La fidejussione, le scelte sbagliate, i nodi al pettine

 

villa_sarsina_fronte_anzioUn paio di premessa necessarie: al momento, da quello che è trapelato, nessuno ha chiesto risarcimenti ai consiglieri comunali e agli assessori che votarono a favore della fidejussione che il Comune concesse per il prestito destinato a pagare la concessione del porto.

A oggi, la notifica della magistratura contabile non c’entra con la procedura del porto in sé che se fosse seguito il piano finanziario votato in assemblea dei soci anche dal sindaco, potrebbe iniziare i lavori della prima fase.

Veniamo alla questione, allora: la Corte dei conti ritiene illegittimo quell’atto e chiede di porre rimedio, in che modo è tutto da vedere. Immaginiamo ad esempio che se non fosse stata pagata con oltre 500.000 euro dei cittadini di Anzio, di recente, sarebbe stata una fidejussione che non si poteva fare, ma non avrebbe avuto conseguenze dirette. Oggi la situazione è diversa e si vedrà come risponderà il Comune, sindaco in testa.

Già, perché l’operazione-concessione si poteva finanziare in modo diverso, volendo, senza arrivare a dare una garanzia simile alla Banca. E quando l’opposizione sollevava – già nel 2011, al momento della prima delibera – una serie di dubbi sulla fidejussione, si poteva e doveva studiare meglio, anziché dire che erano i soliti rompiscatole, anziché votare tutti allineati e coperti. Senza nemmeno porsi il problema – da ultimo – della beffa per cui la Capo d’Anzio dopo oltre dieci anni di attività era considerata una “start up”.

Dovevano fare attenzione nel 2011 e nel 2014, quando Bruschini rispondeva a De Angelis (che poi si sarebbe astenuto con il suo gruppo) “se stavi al posto mio facevi la stessa cosa”.

La scelta sbagliata era stata fatta prima, purtroppo, quando si scelse la via del finanziamento anziché quella di usare i fondi che pure il Comune aveva. I 700.000 euro del rimborso Recordati, per esempio, usati per pagare di tutto, dai quadri di Villa Sarsina a uno sportello anti-violenza del quale si sono perse le tracce. C’erano i 600.000 euro di risparmi in discarica che i dirigenti avevano chiesto di mettere a garanzia dei crediti non esigibili (inascoltati) e che sono stati usati per amenità varie. C’erano i soldi dei terreni venduti a piazzale Roma, ma anche i risparmi dalla chiusura dei “derivati” ereditata proprio da De Angelis.

Soprattutto c’era una strada diversa da perseguire, quella dell’eventuale “pegno delle azioni” che Acqualatina usò, ad esempio, per il prestito da Depfa bank.

No, qui siamo contornati di “scienziati” e di loro affezionati alzatori di mano, così oggi si pagano quelle scelte.

Così come – non dimentichiamolo – la mancata restituzione del prestito e quindi il pagamento fatto di corsa da parte del Comune (manca ancora la quota di Marconi, che sempre a carico della Capo d’Anzio è…) ha origini lontane e più vicine. Inizialmente non si è pagato perché il bando di gara è andato deserto, poi perché nonostante l’inversione del crono-programma non è stato possibile iniziare, da ultimo per il ricorso al Tar, dopo il quale il sindaco resta inerme e senza decidere di riprendersi le aree.

Se la Capo d’Anzio fosse diventata operativa, i soldi alla banca li avrebbe restituiti e oggi quella nota della Corte dei conti sarebbe solo un monito per il futuro. Invece c’è chi rischia di dover pagare.

Al di là di questo, è evidente che i nodi vengono al pettine – dalla fidejussione ai fornitori non pagati, dalle mozioni che spaccano la maggioranza alle liti tra consiglieri – e che Bruschini deve più di qualche risposta. Alla sua maggioranza e alla città.

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