Nei giorni in cui si discetta sull’essere o meno garantista – a scanso di equivoci, chi scrive lo è per convinzione e per innata simpatia verso le battaglie dei Radicali di un tempo – nel dibattito non si avverte alcuna riflessione sui reati contestati, sulle indagini portate avanti, sull’attività investigativa relativa al nostro territorio.
Un ormai pensionato procuratore aggiunto era solito, parlando con i cronisti, rispondere sempre: “Sì, va bene, ma i soldi?” Erano i tempi di Tangentopoli, quando venne scoperchiato un sistema dopo il quale anziché emergere i migliori esponenti di una classe dirigente si è passati da maxi-tangenti a prebende paesane che si trasformano in consenso elettorale. Basta che si riconosce alla cooperativa o all’associazione giusta una particolare attenzione.
Il punto non è questo, però. Le forze dell’ordine nel fare il loro lavoro devono intervenire su più fronti. Sappiamo bene quanto sia importante sul nostro territorio quello del traffico di stupefacenti, per esempio, conosciamo la rilevanza della prevenzione per aumentare la cosiddetta “sicurezza percepita”. C’è da fronteggiare la criminalità comune e quella organizzata. Rispetto ai presunti reati della pubblica amministrazione non manca il lavoro, anche se spesso ci si limita all’abuso d’ufficio. Facile da commettere – e ci si incappa anche in assoluta buona fede – altrettanto da dimostrare. Numeri e statistiche delle forze di polizia crescono, la magistratura fa il suo, tutto a posto.
Già, “ma i soldi?” Da queste parti – negli ultimi tre decenni – non ne abbiamo visti. Nel senso che non c’è mai stato un processo per tangenti o presunte tali. Segno buono, si dirà. Vero.
Abbiamo notato, però, come molti cittadini, notevoli accrescimenti patrimoniali e tenori di vita ben al di sopra del normale. Saranno stati soldi fatti onestamente, anche con un piccolo stipendio da impiegato magari ben investito, oppure vincite a qualche lotteria. Oppure – e sarebbe l’aspetto peggiore – lo sfruttamento di posizioni di potere.
Finora alle cronache non ricordiamo indagini patrimoniali. Né proposte di misure di prevenzione. Se alcune di queste sono state applicate è stato sempre per indagini di “rimbalzo” e per beni provenienti dagli investimenti – anche su questo territorio – di personaggi più o meno vicini ai clan.
Ecco, mentre tutti vaneggiano di arresti imminenti, si scoprono giustizialisti o magari aspettano che siano i magistrati a mandare a casa un’amministrazione, esiste uno strumento molto efficace sul quale le forze di polizia prima e il Tribunale poi, possono fare di più. Sono le misure di prevenzione patrimoniali, i sequestri di beni a soggetti pubblici o privati e loro familiari, quando si suppone che tali averi siano di provenienza illecita o comunque tali da non essere giustificati dai redditi dichiarati al fisco. Sequestri che il Tribunale autorizza e che possono arrivare fino alla confisca dei beni. Necessitano di un lavoro lungo e difficile, hanno meno eco di un arresto eccellente, ma vanno dritti al cuore del problema. Il nuovo questore di Roma, Nicolò D’Angelo, ne ha fatto uno strumento della sua azione quando era a Latina prima e a Perugia poi.
L’impressione è che da queste parti avrebbe molto da fare a guardare tenori di vita e investimenti. “I soldi” dei quali parlava il magistrato, spesso sono lì…