L’attivissimo – almeno mediaticamente – Marco Maranesi, con il suo nuovo compagno di cordata Davide Gatti, scopre i patti parasociali che regolano i rapporti tra Capo d’Anzio e Italia Navigando prima, Marinedi ovvero Renato Marconi adesso. Da ex capogruppo di Forza Italia non sa o non ricorda che a luglio 2012 – lui era in quel partito ma non ancora eletto – il consiglio comunale votò all’unanimità la riacquisizione delle quote secondo quei patti parasociali. Di Marconi si parlava già – per una decisione presa a livello governativo, lo diciamo anche per chi fa ricorsi sostenendo che la cosa non è mai stata resa pubblica – e a settembre sarebbe trascorso l’anno di tempo che Italia navigando aveva per trovare i soldi da quando era stata ottenuta la concessione. Termine che passava pari pari a Marconi. Il sindaco non ha mai dato corso a quell’ordine del giorno, anzi ha sostenuto che Marconi era in qualche modo “utile” alla Capo d’Anzio. Al punto che, un anno dopo, il consiglio comunale nel quale Maranesi era capogruppo di Forza Italia, bocciò la proposta dell’opposizione di dar corso a quella volontà e di riprendersi le quote. C’è da sperare che Maranesi conoscesse già i patti parasociali e che abbia appreso – insieme a Gatti – un po’ di storia recente della Capo d’Anzio. Perché altrimenti ignora che tutto ciò che hanno fatto il presidente Luigi D’Arpino e il consigliere d’amministrazione Franco Pusceddu (per legge deve esserci un dirigente del Comune in una società partecipata…) è frutto di decisioni dell’assemblea dei soci, alla quale il sindaco partecipa come rappresentante del 61% delle quote.
Se poi si fa una battaglia “politica” – così la chiamano… – il discorso è diverso. Ma di procedere con l’inversione del crono programma, di sistemare e gestire intanto l’attuale bacino, di avere un piano finanziario con quei canoni, l’hanno stabilito Bruschini e Marconi in assemblea dei soci. Di sanare le casse della Capo d’Anzio lo hanno suggerito – negli ultimi due bilanci – i revisori dei conti.
Il consiglio d’amministrazione ne ha preso atto e ha messo in piedi gli strumenti per dar corso a quella volontà. Che poi Bruschini prima a settembre abbia annunciato il bando e detto che voleva riprendersi le quote, quindi adesso lo abbia ribadito, sarà sempre “politica” ma intanto la Capo d’Anzio rischia di fallire o di essere venduta. E non per volontà del presidente o del dirigente di turno contro il quale scagliarsi, ma perché risponde al codice civile ed è prossima al fallimento mentre la “politica” gioca.
Da mesi, da quando Maranesi era ancora capogruppo, si chiede da questo modesto spazio di avere chiarezza. Inutilmente.
Ecco, al posto di D’Arpino – che può agire liberamente per la sua carica, meno Pusceddu che è pur sempre dipendente del Comune – ce ne saremmo andati dopo il consiglio comunale di settembre nel quale il sindaco aveva svelato la sua “strategia” ovvero di cacciare Marconi dopo averlo sostanzialmente usato e rifare il bando. Maranesi era ancora capogruppo e di D’Arpino e Pusceddu non si interessava poi tanto. Figuriamoci Gatti che era all’opposizione e sul porto stava (e sta, immaginiamo) a quello che diceva Candido De Angelis.
Le dimissioni di D’Arpino andrebbero chieste per la mancanza di una strategia comunicativa con i soggetti ai quali andava spiegata, non “imposta”, l’inversione del crono programma. Ma questa strategia, l’assemblea dei soci, non l’ha mai indicata. Né il presidente ha pensato di attuarla. E D’Arpino dovrebbe dimettersi anche perché il suo socio di maggioranza, il Comune, non è capace neanche di dargli una sede perché le conchiglie sono più importanti del porto e il locale di piazza Pia serve a un fantomatico “museo”.
Insomma, sono altre le ragioni per cui andarsene. Su quote e strategie, se non condivise, andrebbero chieste le dimissioni del sindaco.
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