Lo scioglimento, l’antimafia e chi ancora finge di non vedere

Nel 1985 la Democrazia cristiana decise di non candidare ad Anzio 14 consiglieri comunali uscenti, tra i quali il sindaco Piero Marigliani e nomi già all’epoca famosi in quel partito. Motivo? Furono responsabili, politicamente, dell’onta del primo commissariamento della città nel dopoguerra. La mancata approvazione del bilancio portò allo scioglimento del consiglio comunale e la Dc fece una scelta radicale. Sono passati quasi 40 anni, è cambiato il mondo, ma quella che era la “disciplina di partito” andrebbe ritirata fuori. Perché lo scioglimento di Anzio per la presenza di criminalità organizzata è un’onta ben peggiore. Pregevole l’arrivo della commissione parlamentare antimafia e di quella regionale, ma Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e alleati che per 25 anni sono stati alla guida di Anzio, se davvero vogliono essere credibili, potrebbero dire “chi politicamente ha avuto la responsabilità dello scioglimento resta a casa”. Sta fermo un giro….

No, c’è chi preme per tornare a votare nel 2024 e si aspettano come fosse manna dal cielo le “incandidabilità” richieste dalla Prefettura e sulle quali a Velletri (siamo in diversi ad avere perplessità su quegli uffici giudiziari, non da oggi) prima o poi decideranno. Incandidabilità che sono una foglia di fico, perché ci si può presentare finché non decide la Cassazione. Intanto si ripete la litania: “Non ci hanno arrestato, non ci hanno indagato, siamo brave persone, lo scioglimento non andava fatto”. Sulle prime tre cose siamo d’accordo, ma letti gli atti della commissione d’accesso lo scioglimento era un atto dovuto. Anzi, sarebbe stato meglio se non ci fossero state le vie infinite della politica delle quali parlò l’ex sindaco Candido De Angelis. Il quale, poi, in quei gangli ci si è trovato e ha finito mestamente la sua carriera. Iniziata nel ’90 proprio in quella Dc che aveva deciso, nell’85, di lasciare fermi un giro tutti.

E letti gli atti della commissione d’accesso, dopo quelli dell’operazione “Tritone” dove rispuntano le indagini da “Malasuerte” a “Evergreen”, ascoltate le udienze in corso nei confronti della locale di ‘ndrangheta è palese come quello che ci spacciavano per “modello di amministrazione” fosse permeabile. Basta pensare a come sono state raccolte le firme per le liste del centro-destra presentate nel 2018. Per non parlare di candidati in casa di persone ai domiciliari, pressioni, telefonate, promesse… Penalmente non avrà rilevanza – e neanche interessa, francamente – ma dal punto di vista politico e da quello della gestione di una macchina comunale che non aveva regole se non quella dell’amico dell’amico, assolutamente sì.

Il fatto che la commissione parlamentare antimafia e quella regionale siano venute ad Anzio è un bene. La passerella mediatica di alcuni meno. Quando parlavamo, in pochi e derisi, di chi aveva fatto mettere il vestito bello ai delinquenti facendoli avvicinare pericolosamente alla cosa pubblica, sembravamo dei marziani. Eppure le avvisaglie c’erano, ma chi guidava Anzio faceva spallucce. E un investigatore non c’era quando accadevano cose singolari, salvo poi arrivare la Dda e scoprire quello che altri fingevano di non vedere. Una cosa lascia stupiti: si continua a parlare di infiltrazioni quando qui, in realtà, ‘ndrangheta e camorra hanno messo radici. Lo dicono il processo in corso, ma anche quelli già conclusi come Appia Mithos o nei confronti del clan Schiavone-Novello.

Con una macchina amministrativa che ha persino provato a nascondere le carte alla commissione d’accesso e con la situazione che emerge anche da recenti operazioni di polizia pensare di tornare al voto nella primavera del 2024 è un azzardo. Servirebbe una “bonifica” culturale che purtroppo difficilmente avverrà, perché la criminalità organizzata si è affermata grazie al brodo di coltura che certa politica ha favorito. Quella di chi faceva la voce più grossa, di chi in cambio di voti dava concessioni, di chi “i nomi ce li hanno dati loro” e via discorrendo.

Che l’attività della commissione straordinaria abbia incontrato difficoltà non dovevano certo dircelo i componenti dell’antimafia, era facilmente prevedibile. Che la stessa commissione abbia agito poco o niente verso una macchina amministrativa che era evidentemente al servizio della politica è un dato di fatto. Anche lì serviva una “bonifica” ma non l’abbiamo vista, ma su questo torneremo prossimamente. Una cosa è certa: la politica è ai margini, anche se si prepara a tornare in pompa magna e non avverte la responsabilità (anzi la vergogna) dell’accaduto, chi favoriva quel “modello di amministrazione” è ancora lì e in alcuni casi è stato addirittura promosso. A che gioco giochiamo?

Capo d’Anzio: vertici assolti, dubbi che restano. La passerella di domani

La sentenza che manda assolti i vertici della Capo d’Anzio rispetto al contestato falso in bilancio ci dice una cosa e lascia almeno cinque dubbi
Ci dice che un’inchiesta non è una condanna e chiunque è coinvolto è innocente fino a prova del contrario. Chi segue questo spazio sa che la pensiamo così, da sempre e per tutti.
La sentenza stessa, però, aggiunge – se possibile – ancora più confusione intorno a una società che doveva realizzare e gestire il nuovo porto e si limita a fare (male) solo la seconda cosa.
I dubbi, dicevamo.
1) L’ufficio del pubblico ministero che aveva chiesto il rinvio a giudizio sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, una volta in aula ci ha ripensato. Può succedere, sia chiaro, ma com’è noto sulla Procura di Velletri in molti abbiamo perplessità e non da oggi.
2) Sul bilancio 2018 chi ha ragione, a questo punto? Uno era in perdita – approvato anche dai rappresentanti del Comune in consiglio d’amministrazione – l’altro, oggetto del processo, in attivo. Delle due l’una…
3) Sulla base del bilancio 2018 – approvato anche dai rappresentanti del Comune in consiglio d’amministrazione – il dirigente “signorsì” proponeva (è nella nota integrativa al bilancio del Comune) di liquidare la Capo d’Anzio. Anche lui ci ha ripensato. Come ha ripensato al bando per nominare il nuovo amministratore, poi preso dall’Aet nella quale eravamo entrati in fretta e furia.
4) Davvero nessuno conosceva Montani e il ruolo che svolgeva da direttore del porto? Suvvia, partecipava a riunioni, firmava documenti. Un po’ è come la storia del sindaco Bruschini che diceva al suo successore Candido De Angelis (allora all’opposizione di lotta e di governo) “caccio Marconi, parola d’onore” ma dieci giorni dopo firmava con lui la “road map“.
5) Se davvero i conti della Capo d’Anzio sono a posto, come mai il bilancio 2022 ancora non viene approvato e pubblicato? L’amministratrice che fino a tre giorni prima di diventare tale era in Aet, cosa sta facendo?

Sono domande, insieme a tante altre, che avremmo voluto fare domani (14 novembre) alla commissione che ormai da un anno guida Anzio. C’è un vertice a Villa Sarsina con prefetto, questore, parlamentari dell’antimafia, consiglieri regionali, ma è precluso al pubblico. I giornalisti potranno fare domande a fine riunione. Si dice che l’incontro nasca per dimostrare la vicinanza delle istituzioni ai cittadini. Bene! Si sappia che nell’ultimo anno dalla commissione straordinaria l’abbiamo vista poco o niente. Quella di domani, allora, rischia di diventare una passerella nella quale verranno a raccontarci cose che sappiamo da tempo, a dire che la guardia è alta, magari come ripete spesso la prefetta Scolamiero che qui ci sono tante brave persone. Intanto sentiamo dalle udienze del processo Tritone quale fosse la permeabilità dell’amministrazione che guidava Anzio e come la ‘ndrangheta (e la camorra) le radici le avesse ben piantate.

Per dovere di cronaca riporto quanto ha scritto – rispetto alla sentenza sulla Capo d’Anzio – l’ex consigliere comunale Marco Maranesi al quale dobbiamo riconoscere che senza la sua insistenza oggi non conosceremmo il parere dell’avvocato Cancrini e forse non sarebbe mai stata fatta causa a Marconi e alla Marinedi. Con Marco siamo schietti da sempre: sa bene chi ha portato Marconi e chi se lo è tenuto, così come immagina il motivo per il quale gli venne opposto il “segreto di stato” su quel parere. Il porto che doveva essere della città risponde evidentemente ad altre logiche e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

IL COMUNICATO DI MARANESI

“La sentenza emessa oggi dal Tribunale Penale di Velletri mette finalmente la parola fine ad un procedimento che ha dell’incredibile. Un’accusa di falso in bilancio dopo aver sistemato e messo ordine  un vero e proprio  falso in bilancio procurato da costi inseriti con procedure illegittime, spese personali pagate con carte di credito di una società pubblica e tanti altri reati che spero  prima o poi la magistratura farà il suo corso.

Questo procedimento penale è l’ennesima assoluzione dopo le tante denunce presentate dall’ex socio privato della Capo d’ Anzio che usa questi mezzi estremi intimidatori nei confronti di pubblici amministratori. Dopo il proscioglimento chiesto addirittura dal PM nei miei confronti e in quelli dell’ex sindaco De Angelis, dopo essere stati querelati per diffamazione dall’ex socio privato della Capo d’Anzio per aver portato alla luce, in pieno consiglio comunale il più grande sperpero di fondi pubblici della storia di questa città e il più grande imbroglio di stato che i cittadini di Anzio hanno subito, arriva oggi l’ennesima conferma che la strada intrapresa nel passato era l’unica corretta da intraprendere.

La sentenza di oggi mette il giusto bavaglio ai tanti, troppi sciacalli che speravano di vedere la società pubblica Capo d’Anzio nel fallimento e ai titoli di coda, magari su suggerimento di chi in realtà,  qualche reato nell’amministrare una società pubblica, lo ha fatto. E qualche domanda dovremmo prima o poi farcela del perché accade tutto questo.

Termino questo comunicato ringraziando la magistratura per la serietà dimostrata in una vicenda estremamente delicata come questa e faccio i miei migliori auguri per questo importante risultato all’ex CDA della Capo d’Anzio, che ringrazio per il  coraggio che hanno avuto nel saper difendere un importante patrimonio pubblico dal fallimento e da losche mani”.

Marco Maranesi, Movimento Civico “Energie per Anzio” Unione Civica di Anzio

Ariete, il dietro le quinte del mio “Uno su un milione”

Il brindisi a fine tour, al Palaforum di Assago

“Notte che se ne va”, cantava l’immenso Pino Daniele. E’ uno dei musicisti che insieme ad altri cantautori italiani ho fatto ascoltare ad Arianna, mia figlia, nota nel mondo dello spettacolo come “Ariete”. Una volta tanto questo spazio è per un racconto personale, perdonerete. “La Notte” – sarà un caso – è il titolo del suo secondo album ma anche del tour che si è concluso qualche giorno fa dopo le tappe di Bari, Napoli, Roma, Bologna e Milano. Un successo dopo l’altro che ho vissuto – esclusa la città felsinea – dietro le quinte. Un’esperienza senza precedenti che mi piace raccontare dalla fine. Da quando, dopo ogni concerto, una squadra di professionisti inizia a smontare palco, luci e tutto ciò che serve per un evento del genere. A buttarla sul sociologico spicciolo, ecco cosa intendeva il compianto Domenico De Masi quando ci spiegava che il lavoro del futuro era nell’organizzazione del tempo libero. Ci saranno un centinaio di persone dietro un tour simile, quelle “invisibili” a chi è ad assistere ai concerti ma che vedi muoversi, nel backstage, come una macchina perfetta. Bravi.

LA SQUADRA

Romina – la tour manager – è la sacerdotessa, detta i tempi e risolve problemi a ritmi impensabili. Dire che l’ho stalkerizzata in quei giorni è poco. Eleonora – la vocal coach – fa da “chioccia” ad Arianna ma butta uno sguardo anche sugli altri. Capisci dal suo sorriso se le cose dal punto di vista tecnico con la voce sono andate bene. Ripete in continuazione, quasi commuovendosi (figuratevi chi scrive….) “è cresciuta, è cresciuta tantissimo”. E poi c’è la “band” di Bomba dischi. Lo dico ovunque, lo ripeto qui: Arianna doveva firmare il contratto che era minorenne, arrivò il lockdown che ci chiuse in casa e quando si poteva tornare a muoversi era diventata maggiorenne. Poteva andare da sola, ma pretesero che ci fossimo anche noi genitori. Un grande segno di serietà. Sicuramente più della mia che dicevo in una delle prime riunioni “ma non è possibile che Arianna sia in classifica davanti a Ezio Bosso” che era scomparso da poco. Lei dice che sono una seconda famiglia e non credo sbagli, anzi: Davide, aria apparentemente disincantata di chi ci ha visto lungo; Alberto, coinvolto al punto giusto (e basta vederlo saltare vicino al palco); Alessandro, l’ufficio stampa con vena poetica che però non va oltre la rima baciata (!); Brizio, il gigante buono; Emma, aria seriosa di chi tiene i conti ma soprattutto grande laziale. Non me ne voglia il resto del mondo di “Bomba dischi”, ho avuto modo di frequentarlo meno. E grazie a “Vivo concerti” e a tutto il suo staff (da Silvia in giù), a un personaggio del calibro di Clemente Zard (“andavo ai concerti organizzati da tuo padre”, gli ho detto, e lui “la scuola l’ho avuta buona”), a fonici, tecnici, al “merch”, a quei simpaticoni di Folloz (con tanto di scambio gastronomico) che hanno raccontato attraverso il loro canale di comunicazione su instagram quello che accadeva e curato i video prima, durante e dopo i concerti. Esibizioni che segnano il salto di qualità rispetto agli esordi “live”, ma questo oltre me – che conto poco – lo dicono i colleghi giornalisti che hanno seguito il tour.
Sul palco, accanto ad Arianna, musicisti già conosciuti come Alessandro (immancabile l’Anzio Anzio!) e Jacopo. Si sono aggiunti Francesco, con il quale è stato un piacere parlare di batteristi come Steve Gadd, Tullio De Piscopo e Agostino Marangolo. Poi Denny, De Puta, “mi fratello” come dice Arianna. Lui quasi si commuove quando parliamo dell’intro di un pezzo che mi ricorda Pino Daniele (“lo abbiamo preparato negli Usa”). Quindi Valerio, il pianista al quale non posso perdonare la maglia della Roma a colazione o subito dopo il concerto al Forum. E devo ancora capire il perché dei capelli biondi di Jacopo dall’inizio del tour o dello strano colore scelto da Denny per l’ultima tappa. E poi la possibilità di rivedere chi era stato già ospite (dagli Psicologi a Franco 126) o di scoprire Villabanks, vedere RKomi, scambiare due chiacchiere con Tananai che è stato disponibilissimo. Rappresentano un mondo, ma soprattutto scopri che questi giovani sono molto preparati e la cosa fa un immenso piacere.

LE EMOZIONI

Indescrivibile quello che si prova a stare “dentro”. Un turbinio di emozioni, il piacere per una figlia che ce l’ha fatta (ma ne parlo tra poco), la consapevolezza di qualcosa di grande, il fatto che al Palapartenope io abbia visto Pino Daniele e oggi ci sia Arianna sul palco, come al Palaeur dallo stesso Pino a Guccini. E poi i ragazzi (e non solo loro) che cantano a squarciagola o sono lì da ore in attesa della loro beniamina. Lei che va a trovarli, li saluta, si ferma, li abbraccia, fa i selfie. L’ansia che sale mentre si avvicina l’ora del concerto dopo i “riti” profani che vanno dal sound check al riscaldamento della voce, dalla cena ai vestiti, fino ai microfoni e alle “spie” (ma si chiamano ancora così?) da indossare. E fa piacere, sarei bugiardo a non ammetterlo, essere riconosciuto come “il padre di…” Ti chiedono foto, ti passano cartelloni o lettere da consegnare ad Arianna o – come a Napoli – dubitano: “O padre? Ma è o vero?” chiede una signora titubante che poi si scusa. A Bari c’era stata la mamma sconsolata con la quale all’esultanza per uno dei video nei quali si diceva di non dar retta ai genitori ho commentato: “Certo che senza di noi mica stavano qui” e lei “Diglielo un poco” con un accento che lascio alla vostra interpretazione. Vogliamo parlare delle mie lacrime del palasport di Roma stracolmo? Di quella ragazza fatta salire sul palco dopo la guarigione – come promesso – di quello che ha detto Arianna di noi genitori, dei nonni, della famiglia che siamo stati e siamo tra alti e bassi? Ci pensa il capo degli elettricisti a riportarti alla realtà: “Aho, noi dovemo smontà fa mette sti ragazzi da n’artra parte”. Sono quelli in fila per il dopo concerto. Tanti, troppi rispetto a quelli che lo avevano chiesto, ma Arianna non si tira indietro. A Milano è l’apoteosi, mai stato al Forum e vederlo pieno non ha eguali. Come essere riconosciuto da Riccardo dei Pinguini Tattici nucleari, incontrato a cena quando Arianna era agli esordi che fa “Visto? Ce l’ha fatta”. Eh sì…

AVEVA RAGIONE

“Arianna, attenta. Questo è un mondo di squali, ce la fa uno su un milione”. Lo ripetevo come un mantra e lei, con la testardaggine peggiore della mia (la bellezza è della madre, l’ho sempre detto) ribatteva: “A papà, non posso essere io l’uno sul milione?” Aveva ragione. Per tornare un attimo alla teoria, c’è un bellissimo libro di Henry Jenkins, sociologo e saggista statunitense che si occupa del mondo dei media. Il testo si chiama “Cultura convergente” (Apogeo education, traduzione italiana 2014) e viene spiegato il fenomeno del cosiddetto “grassroots” ovvero i contenuti prodotti dal basso che crescono come l’erba, dopo essere stati generati da non professionisti attraverso mezzi di comunicazione di massa non tradizionali. Cosa è stato “Quel bar” se non una dimostrazione del genere? Da quel contenuto su Youtube è praticamente nato tutto. Dalla cameretta si è arrivati al sogno di entrare nei palazzetti da protagonista e non stare – come ha fatto, lo ricorda sempre – ore fuori ad attendere i propri beniamini. Quasi in punta di piedi, senza dimenticare le file che ha fatto e che mica tanto tempo fa, nel 2019, era proprio lì sotto. Adesso è diventata un’icona, molti dei fan dicono che le sue canzoni li hanno “salvati” (e fosse anche uno solo, è la cosa più grande che possa aver fatto), invita a credere in quello che si fa e ad essere se stessi, non si risparmia sul palco ed è un piacere vedere lo spettacolo così come constatare che qualcosa degli insegnamenti che hai provato a dare, da genitore imperfetto come tutti, è lì nelle sue parole. Vivere tutto questo da “dentro” è semplicemente straordinario. E c’è un’immagine che vale più di ogni altra, l’arcobaleno che spunta sul Palaeur prima del concerto, mentre arriviamo, sembra un segno del destino. E se con Pino Daniele la notte se ne va, qui è “Vamos” la parola d’ordine. Sì, Arianna, sei proprio te quell’uno sul milione ma ricorda sempre: “Giudizio”.