“Notte che se ne va”, cantava l’immenso Pino Daniele. E’ uno dei musicisti che insieme ad altri cantautori italiani ho fatto ascoltare ad Arianna, mia figlia, nota nel mondo dello spettacolo come “Ariete”. Una volta tanto questo spazio è per un racconto personale, perdonerete. “La Notte” – sarà un caso – è il titolo del suo secondo album ma anche del tour che si è concluso qualche giorno fa dopo le tappe di Bari, Napoli, Roma, Bologna e Milano. Un successo dopo l’altro che ho vissuto – esclusa la città felsinea – dietro le quinte. Un’esperienza senza precedenti che mi piace raccontare dalla fine. Da quando, dopo ogni concerto, una squadra di professionisti inizia a smontare palco, luci e tutto ciò che serve per un evento del genere. A buttarla sul sociologico spicciolo, ecco cosa intendeva il compianto Domenico De Masi quando ci spiegava che il lavoro del futuro era nell’organizzazione del tempo libero. Ci saranno un centinaio di persone dietro un tour simile, quelle “invisibili” a chi è ad assistere ai concerti ma che vedi muoversi, nel backstage, come una macchina perfetta. Bravi.
LA SQUADRA
Romina – la tour manager – è la sacerdotessa, detta i tempi e risolve problemi a ritmi impensabili. Dire che l’ho stalkerizzata in quei giorni è poco. Eleonora – la vocal coach – fa da “chioccia” ad Arianna ma butta uno sguardo anche sugli altri. Capisci dal suo sorriso se le cose dal punto di vista tecnico con la voce sono andate bene. Ripete in continuazione, quasi commuovendosi (figuratevi chi scrive….) “è cresciuta, è cresciuta tantissimo”. E poi c’è la “band” di Bomba dischi. Lo dico ovunque, lo ripeto qui: Arianna doveva firmare il contratto che era minorenne, arrivò il lockdown che ci chiuse in casa e quando si poteva tornare a muoversi era diventata maggiorenne. Poteva andare da sola, ma pretesero che ci fossimo anche noi genitori. Un grande segno di serietà. Sicuramente più della mia che dicevo in una delle prime riunioni “ma non è possibile che Arianna sia in classifica davanti a Ezio Bosso” che era scomparso da poco. Lei dice che sono una seconda famiglia e non credo sbagli, anzi: Davide, aria apparentemente disincantata di chi ci ha visto lungo; Alberto, coinvolto al punto giusto (e basta vederlo saltare vicino al palco); Alessandro, l’ufficio stampa con vena poetica che però non va oltre la rima baciata (!); Brizio, il gigante buono; Emma, aria seriosa di chi tiene i conti ma soprattutto grande laziale. Non me ne voglia il resto del mondo di “Bomba dischi”, ho avuto modo di frequentarlo meno. E grazie a “Vivo concerti” e a tutto il suo staff (da Silvia in giù), a un personaggio del calibro di Clemente Zard (“andavo ai concerti organizzati da tuo padre”, gli ho detto, e lui “la scuola l’ho avuta buona”), a fonici, tecnici, al “merch”, a quei simpaticoni di Folloz (con tanto di scambio gastronomico) che hanno raccontato attraverso il loro canale di comunicazione su instagram quello che accadeva e curato i video prima, durante e dopo i concerti. Esibizioni che segnano il salto di qualità rispetto agli esordi “live”, ma questo oltre me – che conto poco – lo dicono i colleghi giornalisti che hanno seguito il tour.
Sul palco, accanto ad Arianna, musicisti già conosciuti come Alessandro (immancabile l’Anzio Anzio!) e Jacopo. Si sono aggiunti Francesco, con il quale è stato un piacere parlare di batteristi come Steve Gadd, Tullio De Piscopo e Agostino Marangolo. Poi Denny, De Puta, “mi fratello” come dice Arianna. Lui quasi si commuove quando parliamo dell’intro di un pezzo che mi ricorda Pino Daniele (“lo abbiamo preparato negli Usa”). Quindi Valerio, il pianista al quale non posso perdonare la maglia della Roma a colazione o subito dopo il concerto al Forum. E devo ancora capire il perché dei capelli biondi di Jacopo dall’inizio del tour o dello strano colore scelto da Denny per l’ultima tappa. E poi la possibilità di rivedere chi era stato già ospite (dagli Psicologi a Franco 126) o di scoprire Villabanks, vedere RKomi, scambiare due chiacchiere con Tananai che è stato disponibilissimo. Rappresentano un mondo, ma soprattutto scopri che questi giovani sono molto preparati e la cosa fa un immenso piacere.
LE EMOZIONI
Indescrivibile quello che si prova a stare “dentro”. Un turbinio di emozioni, il piacere per una figlia che ce l’ha fatta (ma ne parlo tra poco), la consapevolezza di qualcosa di grande, il fatto che al Palapartenope io abbia visto Pino Daniele e oggi ci sia Arianna sul palco, come al Palaeur dallo stesso Pino a Guccini. E poi i ragazzi (e non solo loro) che cantano a squarciagola o sono lì da ore in attesa della loro beniamina. Lei che va a trovarli, li saluta, si ferma, li abbraccia, fa i selfie. L’ansia che sale mentre si avvicina l’ora del concerto dopo i “riti” profani che vanno dal sound check al riscaldamento della voce, dalla cena ai vestiti, fino ai microfoni e alle “spie” (ma si chiamano ancora così?) da indossare. E fa piacere, sarei bugiardo a non ammetterlo, essere riconosciuto come “il padre di…” Ti chiedono foto, ti passano cartelloni o lettere da consegnare ad Arianna o – come a Napoli – dubitano: “O padre? Ma è o vero?” chiede una signora titubante che poi si scusa. A Bari c’era stata la mamma sconsolata con la quale all’esultanza per uno dei video nei quali si diceva di non dar retta ai genitori ho commentato: “Certo che senza di noi mica stavano qui” e lei “Diglielo un poco” con un accento che lascio alla vostra interpretazione. Vogliamo parlare delle mie lacrime del palasport di Roma stracolmo? Di quella ragazza fatta salire sul palco dopo la guarigione – come promesso – di quello che ha detto Arianna di noi genitori, dei nonni, della famiglia che siamo stati e siamo tra alti e bassi? Ci pensa il capo degli elettricisti a riportarti alla realtà: “Aho, noi dovemo smontà fa mette sti ragazzi da n’artra parte”. Sono quelli in fila per il dopo concerto. Tanti, troppi rispetto a quelli che lo avevano chiesto, ma Arianna non si tira indietro. A Milano è l’apoteosi, mai stato al Forum e vederlo pieno non ha eguali. Come essere riconosciuto da Riccardo dei Pinguini Tattici nucleari, incontrato a cena quando Arianna era agli esordi che fa “Visto? Ce l’ha fatta”. Eh sì…
AVEVA RAGIONE
“Arianna, attenta. Questo è un mondo di squali, ce la fa uno su un milione”. Lo ripetevo come un mantra e lei, con la testardaggine peggiore della mia (la bellezza è della madre, l’ho sempre detto) ribatteva: “A papà, non posso essere io l’uno sul milione?” Aveva ragione. Per tornare un attimo alla teoria, c’è un bellissimo libro di Henry Jenkins, sociologo e saggista statunitense che si occupa del mondo dei media. Il testo si chiama “Cultura convergente” (Apogeo education, traduzione italiana 2014) e viene spiegato il fenomeno del cosiddetto “grassroots” ovvero i contenuti prodotti dal basso che crescono come l’erba, dopo essere stati generati da non professionisti attraverso mezzi di comunicazione di massa non tradizionali. Cosa è stato “Quel bar” se non una dimostrazione del genere? Da quel contenuto su Youtube è praticamente nato tutto. Dalla cameretta si è arrivati al sogno di entrare nei palazzetti da protagonista e non stare – come ha fatto, lo ricorda sempre – ore fuori ad attendere i propri beniamini. Quasi in punta di piedi, senza dimenticare le file che ha fatto e che mica tanto tempo fa, nel 2019, era proprio lì sotto. Adesso è diventata un’icona, molti dei fan dicono che le sue canzoni li hanno “salvati” (e fosse anche uno solo, è la cosa più grande che possa aver fatto), invita a credere in quello che si fa e ad essere se stessi, non si risparmia sul palco ed è un piacere vedere lo spettacolo così come constatare che qualcosa degli insegnamenti che hai provato a dare, da genitore imperfetto come tutti, è lì nelle sue parole. Vivere tutto questo da “dentro” è semplicemente straordinario. E c’è un’immagine che vale più di ogni altra, l’arcobaleno che spunta sul Palaeur prima del concerto, mentre arriviamo, sembra un segno del destino. E se con Pino Daniele la notte se ne va, qui è “Vamos” la parola d’ordine. Sì, Arianna, sei proprio te quell’uno sul milione ma ricorda sempre: “Giudizio”.
