
I colleghi buontemponi mi hanno affidato, da tempo, il soprannome di “sua sanità”. Seguo da anni questo settore, è vero, ho imparato che se vuoi scrivere di malasanità fai presto, ma che per trattare un argomento delicato come quello della salute e del mondo che vi ruota intorno ci vuole tempo e pazienza. Per il ruolo di “sua sanità” capita spesso che qualcuno mi chiami in nome dell’italico vizio del voler trovare una soluzione senza passare dalla porta principale ovvero della necessità di avere risposte che altrove non trova, come vedremo dopo questa doverosa premessa. Così “vedi se si può fare qualcosa per anticipare questa tac” ovvero “ma conosci nessuno che mi fa al volo questa visita” e chi più ne ha, ne metta. A tutti rispondo sempre che per prima cosa occorre provare con la via ufficiale: chiamare il centro unico di prenotazione, andare allo sportello, lì magari la soluzione c’è. Ma prima ancora che va verificato cosa ha scritto il medico sulla prescrizione. Esistono dei codici, infatti, che indicano la priorità di ciò che si deve fare. U sta per urgente con attesa massima di 72 ore; B per breve, con attesa massima 10 giorni; D è differibile, vuole dire che l’attesa può essere massimo 30 giorni per le visite e 60 per le prestazioni diagnostico strumentali; P, infine, programmabile, si può arrivare ad avere la prestazione entro 120 giorni. C’è un ulteriore strumento, quello dei medici di base, i quali hanno un numero dedicato con il quale in caso di prestazioni urgentissime hanno la possibilità di prenotare direttamente per i loro pazienti. Ignoro se l’attuale presidente della Regione, Francesco Rocca, il suo predecessore Zingaretti, l’ex assessore D’Amato e tutti coloro che li hanno preceduti alla guida del Lazio o sono stati in Consiglio regionale (maggioranza e opposizione) abbiano mai chiamato il centro di prenotazione. Forse si accontentano di aver messo in piedi il monitoraggio delle liste d’attesa o di promettere, ogni volta, che le abbatteranno. Attenzione: le liste, di per sé, sono un falso problema. Perché è noto che più fornisci una prestazione, più te ne chiedono. Qual è allora il problema? Garantire il rispetto dei tempi, a seconda delle priorità. Ebbene, così non è.
Qualche esempio pratico, capitatomi di recente: tumore accertato, il medico di base chiama il numero dedicato ma non c’è posto (sic!) per una Tac “total body” che deve verificare se ci siano già metastasi. La prima disponibilità nel Lazio è a novembre – il tumore ringrazia…. – ma pagando fra qualche giorno è possibile farla in una struttura privata-accreditata. Una di quelle che nessun vertice della Regione, finora, è riuscito a inserire nel programma per la prenotazione di visite. Le “agende” dei privati accreditati non sono accessibili al Cup e dubitiamo voglia renderle tali Rocca. Anche perché per ragioni di budget possono fornire un numero di prestazioni al mese e non più e spesso all’inizio di ciascun periodo si “esauriscono” i posti. E’ così anche nei centri analisi, per esempio.
Ecografia addome completo di controllo, assolutamente programmabile, lo specialista dice a gennaio di farla “tra sei sette mesi”. A giugno provi a prenotare. Prima disponibilità? Luglio 2024, come si vede dalla foto di questo spazio. La fai privata (e chi non può pagare?) e si scopre che qualche problema, per fortuna risolvibile, c’è. Ad aspettare luglio del prossimo anno, si sarebbe certamente acuito.
Rocca, ma prima di lui Zingaretti e D’Amato, ma anche chi li ha preceduti, sanno quanti posti ci sono per le visite a coloro che debbono riprendere la patente dopo essere stati fermati per guida in stato di ebbrezza? Pochi o niente e se provi a Colleferro forse fai prima che alla Asl Roma 2, ma non è detto. Dirai e va be’, ma quelli hanno sbagliato….
D’accordo, vogliamo provare una gastroscopia con biopsia? Un annetto e passa la paura, se va bene. Ah, non andate allo sportello Cup del “Goretti” di Latina dopo le 16. Sì, è aperto dalle 8 alle 18 ma nelle ultime due ore puoi solo pagare prestazioni da fare in giornata…. E’ così anche altrove, garantito. Si potrebbe chiedere il rimborso delle spese sostenute per visite o esami non eseguiti nei tempi previsti, ma pochi lo sanno, ancor meno lo fanno, anche perché è peggio di aspettare una visita: passano anni. Ma provate a fare un intervento di “elezione”, cioè programmabile, in un ospedale pubblico. Urgenze e tumori garantiti, non si può fare altrimenti, il resto aspetta o se può andare altrove va (e la “mobilità passiva” delle Asl aumenta), se può pagare anche.
LA PRESA IN CARICO
Ci hanno fatto una testa tanto con le “Case della salute” oggi future di “Comunità” insieme a ospedali che si chiameranno allo stesso modo e riempiono i programmi di investimenti del Pnrr. Modello bellissimo ma al momento vuoto. Se, come è capitato, una persona con grave Bpco – broncopneumatia cronico ostruttiva – non può muoversi da casa e deve rinnovare il piano terapeutico per avere l’ossigeno, lo pneumologo a domicilio non c’è… Succedeva – e temo succeda ancora – alla Roma 6 per il distretto di Anzio-Nettuno. Ci sono prestazioni per le quali i pazienti non dovrebbero fare il giro delle sette chiese ma essere, appunto, “presi in carico” come tanti manager delle Asl ci ricordano da anni. Inutile. Li vedete due anziani signori che escono dagli ambulatori del “Goretti” con la ricetta rossa in mano, entrano alla porta a fianco del Cup ma sono passate le 16 e non possono prenotare la visita di ritorno? “Venga domani”. Ma non vi vergognate nemmeno un po’? E’ cosa di tutti i giorni, non solo lì. E basterebbe poco, dovrebbero avere visite e ritorni programmati se sono – come capita spesso – cronici e multiproblematici. C’era un bel progetto, “+Vita, ci pensa la Asl no te” ma pare sia miseramente tramontato.
I PRONTO SOCCORSO
Medici di famiglia, poi case e ospedali di comunità dovrebbero essere quel “filtro” sul territorio che evita di andare in ospedale anche per cose banali o, meglio, non tali da richiedere un dipartimento di emergenza. Oggi i pronto soccorso sono pieni di persone che non hanno urgenze, ma non sanno dove sbattere la testa. Il famoso “territorio” è un altro degli slogan cari ad assessori e direttori generali, ma nei fatti spesso non esiste, così come si fatica a far funzionare i Pdta cioè i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali che la “presa in carico” dovrebbero attuarla senza se e senza ma. A ciò si aggiunga che pure i casi gravi – altro esempio di qualche giorno fa, ospedale di Anzio – non trovano posto nei reparti e trascorrono 48 ore su una barella in pronto soccorso. Sarebbe successo lo stesso in un altro dipartimento di emergenza, perché siamo in estate, il “territorio” già carente scompare o quasi, gli accessi si moltiplicano, i posti letto sono sempre quelli se non meno.
Sulle ragioni di queste carenze servirebbero anni di dibattito. Le responsabilità politiche, anzitutto, di cercare consensi attraverso incarichi da assegnare e di non avere una visione reale delle esigenze dei pazienti ma chiarissima degli imprenditori del settore. Quelle dell’Ordine dei medici che chiedeva di non iscriversi a medicina, il numero chiuso che è una risposta al fatto che non ci sono posti di specializzazione per tutti. E sarà un caso che “sua sanità”, cioè chi scrive, conosca quasi più infermieri che lavorano in ufficio di quelli che sono in corsia?
LE PASSERELLE
Di recente al “Goretti” di Latina è stata inaugurata la nuova unità di terapia intensiva coronarica. Un’eccellenza nazionale già prima del taglio del nastro. Come accadeva con i passati presidenti di Regione, anche Rocca ha avuto il suo codazzo, amplificato da selfie e dichiarazioni solenni ben ricostruiti da Lidano Grassucci. Peccato che nel giro di 48 ore si fossero rotte tutte le Tac e che i pazienti fossero dirottati a Terracina (quante battaglie per farla rimettere al suo posto e meno male che è rimasta….) per le urgenze. Il presidente ignorava o gli è stato evitato di sapere che a pochi metri dall’Utic c’erano macchinari fuori uso.
Se andiamo a rileggere “Dichiarazia” di Mario Portanova (Rizzoli, 2009) potremmo prendere le frasi di chi da destra guida oggi la Regione e ha la “filiera” in provincia e confrontarle con quelle di chi, invece, la guidava da sinistra. Troveremmo le stesse identiche frasi: “La Regione con noi alla guida investe”, “Rilanciamo l’ospedale” e via di questo passo. Ci sono stati per alcuni servizi praticamente più nastri tagliati che prestazioni. Peccato siano gli stessi politici che per difendere qualche consenso – e non certo i pazienti – inventino come è stato in passato Uoc o Uos “inutili” o quasi, chiedano di tenere aperte strutture spesso inutili, senza una “visione” di ciò che dovrebbe essere una sanità moderna.
Basterebbe farla semplice, come si è provato a raccontare qui, perché come cantava Lucio Dalla “la cosa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. Peccato che di eccezionale si veda ben poco…
Caro Giovanni, sulla sanità mi fai alzare la pressione, bisogna protestare e basta! emilia
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