L’idea di realizzare una statua che ricordi Giulio Rinaldi ci restituisce un orgoglio portodanzese che ieri sera era palpabile nella cena di auto finanziamento per avviare questa opera. Speriamo, ma l’amministrazione comunale è fiduciosa, che si possa intanto aprire il palazzetto dello sport che porta il suo nome.
Ci restituisce l’orgoglio e non fa dimenticare un campione che per Anzio ha rappresentato e rappresenta molto. Sarà una sfida e sono certo che sarà vinta. Per questo, augurando al figlio Pietro e a tutti i familiari, a Patrizio Colantuono e a quanti hanno dato vita al comitato ogni successo, voglio ricordare ancora una volta Giulio come feci dopo il decesso.
Non c’era ancora questo blog, di seguito quanto scrissi sul Granchio.
“Non c’è più la fame”. Cinque parole per commentare lo stato della boxe in Italia, dette senza peli sulla lingua com’era nel suo carattere. Lui che la fame l’aveva conosciuta davvero e che, cazzotti per cazzotti, aveva preferito andar via di casa anziché essere sistematicamente picchiato dalla madre.
Metodi di un tempo, di fronte ai quali la “Tigre” che sarebbe diventato Giulio Rinaldi scelse la strada dell’addio a quel poco di famiglia che gli era rimasto. Facendo tesoro “delle botte incassate da mia madre” come raccontava a chi gli chiedeva come avesse cominciato ad avvicinarsi alla noble art del pugilato. La fame, quella vera, e la possibilità di una vita diversa. La fame, quella del dopoguerra, e la voglia di riscatto che avrebbe riguardato lui ma anche un paio di generazioni di Anzio, quelle dei padri dell’epoca e dei ragazzi come Giulio che condividevano con lui il sogno di un avvenire diverso e si identificavano in quel ragazzone che sul ring dava il meglio di sé.
Fuori un po’ meno, stando ai racconti dell’epoca che lui si affrettava a smentire: qualche piatto di pasta di troppo con problemi al peso, qualche bicchiere in più, la scarsa simpatia per i giornalisti ai quali ripeteva che era lui a prendere le botte mica loro. Ecco, è stato un mito per Anzio – anche nelle generazioni a seguire – e per chi nei dintorni l’ha “adottato” ma non ha avuto l’affermazione che meritava a livello nazionale. Eppure aveva vinto tutto il possibile, tranne quel famoso mondiale al Madison Square Garden di New York. Era stato alle Olimpiadi – sembra costretto a cantare l’inno nazionale perché a Melbourne non c’era… – e aveva collezionato vittorie e titoli in Italia e in Europa, ma nessuno gli diede un’altra chance mondiale.
Semplicemente perché il suo essere “portodanzese”, con tutti i pregi e i difetti che questo comporta, l’aveva in qualche modo segnato. Verace e un po’ sbruffone, un grande cuore e un po’ di sana arroganza. Troppo per un mondo che allora, forse anche per qualcosa che ruotava intorno alle scommesse, voleva gente “fidata”.
Così Giulio si è avviato al tramonto sul ring, mentre oggi c’è chi ricorda quel famoso match con Archie Moore del ‘61, (al quale portò la madre dopo essersi riconciliato), l’allenamento nei giorni precedenti su un ring più “morbido” e le vesciche ai piedi , un titolo che a sentire chi vide l’incontro nelle poche tv disponibili ad Anzio o lo ascoltò per radio in piena notte la “Tigre” aveva conquistato. Il video è circolato su internet, dove l’amore per Giulio è corso veloce (solo la federboxe se n’è accorta il giorno dopo…) e al di là dei risultati letti dall’arbitro e della vittoria del pugile americano resta a chi ha vissuto quel tempo e a chi ha sentito parlare di quel match la vittoria morale di Rinaldi. Il riscatto di chi aveva conosciuto la fame, quella vera, e di un’intera generazione di portodanzesi. Di chi accolse Giulio al suo ritorno acclamandolo, giustamente. Come giustamente gli sarà intitolato il palazzetto dello sport. A risentire oggi la presentazione dello sfidante su quel ring che non c’è più viene la pelle d’oca “from Anzio, Italy, Giulio Rinaldi”.
Il nostro campione, quello che di fronte alle avversità della vita è asto sempre in piedi, come in quel match di 15 riprese ricordato dalle cronache di mezzo mondo quando Archie Moore è morto. E solo la malattia, l’ultima grande prova alla quale la vita l’aveva messo di fronte, è stata capace di mandare Giulio ko. Grazie “Tigre”, indimenticabile campione.
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