Lina, lo sciopero, le ire e la Corte dei conti

Lina Giannino dovrà aspettare prima di sapere chi le ha mandato la lettera minatoria. E anche per sapere chi le ha spedito un proiettile e, prima ancora, ha fatto scritte ingiuriose nei suoi confronti. Dovrà mettersi in fila, perché – da anni – non sappiamo chi ha sparato a casa di Patrizio Placidi, a quella di Alberto Alessandroni, chi ha bruciato le auto a Giorgio Zucchini e chi ha mandato un proiettile all’ex segretaria Inches. Ignoriamo anche che fine abbiano fatto le indagini dopo le denunce della dirigente Santaniello e dell’ex segretario Savarino, di avere ricevuto pressioni nella loro attività. Sappiamo, ma solo perché è agli atti di “Malasuerte”, chi posò una pistola sul tavolo del marito dell’assessore Salsedo. Per il resto, mistero assoluto, anche sulle “pressioni esercitate dalla politica” proprio nella storia dei parcheggi legata a “Malasuerte”.

Tempo addietro abbiamo sostenuto che se ci fosse un investigatore, sapremmo molte cose del “sistema Anzio” che ultimamente sta dando il peggio di sé. Il motivo è semplice, in quel “sistema” è stato fatto mettere il vestito buono a più di qualcuno che non avrebbe dovuto indossarlo. È stato coinvolto nell’agone della politica chi doveva restarne ai margini. Ma si sa, per i voti si è fatto di tutto, per “controllare” – come ammettono candidamente rappresentanti vecchi e nuovi di questa maggioranza – oltre 13.000 persone e sapere che tanto saranno dalla tua parte, devi dare garanzie. È una questione nata nella “guerra” del centro-destra del 2013 e che ancora va avanti. Senza esclusione di colpi e fomentata da chi guida la città. Altro che modello di amministrazione, oserei chiamarlo più di denigrazione. Di chiunque la pensi diversamente. O provi a far notare che le cose non stanno proprio come dice chi ci governa. O provi a dire che ci sono sentenze di Cassazione che confermano presenze criminali di ‘ndrangheta e camorra ad Anzio, con più di qualcuno che si è avvicinato alla classe politica.

Cosa potevano aver promesso Placidi, Alessandroni e Zucchini senza mantenere, tanto da essere vittima di attentati? E perché Lina Giannino è diventata un obiettivo? Semplice, rompe le scatole. E quando il primo cittadino, in consiglio comunale, dice che è da Tso, autorizza chiunque del “recinto” a farne un bersaglio. Come recita il vecchio adagio: quando il piccolo parla il grande ha già parlato. Nessuno immagina che possano esserci De Angelis o l’assessore Mazzi dietro la lettera arrivata in Comune, non siamo tanto ingenui. Le loro dichiarazioni, però, “autorizzano” qualcuno che non dovrebbe essere ammesso nel “recinto” ma evidentemente ne fa parte a pensare che le dichiarazioni della Giannino sull’affidamento in house dei rifiuti (che nasconde molte singolarità) o aver chiesto i rapporti tra Mazzi e il presidente (arrestato) di un’associazione di protezione civile non ancora registrata alla Regione Lazio e onnipresente in Comune, sia lesa maestà. Ma portassero anche i voti quelli che si preoccupano e minacciano? O le auto in campagna elettorale, i protagonisti di recenti video? Se ci fosse un investigatore, forse, comincerebbe a fare collegamenti. Ma qui, forse, prima di un Comune governato a suon di chi urla di più o esprime solidarietà senza fare il nome della consigliera minacciata (!?!?!), andrebbero commissariati Procura e forze dell’ordine che negli anni non ci hanno dato una risposta che è una su questi e altri episodi. Per non parlare di una Prefettura che si è girata dall’altra parte. Dopo i proiettili Lina è stata ricevuta, una pacca sulla spalla e via…. No, signor Prefetto, qui siamo ormai vicini a questioni che attengono il normale svolgimento della vita democratica e parliamo di reati contro un eletto.

Il sindaco ha “tuonato” anche nei confronti dei dipendenti e dei sindacati che hanno proclamato lo stato di agitazione. Si ricorda un solo sciopero, al Comune di Anzio, con Piero Marigliani sindaco. De Angelis, nei modi dirigisti di immaginare la cosa pubblica, lo ricorda assai. Non sappiamo chi abbia ragione, certo se si arriva a tanto dopo anni di “pax” qualcosa si è rotto. Ma è stucchevole leggere le parole del sindaco, secondo il quale “i cittadini guardano e si fanno la loro idea”. Lasciamo stare il possibile comportamento antisindacale, quella frase significa che ciascun cittadino – domani – di fronte a un presunto servizio non reso, è autorizzato a entrare in Comune e picchiare il primo dipendente che si trova di fronte. Non lo vede, questo rischio, sindaco? Non lo vedono in maggioranza? Se ne vuole discutere in consiglio comunale senza fare processi ma rendendosi conto che siamo al fondo? O i dipendenti del comune si preferiscono “allineati” o “in cassaforte” come si legge su certi atti giudiziari riferiti a chi di questa maggioranza è stato grande elettore? O sono bravi solo quelli che dicono sempre sì? Le ire del sindaco sono rivolte a chi?

Il sistema Anzio è questo, quando Patrizio Placidi fu arrestato, l’allora consigliere De Angelis lo definì una vittima. Aveva paradossalmente ragione, perché da un paio di vicende è uscito indenne penalmente e adesso anche dalla condanna della corte dei conti sulla quale è calato uno strano silenzio. Chi diceva sì alla politica – il dirigente dell’epoca e oggi ancora funzionario al settore ambiente – Walter Dell’Accio, deve risarcire per le proroghe alle cooperative del verde 31.000 euro e spicci. Vicenda per la quale, insieme all’ex assessore Placidi è stato assolto, mentre la Corte dei conti ha escluso responsabilità di Placidi e condannato a pagare solo il funzionario. Il quale, prima ancora che per le norme vigenti, dovrebbe essere messo a fare altro per questioni di opportunità. Continuo a chiamarla “legalità delle cose quotidiane”. Paga per aver detto sì alla politica che è sempre quella – lo sa bene De Angelis – perché nessuno ha mai pensato di convocarlo e farsi spiegare come funzionava (e funziona) in quegli uffici. È anche parte lesa, per un’aggressione dopo il passaggio da Giva a Parco di Veio, quando altri politici di questa e della passata maggioranza (che poi è sempre la stessa) aizzavano i dipendenti non confermati. Eccolo il “sistema” e chi è fuori è una minaccia, va messo a tacere.

Abbiamo un solo timore, grande. Grandissimo. Non aspettiamo che ci scappi il morto.

Quotidiano di Latina, viene da piangere. Sciopero e uscita, adesso come allora…

quotidiano

Ammetto, sono molto combattuto. Viene da piangere di fronte a quanto sta accadendo al quotidiano di Latina, già Latina Oggi. In quella sede, con alcuni dei colleghi che ancora oggi sono lì, ho vissuto un’esperienza umana e professionale unica. “Facevamo” il giornale, senza starci a preoccupare troppo del potente di turno. Ha ragione Lidano Grassucci quando dice che andato via Sandro Panigutti è sostanzialmente finita un’epoca. Al direttore dimissionario va la mia vicinanza e solidarietà, lo stesso ai colleghi di un tempo (ormai pochissimi) e di adesso, che hanno con grandi sacrifici portato avanti fino a oggi un’esperienza a dir poco travagliata. Perché dall’avvento prepotente di Giuseppe Ciarrapico, a partire dalle europee del ’99, quel giornale non era più stato lo stesso. Continuavamo a “farlo” ma c’era sempre qualche politico di casa nostra che ci faceva convocare a Roma. Lo trovavamo lì, vicino al Ciarra, e la “linea” subito dopo cambiava. Anche più volte al giorno: stiamo con Tizio, anzi no con Caio. Possono testimoniarlo più colleghi e diversi esponenti politici, alcuni ancora sulla breccia. E senza quei colleghi, comunque, oggi vicende come quella di Fondi – con il mancato scioglimento del Consiglio comunale che era e resta uno scandalo – o la gestione dell’Amministrazione provinciale, forse non sarebbero mai emerse.

Era difficile fare il giornale, nonostante Gigi Cardarelli cercasse di tenere la barra dritta. Poi con Ciarrapico – che nel frattempo era ricercatissimo da destra e sinistra, cosa non si fa per comparire… – è andata come sappiamo. E’ arrivato Andrea Palombo, salvatore della patria, ma la musica non è cambiata. Anzi. C’è stato un fallimento diciamo singolare, una sentenza “copia e incolla” che andrebbe approfondita, ma anche qualche passaggio poco chiaro tra una testata e l’altra, una gestione e l’altra. Tanto che se ne occupa la Procura. Fino a oggi, all’ennesimo tentativo di rilancio fallito e all’attenzione a una società – la Nuova editoriale oggi – da andarsi a riprendere. Il tutto senza pensare a posti di lavoro a rischio, a un’esperienza che è stata e resta unica nel suo genere. Che ha dato al giornalismo di questo territorio molto, ricevendo pochissimo. A cominciare da “cordate” o simili, passando per editori che nemmeno sanno di cosa parlano. In questo caso, come nelle altre esperienze editoriali che sono andate male (il Territorio, la Provincia, il Latina Oggi notizie che voleva scimmiottare quello vero, Tele Etere) o rischiano di andarci (Lazio Tv). Sono combattuto – anzi ero, ormai ho scritto… – perché ho lavorato in quel Latina Oggi e ne vado fiero, perché conosco (e bene) e ho un rapporto di amicizia con il proprietario della maggioranza della Qap editore, ma anche per il ruolo sindacale che ho avuto fino a qualche tempo fa. Siamo alla vigilia del congresso di Stampa Romana e altri dovranno essere fiduciario in provincia. Se una responsabilità hanno i giornalisti pontini è proprio quella di essersi accorti sempre troppo tardi del sindacato, di averlo “scansato” fino a quando la situazione era ormai precipitata.

Due cose, infine, sembrano accomunare il Ciarrapico dei tempi migliori – quando, almeno, pagava sempre regolarmente gli stipendi – al Palombo di oggi. La prima: sono editori del quotidiano ma formalmente non compaiono. La seconda: di fronte a uno sciopero dell’intera redazione hanno fatto uscire ugualmente il giornale. Allora era per il contratto nazionale, adesso per rivendicare gli arretrati. In entrambi i casi ai colleghi che si sono fermati è stato risposto con un prodotto di pessima fattura. Allora si ruppe un incantesimo, un gruppo coeso di colleghi, alcuni di noi presero strade diverse. Adesso è stato fatto di peggio con le firme di chi scioperava (Luca Artipoli, Alberto Dalla Libera e Alessandro Marangon) finite sul giornale. Si dice “per errore”. No, ha ragione Stampa Romana: questo si chiama – e si chiamava anche allora – comportamento antisindacale.