
La presentazione dell’altra sera (Foto da “il Clandestino”)
C’ero anch’io tra le centinaia di persone che l’altra sera, a Nettuno, hanno assistito alla presentazione della “Città del baseball“, organizzata dall’associazione “Nettuno olim Antium” e condotta dal collega Mauro Cugola. Un bel lavoro, bravo Mauro, e una punta di orgoglio per aver visto “crescere” professionalmente e umanamente questo ragazzo, passato come molti dalla “palestra” del Granchio.
Ho aspettato l’esito della semifinale, purtroppo andata nel modo peggiore, prima di esprimere qualche considerazione. La squadra di D’Auria ricorda – e molto – quella che nell’88 riconquistò la finale contro Rimini e nel 1990 tornò a vincere, dopo 17 anni, lo scudetto. C’è un’analogia: nel 2018 saranno trascorsi 17 anni dall’ultimo tricolore del Nettuno e per gli amanti della cabala…
Ma torniamo al lavoro di documentazione presentato l’altra sera. Se sale la commozione a chi – come me – con il Nettuno baseball c’entra poco e parte un applauso spontaneo, il più forte forse, quando sullo schermo compare Rolando Belleudi ovvero “il Cittadino“, è segno che quel lavoro e la storia che contiene, hanno un senso. Si tratta di qualcosa che è ancora “artigianale“, lo stesso Mauro ha ammesso che doveva fare la regia da sé tra un filmato e l’altro, ma sono memorie che non devono assolutamente andare perdute. Se altri hanno fatto “City of baseball“, il materiale che è stato illustrato l’altra sera e quello che i curatori hanno, meritano quantomeno un documentario. Ma anche, come spiegava Mauro, un sito dedicato ovvero un museo virtuale, dove entrare e vedere – per esempio – la partita contro Cuba del 1969 che pure a un appassionato come me era sfuggita.
Il baseball è certamente un valore aggiunto per Nettuno e quella memoria non va dispersa, così come – e concordo con le parole pronunciate da Mauro – “La storia non si compra al mercato“.
La storia c’è, è importante, va valorizzata. Si parlava di un museo al “Borghese“, ad esempio, va assolutamente integrato con i documenti raccolti da Mauro e gli altri e reso visitabile, interattivo, multimediale.
Poi c’è qualcosa che deve andare oltre. Sono in questo ambiente da una vita, ho rivisto l’altra sera una serie di passaggi – da quando ero bambino (le tribune del vecchio stadio) a quando da cronista, insieme al fotografo Marco Rossi, entrammo per primi in campo dopo la vittoria dell’Europeo del ’91. Dall’attesa in piazza nel ’90 – con la preparazione di una edizione straordinaria di “Prima Pagina” – allo scandalo di una finale persa in casa che mi portò a essere “indagato” dalla Procura federale per le mie frasi sulla Fibs, da tesserato. Dal tonfo del 44 a 0 subito dall’Anzio (ma Mauro, dolosamente, non ricorda il derby vinto 12-10 da noi il 21 luglio del ’79….) alla finale di Parma raccontata per Radio Omega nel ’96. Ebbene, Nettuno ha rappresentato sempre un punto di riferimento non solo con la prima squadra ma soprattutto con giovanili che in Italia “comandavano“.
Da quando c’è chi promette – letteralmente – l’America, si pensa che possedere un cartellino sia un’assicurazione sulla vita, ci si divide su tutto anziché mettere insieme i migliori (quando allenavo, lo facevano San Giacomo e Nettuno, a rotazione) il risultato è che si pensa di avere grandi prospetti ma non si vince più nulla e, peggio, ho l’impressione che si formi sempre meno. Nel 2016, una delle rare volte da quando ricordi, nessuna squadra di Nettuno ha ottenuto uno scudetto e non ci sono stati – mai accaduto prima – atleti convocati nella Juniores azzurra. Se allarghiamo il discorso al Lazio (che è in buona parte Nettuno), l’ultima spedizione al torneo delle Regioni ha messo insieme ben poco.
Lo do come spunto di riflessione, partendo dalle immagini dell’altra sera. Un valore aggiunto per Nettuno – con quello che si auspica essere il museo – che deve esserlo per chi ha l’ambizione (e ci mette tempo, entusiasmo, soldi, fatica) di formare i ragazzi che in futuro indosseranno quella maglia. Che deve tornare, ha ragione Mauro, a essere una sola.