Capo d’Anzio, altra “tegola” sui conti. E tutti tacciono. Vero Commissione?

La campagna 2008, quando Bruschini fu sostenuto da De Angelis

Facciamola semplice: io avvio un contenzioso perché chi c’era prima di me non ha consentito di svolgere regolarmente l’attività. Sulla base di quel contenzioso penso di dover essere risarcito per 200.000 euro e invece il Tribunale me ne riconosce 40.000. Risultato? I miei conti non tornano.

Alla Capo d’Anzio è successo esattamente questo, nel contenzioso con le cooperative di ormeggiatori che non rilasciarono le aree per un periodo e nei confronti delle quali venne avviata la causa civile. Conclusa con una recente sentenza che riconosce alla moribonda società che doveva costruire e realizzare il porto ma si limita semplicemente a gestirlo, quanto stabilito da una consulenza tecnica e cioè poco più di 40.000 euro. Il che significa che la società – avendo inserito in bilancio con formule di rito rispetto a un’eventuale soccombenza, quella somma – deve mettere una ulteriore “pezza”. Non c’è bisogno di essere esperti in ingegneria finanziaria, materia tanto cara a chi ha diretto la Capo d’Anzio (ricordiamo che c’è un processo per falso in bilancio a carico di ex amministratori) per capire che sui conti prossimi al fallimento adesso c’è anche questa gatta da pelare.

La vicenda venne affrontata nella fase di passaggio tra l’ex presidente, il generale Marchetti che ci prometteva Montecarlo, e l’ultimo amministratore nominato dalla politica, il professore che di crack se ne intende, Ernesto Monti. I crediti andavano svalutati, secondo una consulenza di una società di revisione del 2020 ma il bilancio avrebbe avuto una falla ulteriore e così si è andati avanti. Oggi che la sentenza afferma che la parte attrice ossia la Capo d’Anzio: “Non ha dato prova della allegata sua maggiore capacità (rispetto a quella mostrata dalle due cooperative convenute) nella gestione della zona portuale in esame ovvero della sua maggiore organizzazione operativa che avrebbe potuto in concreto determinare un abbattimento delle spese di gestione (considerato per altro che, come risulta dagli atti processuali, l’attrice ha utilizzato dopo il 22.4.16 e ancora dopo i beni delle due convenute presenti sui luoghi al fine di espletare il servizio di assistenza portuale) ovvero di conseguire maggiori afflussi di utenze tali da determinare un rilevante aumento (…) Inoltre la stessa attrice, ottenuta dalle cooperative convenute la disponibilità materiale della Darsena, ha scelto di conferire immediatamente alle stesse convenute la gestione dei
servizi portuali d’ormeggio in tal maniera non dimostrando di essere pronta strutturalmente ed
operativamente a gestire direttamente il porto
“. Oggi lo è?

Dovrebbero dircelo la commissione straordinaria, che si distingue per un assordante silenzio sulla vicenda, l’amministratrice unica transitata in pochi giorni dalla Aet alla Capo d’Anzio, il dirigente “signorsì” che prima scriveva una cosa, poi un’altra, e non ha mai allegato alle delibere sul bilancio il piano industriale della società citato – copiando e incollando – dai precedenti atti.

Qualsiasi altra società avrebbe portato i libri in tribunale, qui la commissione ha persino omesso – accampando scuse risibili – almeno di costituirsi parte civile nel processo sul falso in bilancio. A chi giova questa agonia sul porto e perché? Ah, come mai del bilancio 2022 ancora non c’è traccia?

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