblico“, più di queste?), il 16 (assicurazione, ci sono cause pendenti perché non era stipulata), il 17 (“accertate violazioni del concessionario“, come i mancati pagamenti) e il 18 (“reiterati inadempimenti“) per aver già revocato la concessione. La certezza, più che il timore, è che non sia avvenuto proprio perché è coinvolto un assessore.
ps, questa vicenda di Falasche è ormai nota, come ripeto da sempre è la punta dell’iceberg, altre mi vengono segnalate, approfondirò.