Dicono i bene informati che sia questione di ore. Speriamo. Perché sono ampiamente passati i due mesi che normalmente il Tribunale amministrativo regionale (Tar) si prende per entrare nel merito di una questione e dire chi ha ragione.
Dall’udienza del 15 luglio a oggi di mesi ne sono passati quattro, metti le ferie e ciò che si vuole, il risultato è che il porto di Anzio resta appeso alla decisione del Tar e vede qualsiasi prospettiva – anche quella di gestione affidata alla Capo d’Anzio – sfumare.
La società che al 61% è ancora pubblica nei giorni scorsi è stata convocata alla direzione generale della Banca Popolare del Lazio. L’istituto di credito che ha consentito di avere i soldi per pagare la concessione dell’attuale bacino, chiede come intende rientrare la Capo d’Anzio, atteso che ha versato finora poche migliaia di euro rispetto al dovuto.
Il piano finanziario – ricordiamolo votato in assemblea anche dal sindaco di Anzio – prevedeva per quest’anno la fase di gestione che è partita monca in quanto il Tar ha dato ragione agli ormeggiatori sospendendo il procedimento di “sgombero” delle loro aree dopo che ogni tentativo di soluzione era andato a vuoto. Il Consiglio di Stato ha a sua volta sospeso il giudizio del Tar, ma nel frattempo questi è entrato (dovrebbe essere entrato) nel merito.
Il tempo passa, però, e la Capo d’Anzio vede vacillare i suoi conti come e peggio di prima, impossibilitata a provare almeno a fare ciò che doveva essere dopo la realizzazione del porto ma che – a crono programma invertito – sperava di fare da subito.
Se non ci riesce chiude. Con buona pace di chi continuerà a gestire il suo orticello e a difenderlo con unghie e denti. Sono deprecabili le scene di qualche giorno fa, gli ormeggiatori rischiano di passare dalla potenziale ragione al torto. Continuiamo a pensare che il porto sia di tutti ma che – in fondo in fondo – nessuno lo voglia quello ammodernato. Sta bene a tutti così, evidentemente, almeno a coloro che oggi sono in possesso di rendite di posizione nelle quali per anni sono stati anche per certi versi tollerati.
Prima le procedure – che erano corrette – poi il no a prescindere, poi tutto quello che si vuole. Fino alla contestata concessione per la quale, se il Tar desse ragione agli ormeggiatori, andrebbe riscritto il decreto Burlando.
A maggior ragione i signori giudici amministrativi dovrebbero dire una parola, decidere, farci capire se per anni ci siamo presi in giro o se il percorso seguito era corretto. E’ inaccettabile questa sfiancante attesa e non giova a nessuno.
Il porto ha dovuto superare ostacoli di varia natura, pareri a soggetto per i quali andavano chiesti i danni all’epoca, errori di strategia industriale evidenti, cause tardive come quella a Marinedi che andava fatta al momento del passaggio delle quote, chiacchiere che si trascinano per un anno e più (bando, finanziatori inesistenti) e non può restare appeso anche a tempi incerti. Non più. Perché la Capo d’Anzio, in parte infinitesimale, è di ciascun cittadino e se fallisce la paghiamo noi. Così come è di ciascun cittadino il porto nel quale – invece – c’è chi preferisce continuare a fare il “padrone” e chi sembra fingere di non vedere.