
Guido Columba con il megafono in mano, durante una manifestazione a Latina, nel 2008
“E dove vuoi che vadano se c’è un incidente? Sul posto no, inutile che lo scrivi...” Ho conosciuto Guido Columba quando ero corrispondente Ansa da Latina e provincia e lui era alla “romana“, prima di passare agli Interni. Ci scherzavamo: “Ah, adesso sei tra quelli che chiedono il pezzo da su…” Succedeva in casi particolari, quando la notizia aveva una eco nazionale, da “su” – il piano superiore rispetto alla sede della “romana“, dove si trovava il servizio – chiedevano e quindi sollecitava.
Ho condiviso con lui l’esperienza del comitato di redazione, quella nell’Unione nazionale cronisti (organizzammo un congresso nazionale a San Felice Circeo) la battaglia contro ogni bavaglio. “Liberi di informare, liberi di sapere” è lo slogan che ci accompagnava e che continuerà ad accompagnarci oggi che Guido ci ha lasciati.
Nel ricordo dell’attuale presidente dell’Unione cronisti, Alessandro Galimberti, c’è il sunto di ciò che è stato. Nel libro realizzato per la prima “Giornata della memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo” che lui ha istituito, Guido scrive – come ci ricorda Romano Bartoloni: “Nessuno di loro aveva la vocazione dell’eroe, ma tutti non si sono mai accontentati della versione ufficiale, di comodo degli avvenimenti. Hanno fatto giornalismo di inchiesta, sono andati a vedere di persona, hanno raccontato ciò che gli altri non vedevano o non volevano vedere. Costituiscono un monito e anche un ancoraggio per i cronisti di oggi”.
I ricordi sono molteplici, dall’organizzazione di quel congresso al premio che mi consegnò a Viareggio, dal suo viaggio in moto ad Anzio con il telefonino finito chissà dove alla burrascosa riunione con i vertici dell’Agenzia quando paragonai uno di loro a Ciarrapico. Dalla biciclettata contro una delle tanti leggi bavaglio alle lettere ai Prefetti, dalle manifestazioni nelle piazze, agli scazzi in quel Cdr dell’Ansa, fino a quello che è stato l’ultimi incontro: era già malato ma non volle mancare all’esterno del Tribunale di Roma, dove Federica Angeli avrebbe testimoniato contro i clan di Ostia.
Gli chiesi di venire a presentare il mio libro “Sangue sporco” ad Anzio e disse subito di sì “ma prima fammi leggere“. Perché – come ricorda ancora Romano Bartoloni – ci sono cose che lo hanno guidato sempre: “la coscienza professionale, i diritti della persona, i codici e le leggi“. E se un libro non lo leggi, inutile che vai a fare domande.
Per questo c’è un ricordo che porto dietro gelosamente, il complimento più bello che si possa ricevere in questo lavoro: “Sei andato, hai visto e hai raccontato. Bravo“. E’ il succo del mestiere di cronista e leggendo il libro aveva avuto questa impressione.
Grazie di tutto, Guido, e stai certo che le tue battaglie andranno avanti. E comprendici, “da su“, se commetteremo qualche errore.