Porto, ora sia veramente di tutti

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Le sentenze con le quali il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio, ha rigettato i ricorsi delle cooperative di ormeggiatori e del Circolo della vela di Roma fanno chiarezza su una vicenda – quella della concessione unica alla “Capo d’Anzio” – che rischiava di mettere in discussione l’impianto della legge nota come Burlando.

Un decreto, il 509 del ’97, che in teoria doveva snellire le procedure per i porti ma che – ne abbiamo conoscenza diretta con le vicende di Anzio – ha finito per renderle più lunghe.

Perché il Tar ha dato ragione alla Capo d’Anzio? E che succede adesso? Proviamo a capirlo. Nella sentenza – arrivata dopo cinque mesi…. – si legge che nella concessione del 2011 la Regione prendeva atto del fatto che il Comune aveva “acquistato la disponibilità dei concessionari a sgombrare le aree e i beni oggetto di concessione a richiesta in cambio della possibilità di riallocare le proprie attività all’interno della concessione Capo d’Anzio” e fa notare che il rilascio della concessione stessa alla società “non era opposto“. Il Tar ricorda che “l’Amministrazione comunale sottoscriveva con le cooperative ricorrenti un Protocollo  d’intesa, nel quale, peraltro, si dava anche espressamente atto che le concessioni demaniali alle medesime intestate risultavano ormai incompatibili con le previsioni del nuovo Piano Regolatore Portuale (…) di talché  dovevano ritenersi comunque revocate“. E ancora: “A testimonianza della consapevolezza e conoscenza acquisita della situazione di fatto e di diritto vale anche rilevare che con nota del 28 giugno 2011, le medesime Cooperative chiedevano comunque al Comune di Anzio “di considerare il rilascio di idonea autorizzazione per l ‘uso esclusivo di una superficie all’interno del nuovo porto”“. Il Tar sostiene che le cooperative sapevano “che le proprie concessioni erano state revocate perché divenute oramai incompatibili con le previsioni del nuovo Piano regolatore portuale approvato con la delibera della Giunta regionale“. Viene fatta menzione anche del bando per la selezione del personale “cui tuttavia non ritenevano di partecipare le cooperative ricorrenti” e che nella documentazione “si evince peraltro che la Capo d’Anzio avviava trattative per la soluzione delle problematiche occupazionali“. Ne deriva quindi “che sulla base di tali univoche circostanze, pertanto, il ricorso si manifesta irricevibile per essere trascorso inutilmente il termine decadenziale di impugnazione e prima ancora per aver le odierne Cooperative prestato acquiescenza all’operato dell’Amministrazione“.  Erano al corrente dell’evoluzione del progetto – questa per grosse linee la motivazione – anche al Circolo della vela.

Gli ormeggiatori si sono fidati, hanno firmato, avevano la certezza che avrebbero lavorato. “Ricollocare” nell’ambito della concessione vuol dire avere un lavoro, non necessariamente mantenere le stesse condizioni attuali, questo sembra essere il senso che il Tar dà alla vicenda. Sono andati alla “guerra” e l’hanno persa, hanno esasperato i toni e qualcuno è andato anche oltre . Hanno parlato di offerte “da usura” da parte della Capo d’Anzio che, dal canto suo, non le ha mai rese note.

E’ noto che dal punto di vista della comunicazione, a crono-programma invertito, qualcuno con le cooperative doveva parlarci e affrontare il discorso. E che, a proposta di assunzione avviata, si dovevano far conoscere i dettagli. Degli errori sono stati commessi, lo sosteniamo da tempo, ma oggi queste sentenze ribadiscono che il porto è della città e non solo degli operatori.

Per anni, è più di un’impressione, molti dicevano di volere il porto ma in fondo in fondo pensavano “tanto nse farà mai“, fino a provare a mettere ostacoli quando, invece, si capiva che si stava andando avanti

Chiusa questa partita del Tar, allora, il porto sia davvero “di” Anzio e si proceda come ha stabilito l’assemblea dei soci – sindaco presente – e senza inseguire bandi di gara dai tempi improbabili. Se lo mettano in testa i consiglieri comunali che “scoprono” il porto solo ora, forse senza avere la bontà di leggere qualche carta…. La  Capo d’Anzio è a rischio e non può permettersi di aspettare oltre.

C’è la proposta del Pd di un azionariato “diffuso” che manterrebbe un controllo comunque pubblico sulla società e garantirebbe soldi freschi, mentre lo spettro della vendita – con Marconi in prima fila – è quello che sembra piacere a molti in Comune.

Di sicuro serve il famoso piano che andava fatto a marzo di quest’anno sulla necessità o meno di tenere la Capo d’Anzio in base alla spending review. Perché è rimasto al palo? A chi giova? E’ strategica per il Comune – che ci ha messo soldi, ha speso anni di tempo, si gioca la faccia – questa società o si vuole delegare la gestione del porto al Marconi di turno, con una concessione in essere dalla quale, almeno, dovremmo ricavare anche un po’ di soldi?

Serve chiarezza – inutilmente invocata in questi anni – ma ci sia una volta per tutte.

Porto, perde anche il Circolo della vela

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E’ “inammissibile” anche il ricorso del Circolo della vela di Roma rispetto al rilascio della concessione a favore della Capo d’Anzio. Lo ha stabilito, come per gli ormeggiatori, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar).

E’ stata depositata, infatti, anche la sentenza relativa al ricorso presentato dallo stesso circolo, presieduto dall’ex consigliere d’amministrazione della Capo d’Anzio Mario De Grenet, che si era opposto alle richieste della società di essere “manlevata” in attesa dell’avvio dei lavori e del rilascio degli spazi d’acqua che si trovano proprio sotto al circolo.

Porto, gli ormeggiatori perdono il ricorso

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L’originario progetto della Capo d’Anzio per il raddoppio del porto

Dichiara il primo irricevibile ed i secondi inammissibili“. Il primo è il ricorso delle cooperative di ormeggiatori, i secondi i “motivi aggiunti” che la “Sant’Antonio” e la “Piccola pesca” hanno presentato al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

Dopo mesi di attesa il Tar ha deciso e ha respinto i ricorsi, confermando così la Capo d’Anzio – società al 61% del Comune – unica concessionaria dell’area.

I ricorsi – ai quali se ne era unito uno analogo del Circolo della vela di Roma – erano stati presentati quando la società aveva fatto richiesta delle aree per avviare la cosiddetta “fase 1” del progetto di gestione, una volta invertito il cronoprogramma dell’opera.

Ogni tentativo di mediazione era andato fallito e di recente personale della società che stava effettuando dei rilievi era stato anche aggredito.

Si scrive, speriamo, la parola fine a una vicenda annosa. Gli ormeggiatori, che non hanno accettato alcuna proposta fatta dalla società ritenendola inadeguata, rischiano ora di restare con un pugno di mosche.

Addio hotel, si vuole un altro centro commerciale

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Pierluigi Cervellati

Nel piano regolatore è previsto un insediamento turistico ricettivo di 23.000 metri quadrati, zona Anzio 2, convenzione nota come “Federici“. Vale a dire l’imprenditore che ha ceduto, negli anni, una serie di terreni mai pagati – a cominciare da quelli del centro sportivo – e che con il nuovo strumento urbanistico ha “chiuso” il contenzioso miliardario che aveva con il Comune. C’erano ancora le lire e dobbiamo dire che la transazione con le società è stato uno dei pochi punti da salvare di quella pianificazione.

Ora nella zona interessata – da quella nota come “Garbatella” fino alle “Quattro Casette” – nel piano è previsto appunto un hotel, nel frattempo è sorto l’insediamento noto come “Colle Santa Teresa“.

Da anni, ormai, si sapeva che la proprietà non lo avrebbe realizzato. Il motivo è molto semplice: uno studio commissionato dal gruppo ha messo nero su bianco che nelle condizioni attuali l’hotel non è immaginabile perché non avrebbe mercato.

L’edificabilità, però, resta e la proprietà – che ha rinunciato al contenzioso, ha fatto le opere di urbanizzazione e via discorrendo – vuole realizzare. Così è arrivata in commissione urbanistica l’idea di un centro commerciale di 13.000 metri quadrati  di superficie di vendita – simile  ad Aprilia 2 o ai Sedici Pini, per restare ai centri vicini –  1.000 di servizi e il resto di insediamento residenziale. Case che chissà chi dovrà abitare…

Senza contare che inserire una cosa del genere in una zona a forte densità abitativa e commerciale, con il traffico che comporterebbe una struttura simile, rischia di paralizzare l’area.

Il Comune è chiamato a valutare, si registra però – dopo la vicenda Puccini – un certo fermento in materia urbanistica.

Ultimi fuochi, è l’impressione, di una programmazione che si è rivelata fallimentare e alla quale si cerca di mettere “pezze” come è possibile.

Porto, nodo fidejussione al pettine. La Corte dei conti….

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I nodi, si sa, arrivano al pettine e come regalo di Natale il Comune di Anzio – socio al 61% nella Capo d’Anzio, società nata per realizzare e gestire il porto – si trova una contestazione della Corte dei Conti sulla fidejussione prestata per pagare la concessione demaniale.

Una decisione contestata dai consiglieri comunali di opposizione nel 2011 – allora solo il Pd – e ribadita oltre che dal Pd anche dal centro-destra di minoranza quando nel 2014, a prestito mai onorato, la Banca popolare del Lazio ha chiesto una nuova sottoscrizione sempre della fidejussione. Addirittura si fece passare per “start up” una società operativa da circa 14 anni, cercando così di aggirare l’ostacolo che pure era lì, evidente.

Secondo la Corte dei Conti, semplicemente, quella fidejussione non si poteva prestare, al punto da immaginare un danno erariale. Risultato? Il Comune dovrà affrettarsi a rispondere, nel frattempo  sta cercando – insieme al socio di minoranza, il gruppo Marinedì di Renato Marconi – di pagare il debito con l’istituto di credito. Si tratta di una esposizione di oltre 800.000 euro.

Un piano – l’ennesimo – è al vaglio della direzione generale dell’istituto di Velletri,  ma certo la “tegola” della Corte dei Conti non ci voleva.

L’impressione è che sia la parola fine per una società che invertiva il crono programma e lo teneva per sé, decideva una cosa in assemblea e poi ne fantasticava un’altra in Comune, vedeva il socio di maggioranza firmare una cosa con il privato e poi dirne un’altra, il tutto continuando a parlare di un bando impossibile.

Una società che non è stata in grado – tra veti politici all’interno di chi rappresenta il maggior azionista, ricorsi,  e un Tar che se la prende con calma (chissà chi un giorno pagherà eventuali danni) nemmeno di gestire il bacino interno come previsto dall’inversione del crono programma concessa senza colpo ferire dalla Regione ormai  due anni fa.

Forse ha ragione il presidente Luigi D’Arpino quando dice che è Anzio a non volere il “suo” porto e che sta bene a tutti così. Non a caso lui stesso ha ammesso, a chi scrive, che sarebbe il caso a questo punto di riconsegnare la concessione.

Quelle attuali  andrebbero a gara e a realizzare il porto – inevitabilmente – ci sarebbe un privato.

Perché in attesa del mai realizzato piano sulla dismissione o meno della “Capo d’Anzio” da parte del Comune, di fronte a un altro bilancio che si presume in perdita e con la scadenza di legge del 30 marzo 2016 sugli “asset” strategici per gli enti locali, inevitabilmente le quote pubbliche andranno dismesse. E Marconi avrà la prelazione.

Dispiace pensare a male, ma forse è un gioco che parte da lontano. E a questo punto, tanto valeva far realizzare il porto negli anni ’90 a una società costituita alla bisogna e sponsorizzata da Piero Marigliani. Era la politica di allora, quella successiva – trasversalmente – non ha fatto meglio.

Immaginavamo un doppio porto, ci ritroviamo peggio di prima. Non saremmo ad Anzio.

Puccini: lottare, capire e proporre

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Immagine dalla pagina facebook dell’evento

La manifestazione di ieri La Vignarola nel cuore“, organizzata dopo la delibera che “spacchetta” la possibilità di realizzare sull’area nota come Puccini un insediamento turistico ricettivo è un buon punto di partenza. Dice che in questa città qualcuno che vuole ancora capire cosa gli succede intorno esiste.

Era stato così una settimana prima, con l’incontro sull’impianto Biogas che si vuole realizzare in zona Cinque Miglia, è stato così ieri. Con qualche differenza.

Una settima fa c’erano meno facce note – soprattutto di quanti facevano già politica quando si immaginava di realizzare nell’area Puccini 500.000 metri cubi o ci “regalavano” perle che vanno da Zodiaco, a Caracol ad Anzio 2, ai “Repubblicani” –  e nessun amministratore. Anzi, quando l’argomento della centrale è arrivato in Consiglio comunale abbiamo assistito a una scenetta ormai abituale. Il sindaco che dice di aver letto, sentito, ma che in Comune “non è arrivato niente” e al suo fianco l’assessore Placidi che lo smentisce, con Bruschini che risponde come è solito fare: “Ah, non lo sapevo“. A proposito, sulla biogas – dicono i bene informati – Bruschini si gioca la tenuta politica della sua maggioranza.

Ieri invece, facce note a parte, alcuni da anni di lotta e di governo – ultimo piano regolatore compreso – l’assessore Sebastiano Attoni si è presentato. L’iniziativa che era in atto su Puccini, in piena estate, è stata tirata fuori da questo umile spazio e l’assessore dal primo momento ha voluto spiegare.

Ha provato a farlo anche di persona – e gli va riconosciuto – ma ormai a cose fatte è sicuramente tutto più difficile. E’ chiaro che adesso si entra nella fase diciamo di lotta, ma è bene ricordare un piccolo particolare. In quell’area esiste un “diritto acquisito” ovvero la realizzazione di un insediamento turistico ricettivo. E’ stato il modo per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta, in primo luogo cancellando la convenzione originaria, poi inserendo nella delibera di indirizzo – su proposta dell’allora capogruppo di Forza Italia, Luciano Bruschini, oggi sindaco – solo un eventuale insediamento turistico, poi inserendo a verde totale l’area sul piano e quindi respingendo l’osservazione della proprietà che voleva realizzare case (e ha perso anche tutti i ricorsi in tal senso) e inserendo l’hotel con centro congressi in cambio dei 60 ettari destinati a parco urbano.

Quel parco era, forse, una delle poche cose apprezzabili di una città immaginata come “Mare, cultura e natura” dall’urbanista Pierluigi Cervellati e intanto diventata “Varianti, cemento e furberie” con un piano senza gli scempi già ricordati ma che ha fatto costruire ovunque. E troppo. Una città nella quale c’è chi si diceva contro ma poi se aveva un terreno B5 lo voleva trasformare in B3 con più edificabilità o c’era chi “sbagliava” sede del ricorso al Tar….

Ma non è questo il punto. Se ci fosse uno con i soldi e interessato a realizzare l’insediamento previsto dal piano, domani mattina presenterebbe la richiesta e tra un mese ritirerebbe la concessione. Questo non c’è e la proprietà prova a “spacchettare” per vendere a pezzi il terreno e rientrare – si dice – di una decina di milioni. Qui dal momento della lotta occorre passare a quello dei dubbi e della comprensione. Anzitutto c’è il rischio che come la convenzione è uscita dalla porta, rientrando dalla finestra l’hotel, oggi a concessioni ottenute si faccia presto a cambiare… Il piano regolatore è lì a dimostrarlo, purtroppo. Allora di che borgo rurale parliamo se non c’è più un’azienda? E di quale albergo diffuso se la concezione di attività del genere è tutt’altra? E non c’è il rischio che si diano concessioni, si realizzi e poi resti tutto abbandonato poiché la domanda di residenze – anche turistiche – non esiste più e anzi è stata definitivamente affossata dalla “villettopoli” che alla fine Cervellati – con la politica che andava in quella direzione dopo aver per anni tollerato gli abusivi e averci dato le “perle” già citate – ci ha regalato?  Sul parco urbano l’intenzione del Comune qual è? Neropoli o ciò che indicava il progettista del piano?

Ancora: è possibile dividere in quattro quell’insediamento, con le sirene dei posti di lavoro – magari effimeri come quelli del boom edilizio post piano Cervellati –  della nuova viabilità e dei 60 ettari subito? Non insiste quell’area in un sito di interesse comunitario, non ci sono vincoli, soprattutto quella delibera di giunta – senza alcun confronto con la città, se non minimo in sede di capigruppo e con i giornali – non è in realtà una variante? Dubbi che la Regione Lazio dovrà necessariamente chiarire. Tenendo a mente che se il percorso del Comune è corretto o, comunque, se sarà più tortuoso del previsto, lì sempre un “diritto acquisito” c’è.

Per questo occorre sforzarsi di proporre, il no e basta va bene in questa fase ma lo sforzo da fare è altro. Non facile, anzi. La proprietà deve rientrare di una decina di milioni di euro? Quale attività alternativa si può immaginare – che non sia necessariamente 120.000 metri cubi e oltre di cemento – in quell’area? Dove si trovano i soldi per realizzarla?

Domande che i cittadini che hanno, giustamente, la Vignarola nel cuore debbono porsi. Cercando un percorso europeo, perché no, o qualsiasi possibile alternativa. Allora sì che sarà bello chiedere una variante che salvaguardi il più possibile quello spazio e dia alla città un polmone verde inestimabile.

Una sfida anche a quanti, negli anni, le varianti di salvaguardia le hanno messe nei programmi senza mai attuarle (addirittura indicando delle scadenze….) o sono stati troppo spesso di lotta e governo.

Tontini compatibile, fumo sugli altri

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Il consigliere comunale Cristoforo Tontini, al contrario di quanto ipotizzato da chi aveva sollevato il caso della sua posizione di lite nei confronti del Comune di Anzio, è compatibile.

Lo ha detto il segretario generale, Pompeo Savarino, nel corso della seduta di lunedì pomeriggio.  Ne prendiamo atto.

E gli altri? I presunti morosi che per oltre un’ora avevano tenuto banco la volta scorsa, occupandosi più della dignità del Consiglio offeso dal termine “sgarrupato” che della vicenda in sè? Nulla.

Ha chiesto di sapere qualcosa Ivano Bernardone, il presidente Sergio Borrelli ha risposto che gli uffici stanno lavorando.

Il presidente fa politica da una vita e quando, con Luciano Bruschini sindaco nel ’90, era assessore all’urbanistica, amava ripetere che il progettista incaricato di redigere il nuovo piano regolatore, l’architetto Rodolfo Violo, stava “raccogliendo dati“. Non li vedemmo mai.

Qui speriamo almeno di vedere il documento che, pubblicamente, nella massima assise civica, i capigruppo hanno promesso di redigere sulla vicenda dei presunti morosi e dello “sgarrupato“. Era atteso “in quattro-cinque giorni” ma è passato quasi un mese…. Un Consiglio che non mantiene le promesse che fa a se stesso?

Così come è singolare che nel Comune 3.0 dopo un mese e mezzo dall’invio di lettere a 16 tra consiglieri e assessori ritenuti morosi al punto da ipotizzarne la decadenza, ancora non si sappia qual è la situazione.

Erano somme dovute o non? E’ stato un errore dell’ufficio politiche delle entrate – e allora l’anno prossimo niente 100% di risultato, per favore…. – o un tentativo di far guadagnare tempo a chi altrimenti incompatibile lo sarebbe stato da subito?

Perché – ma è un’impressione – di quelle lettere non si doveva sapere, nessuno avrebbe immaginato che uno dei destinatari la mostrasse a chi scrive e si scoprisse che c’era una contestazione di circa 400.000 euro. Poi ridotta, sminuita, con alcune poste errate da quanto ci dicono, ma tale era. Diciamo un tentativo “bonario” di dire a consiglieri e assessori di risolvere delle situazioni, per sé e società collegate. Se poi per queste ultime non c’è un impegno formale, ha da esserci almeno quello morale a far sì che aziende delle quali si posseggono quote o sono di consorti, si mettano in riga.

Sempre comprendendo le difficoltà di tutti, vogliamo sperare che mentre gli uffici lavorano al caso, come ha detto Borrelli, qualcuno abbia pagato o lo stia facendo. Così come restiamo con il dubbio che lettere simili, a normali cittadini, non sarebbero arrivate. Per loro c’è l’ingiunzione diretta. Speriamo di sbagliare, anzi se l’assessore alle finanze Giorgio Zucchini volesse chiarire sarebbe apprezzabile.

Se io ho un debito nei confronti del Comune, qual è la procedura seguita dall’ufficio per recuperarlo?  E davvero sono partite “30.000 lettere” come si è sentito nel precedente Consiglio?

Infine una vicenda che dovrà, inevitabilmente, prendere altre strade. Il 5 novembre facendo chiaro riferimento a chi scrive, il presidente Borrelli ha usato con tono sprezzante la parola “infame“. Nessuno nel  Consiglio del 30 ha sentito la necessità di chiederne conto.

Il 5 nessuno aveva ascoltato, forse  aveva fatto finta di non capire, qualcuno aveva capito benissimo ridendoci sopra a mo’ di scherno. Il 30 – dopo i video circolati, le notizie pubblicate ovunque – silenzio.

Ma sì, tutto sommato che ha detto Borrelli?  La politica è fatta così, si auto assolve.