Apprendo della morte dell’Avvocato Angelo Fagiolo e ripenso ai miei esordi da cronista. A quel principe del Foro che pensavo inavvicinabile e che, invece, si mostrò subito molto disponibile. Le aule dei Tribunali non sono il mio forte, le ho frequentate più da imputato per diffamazione a mezzo stampa (le querele, si sa, per i giornalisti sono “medaglie”) che da esperto di giudiziaria.
Però all’epoca – più di oggi – dovevi saper far tutto. Così, essendo uno degli imputati suo assistito mi avvicinai, un po’ timoroso, a quel signore d’altri tempi. Trovando una cortesia unica, una capacità di spiegare le cose semplicemente degna del miglior cronista di giudiziaria, una propensione al dialogo straordinaria. Non lo avevo mai visto prima, ripeto, eppure non fece affatto pesare la cosa. Anzi, probabilmente comprese l’imbarazzo e l’impaccio del giovane giornalista alle prese con un processone qual era quello per l’operazione “Tridente” o -prima ancora – quello per i famosi parcheggi sul lungomare di Nettuno.
Non ebbi più molti motivi per frequentare il Tribunale di Velletri, ma capitò di andare nel suo studio – per essere ricevuto dal figlio Marco, al quale rivolgo un caro pensiero in questo triste momento – e lo vidi venirmi incontro per un saluto caloroso. Come se ci fossimo visti qualche giorno prima, invece era trascorso molto tempo. Lo stesso a Palazzo di Giustizia, da ultimo un anno e mezzo fa, a quando risale l’ultima stretta di mano accompagnata dal suo sorriso cordiale. Ricordava perfettamente chi fossi e per quale motivo mi trovassi lì, a seguire un processo. Mi dicono i colleghi che di più hanno frequentato e frequentano il Tribunale che abbia dato consigli a molti cronisti.
Un maestro per gli avvocati, insomma, ma anche per chi vuole raccontare i processi e grazie a lui ha evitato più di qualche strafalcione.
Sia lieve la terra, dunque, all’Avvocato Angelo Fagiolo. Io non posso che serbare un piacevolissimo ricordo e dire, ancora oggi, semplicemente grazie.