
Tra qualche mese saranno trascorsi trentatré anni da quando – in campagna elettorale per le regionali – Piero Marigliani presentò il suo mega plastico del porto. Nel 2023 ricorreranno 30 anni dalla presentazione, nella sala Fides, dell’idea di doppio porto da parte di Paolo Gallinari a nome del Consorzio nautico di Anzio (esiste ancora?) che mandò in soffitta l’idea dell’ex sindaco Dc. Sempre nell’imminente prossimo anno, ne saranno trascorsi 25 da quando la Regione Lazio ha inserito quell’idea nel piano dei porti. Spedita in fretta e furia, all’insaputa di parte della traballante maggioranza, dal sindaco Renzo Mastracci e voluta dall’allora presidente Piero Badaloni.
Saranno 23 anni da quando è stata costituita la Capo d’Anzio, 20 da quando è entrata l’allora “Italia Navigando” con a capo (e socio) Renato Marconi, 18 da quando ha chiesto la concessione per realizzare e gestire il porto, 13 dall’accordo di programma sbandierato con la presidente della Regione Renata Polverini, 12 da quando ha ottenuto la concessione senza fare nulla.
Leggere di interessi sospetti sul porto fa un po’ sorridere. Di interessi, più o meno leciti, ce ne sono stati tantissimi in questi anni ma il risultato, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti: il porto non c’è e quello che rimane è indecente.
Interessi che partono da metà anni ’90, quando anziché scegliere Condotte d’acqua ci si affidò a una neonata società vicina a un noto costruttore romano. Non se ne fece nulla, era il “plastico” di Marigliani per intenderci. Fino a quando, nel 2006, con l’idea di “doppio porto”, dopo il via libera della Regione in conferenza dei servizi a luglio, venne ribaltato tutto inspiegabilmente a settembre. Passando per i tentativi di far saltare le conferenze dei servizi da parte di specialisti in presentazione dei progetti, i quali avevano solo l’idea di essere liquidati per andarsene, come la Sofim o le sue derivate.
Poi, di recente, abbiamo avuto fantomatici fondi maltesi e persino una cordata di turco-napoletani. Gli interessi ci sono eccome, ma il problema per chiunque oggi volesse investire e realizzare il porto (la concessione parlava di quello) era e resta proprio la Capo d’Anzio, per due ordini di motivi. Il primo: è titolare della concessione – mai pagata, è vero – che è l’unico valore rimasto. Il secondo: è in condizioni di default, con debiti per oltre 3 milioni ed entrate incerte. Cosa che comporta – se la Commissione straordinaria vorrà applicare le norme – l’inevitabile liquidazione. I libri, purtroppo, andavano portati in Tribunale molto prima e persino il dirigente “Signorsì” – prima di ripensarci – nella relazione al bilancio 2018 parlava di scioglimento (si veda foto sopra).
E’ inutile continuare a dire che i conti sono stati sistemati se proprio su quei bilanci c’è una richiesta di rinvio a giudizio per falso. Imputazione che riguarda il professore specializzato in crack (e altri due consiglieri d’amministrazione, stranamente non chi dal Comune ci aveva ripensato e diceva che andava bene così) messo a presiedere la Capo d’Anzio dall’ex sindaco De Angelis. Lo stesso che ci ha portato Marconi con “Italia navigando” nel 2001. Ebbene in caso di liquidazione, come umilmente in questo spazio ripetiamo da anni, il socio un tempo pubblico ma che si scoprì ben presto che era privato (basta rileggere i verbali di assemblea della società e la copertina del “Granchio” con il titolo “Italia naufragando”), Renato Marconi, avanzerà le sue pretese. Dai bilanci vanta crediti per 600.000 euro circa, potrà eventualmente esercitare un’opzione e prendersi tutto. La stessa operazione con la quale si è ritrovato – al costo delle progettazioni effettuate e dei servizi resi a “Italia navigando” – 10 porti in Italia, tra i quali Anzio.
Mentre c’è chi gridava contro il progetto faraonico, solo la voce di Aurelio Lo Fazio si levava sulla centralità della questione societaria. E solo il Pd tentò, con la proposta di un aumento di capitale destinato a terzi sbeffeggiata dalla destra che ha governato Anzio per 25 anni, di salvare società e concessione. Di recente quel che restava dell’opposizione in Consiglio comunale ha chiesto, invano, lumi sulla società. Ci siamo dovuti anche sorbire un paio di esperti che miracol mostravano su una nuova fiejussione che nessuna banca ha dato, per fortuna, non fosse altro che in bilancio c’è ancora quella vecchia che il Comune ha pagato e la società mai restituito.
C’è un ultimo aspetto, se la Capo d’Anzio viene liquidata e noi saremo costretti a pagare i debiti, senza che Marconi riesca a prendersi il porto, a dover mettere a bando la concessione stavolta dovrà essere il Comune che nel frattempo ha avuto le competenze sul Demanio. Vedete la Commissione straordinaria arrovellarsi per una gestione pubblica o immaginate che si faccia eventualmente un nuovo bando? La risposta sembra semplice e comunque finirà questa storia, il sogno del porto pubblico è purtroppo tramontato da tempo e chi ha gestito politicamente la Capo d’Anzio in questi anni lo sappiamo. Ecco, cara Commissione, se ci sei batti un colpo su questo argomento spinoso e fondamentale. Ce ne sono altri, è noto, ma è ora di mettere un punto sulla questione porto.
Poi certo, ci sono stati presidenti, amministratori, nomi di grido e non. Ma sempre agli input del socio di maggioranza – il Comune – dovevano rispondere. Da ultimo, il redivivo amministratore unico che si è dimesso due volte ed è ancora lì, per salvare il salvabile aumenta i costi ai diportisti e pretende in anticipo le spese per acqua e luce. Nemmeno fossimo davvero a Montecarlo, come declamava un presidente suo predecessore. Ma questa è una storia che approfondiremo più avanti.
Un pensiero su “Porto e interessi, resta il nodo Capo d’Anzio. Commissione, se ci sei…”